Sotto il titoletto: Pedagogo con i figli degli altri, vorrei tornare a un pezzo di mommy-blogging duro e puro, come una volta quando i figli erano piccoli, ti sembrava di averla inventata tu la maternità, e su Internet era tutto un ciacolare con punte di aspirazione al premio Miglio Madre del Mondo (MMM) nel tentativo di sopravvivere al ciclone figli. Quindi se a voi i bambini piacciono giusto al forno con patate, potete saltare, ma se appartenete al sottogruppo che ama teorizzare sui casi concreti altrui nella serena consapevolezza dell’ impunità, visto che voi di figli non ne avete, leggete, leggete: tutto fa (come dissero i bambini che pisciavano in mare mentre il pedagogo in questione affogava).
Ogni volta che torno in Italia mi trovo alle prese con il giudizio del mondo sui miei figli. Parenti, amici e sconosciuti si coalizzano per regalarmi almeno un commento benintenzionato al giorno. Visto che da vent’ anni mi occupo di interculturalità per lavoro, non posso fare a meno, ogni volta, di notare come certe discussioni siano culturalmente e socialmente determinate. In particolare come sia culturalmente determinato il modo di affrontarle.
Lo scorso anno mi ritrovai a fine cena con persone appena conosciute e gradevolissime che pensarono bene di spiegarmi tipo plotone d’ attacco tutto quello che non andava in noi e come stavo rovinando i miei figli facendone dei disadattati perché, nello specifico, non gli facevo guardare la TV. Io mi incazzai tantissimo sentendomi proprio aggredita, e con motivazioni pretestuose, abbozzai perché eravamo ospiti, mi guardai bene dal dire cosa ne pensavo io dei figli di due e del fatto che la più convinta figli in proprio non ne aveva e mi è rimasta sullo stomaco per dei mesi. Perché erano tutte persone carine e simpatiche e questa carognata inutile non me la dovevano fare.
In questi casi, dipende: io ho questa fregatura del dubbio come metodo di riflessione e dubitare di me stessa mi viene più immediato di dubitare degli altri perché a me mi conosco bene e non ho bisogno di fingere di essere educata con me stessa, mi voglio bene e mi perdono tante cose riprovevoli. E se poi sbaglio a giudicarmi mi perdono, se sbaglio a giudicare un altro prendo delle fregature. Per questo quindi ci metto un po’ a trarre le mie conclusioni.
Il fatto è che negli ultimi anni ci sono capitate una serie di cosette, di cui una certa quantità che avevo previsto già prima del concepimento e che sono state alla base della decisione di vivere ad Amsterdam, altre che non prevedi, ma il bello dei figli è che non ci si annoia mai e ti fregano sorprendono sempre, altre ancora che fanno parte delle infinite occasioni che la vita ti propone per metterti alla prova e, se ti convinci, cresci anche come persona, a meno che non ti portino prima alla neuro. E tutte queste cosette mi hanno allenata, ammesso che ce ne fosse il bisogno, a parlare con tutti, ascoltare tutte le campane, anche quelle stonate, e poi trarne le mie conclusioni e farmi i fatti miei. Se sbaglio, amo farlo in proprio, diceva uno.
Insomma, una delle cose che tutti notano in Italia, è che i miei figli ci chiamano per nome. E subito a dire aah, ma coooome, ma ti chiamano per nome, non ti dicono mamma? Che per dire, io ho un tale trauma di quei momenti, e nella vita di una madre sono tanti, in cui vorresti stare a farti i calmi strafatti tuoi (si, stavo per dire un’ altra cosa al posto di fatti in strafatti, non prendetelo alla lettera) e intorno a te è tutto una polifonia di mammmammammmammammmammammmmamammmmamamaaaaarghhhhh! Poi che una sbrocca.
E poi questa cosa di chiamarmi per nome se la sono inventati loro mica gliela ho imposta io. Magari avendo capito presto che a chiamarmi per nome reagisco prima e meglio, che ci sono più abituata, ho più esperienza sul groppone a sentirmi chiamare per nome che mamma. (Per esempio, pure il nonno a volte lo chiamano per nome, forse perché sentono 300 volte al giorno la nonna chiamare il marito, e lo rifanno, ma uguale, eh. Stessa intonazione).
E insomma, io ho alcune persone che mi vogliono un gran bene, a cui voglio un gran bene, e che ogni santa volta negli ultimi 10 anni mi riattaccano la questione che no, aaah, loro, ma davvero, loro sono i genitori dei loro figli (si, e io sono la cognata dei miei figli, ma che state a dire?). Mica sono gli amici (vabbò, un minimo questo lo avevo intuito). Che loro dai figli pretendono il rispetto, che evidentemente in questa visione del mondo il rispetto è una cosa che si pretende, non che ci si guadagna quotidianamente sul campo. E che [digressione, se avete il fiato corto saltate al prossimo paragrafo e pace] a farti chiamare per nome (ahò, l’ hanno deciso loro, mica gliel’ ho imposto io, che poi quando io e maschio alfa parliamo ai bambini dell’ altro genitore diciamo sempre mamma, e papà. O la gente crede forse che quando chiedo ai figli: dì a papà che è pronta la cena, in realtà preferirei dire: dì a quello là che sta di sopra dietro al computer e sono già quattro volte che lo chiamo e non risponde e non so se non ha sentito e posso azzardare la quinta, o ha sentito ma è uomo e non si degna di comunicarmi che ha sentito e se poi lo richiamo per la quinta volta si scoccia che sono già cinque volte che lo chiamo e allora chiamalo tu, creatura innocente, al massimo il cazziatone te lo prendi tu, ma così mamma e papà non divorziano per certe cazzate e si sa che la stabilità di coppia va preservata a tutti i costi per amore dei figli, quindi meglio il cazziatone tu che io che lo lascio e poi vi arrangiate.
Ricapitolo per chi fosse rimasto all’ inizio della frase:
E che a farti chiamare per nome poi i bambini si confondono circa il tuo vero ruolo nella famiglia, mentre il mio quando mi chiama mamma sa che io sono la madre (ho capito, questi pensano che i miei figli non abbiano capito che non sono la postina, tocca fargli leggere una volta la lista delle mansioni previste dal contratto collettivo di categoria dei postini, così si convincono).
Allora, io direi: i miei figli mi chiamano come accidenti gli pare e io rispetto le loro decisioni. Poi se io parlando di me stessa dico mamma, anche loro rispettano le mie. I figli vanno presi sul serio e trattati con pari dignità, non come le scimmiette ammaestrate.
Che i figli vadano presi sul serio e trattati con pari dignità non significa che siamo alla pari. Io sono la madre e le decisioni le prendo io. Non capisco quella gente che fa mettere ai figli in camera un televisore o gli mette in mano uno smartphone fuori età e poi fa: eeeh, ma l’ ha comprato con i suoi soldi. A parte che i suoi soldi sono quelli che gli do io (spero o mi tocca chiedere alla buoncostume), sono io che decido se mio figlio a mio parere ha l’ età per avere un televisore o un computer in camera così non posso vedere cosa ci fa, cosa che ritengo mio dovere, visto che il grande ha 11 anni.
Non sono neanche d’ accordo che si faccia l’ account su facebook prima di 13 anni e anche lì devo vedere che testa ha a 13 anni. E tutto questo secondo delle regole che stabiliremo insieme.
E nemmeno pretendo niente dai miei figli. Pretendo le normali regole di convivenza civile, che mi trattino come io tratto loro, educatamente, con amore e considerazione, ma anche con la libertà di sfancularci sapendo che questo non tocca la cosa fondamentale: che io sono la loro madre, che loro sono i miei figli e che ci amiamo da morire e che sono la cosa più importante che ho al mondo. Che per me prima vengono loro, poi il loro padre, poi mia madre e poi il resto del mondo. E che sarà giusto che mi tolgano dal posto più importante nella loro classifica quando sarà ora.
E infine, a me dà un senso di tenerezza e intimità particolare che loro abbiano scelto in certi momenti di chiamarci per nome. Perché lo hanno scelto loro. Che a dire mamma è capace qualsiasi imbecille figlio di qualsiasi cretina. Andate in una spiaggia qualsiasi all’ ora di punta e cominciate a segnarvi quanta gente dice: mamma!
E infine, saranno pure tanto fatti miei come mi organizzo con i miei figli. Finché non mi vedete maltrattarli, ma che gliene importa al mondo come ci regoliamo fra di noi? mi devi per forza far sapere che tutta l’ autorità e l’ influenza e il rispetto dei tuoi figli risiedono nel fatto che ti chiamano con un titolo generico? Pensalo, se ti fa star bene. Ma non dirlo. Che esempio stai dando ai tuoi figli?
Poi vabbè, qualche volta mi danno pure della stronza. Per fortuna non in pubblico, il che dimostra che qualcosa di utile glielo sto pure insegnando a questi figli.