Pimp your bike 3: il triciclone da trasporto

 

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L’ avevate mai visto il classico triciclone da trasporto? Ci vanno anche quattro bambini, anzi, prima o poi ve ne posto uno di quelli che usano gli asili, extralarge e con una tettoietta, dove ce ne ficchi anche 6-7. Tutti con la cintura di sicurezza, ovviamente.

La prima marca a vedersi in giro era la Christiania, che costa un botto (costano tutti un botto), ma è straordinariamente leggero e maneggevole, da non credercisi. Cristina che ne aveva uno scassatissimo (ed è grande la metà di me) una volta mi ci ha dato un passaggio in grand souplesse per il Vondelpark.

Enjoy.

Pedagogo con i figli degli altri: quando il figlio ti chiama per nome

IMG_4145Sotto il titoletto: Pedagogo con i figli degli altri, vorrei tornare a un pezzo di mommy-blogging duro e puro, come una volta quando i figli erano piccoli, ti sembrava di averla inventata tu la maternità, e su Internet era tutto un ciacolare con punte di aspirazione al premio Miglio Madre del Mondo (MMM) nel tentativo di sopravvivere al ciclone figli. Quindi se a voi i bambini piacciono giusto al forno con patate, potete saltare, ma se appartenete al sottogruppo che ama teorizzare sui casi concreti altrui nella serena consapevolezza dell’ impunità, visto che voi di figli non ne avete, leggete, leggete: tutto fa (come dissero i bambini che pisciavano in mare mentre il pedagogo in questione affogava).

Ogni volta che torno in Italia mi trovo alle prese con il giudizio del mondo sui miei figli. Parenti, amici e sconosciuti si coalizzano per regalarmi almeno un commento benintenzionato al giorno. Visto che da vent’ anni mi occupo di interculturalità per lavoro, non posso fare a meno, ogni volta, di notare come certe discussioni siano culturalmente e socialmente determinate. In particolare come sia culturalmente determinato il modo di affrontarle.

Lo scorso anno mi ritrovai a fine cena con persone appena conosciute e gradevolissime che pensarono bene di spiegarmi tipo plotone d’ attacco tutto quello che non andava in noi e come stavo rovinando i miei figli facendone dei disadattati perché, nello specifico, non gli facevo guardare la TV. Io mi incazzai tantissimo sentendomi proprio aggredita, e con motivazioni pretestuose, abbozzai perché eravamo ospiti, mi guardai bene dal dire cosa ne pensavo io dei figli di due e del fatto che la più convinta figli in proprio non ne aveva e mi è rimasta sullo stomaco per dei mesi. Perché erano tutte persone carine e simpatiche e questa carognata inutile non me la dovevano fare.

In questi casi, dipende: io ho questa fregatura del dubbio come metodo di riflessione e dubitare di me stessa mi viene più immediato di dubitare degli altri perché a me mi conosco bene e non ho bisogno di fingere di essere educata con me stessa, mi voglio bene e mi perdono tante cose riprovevoli. E se poi sbaglio a giudicarmi mi perdono, se sbaglio a giudicare un altro prendo delle fregature. Per questo quindi ci metto un po’ a trarre le mie conclusioni.

Il fatto è che negli ultimi anni ci sono capitate una serie di cosette, di cui una certa quantità che avevo previsto già prima del concepimento e che sono state alla base della decisione di vivere ad Amsterdam, altre che non prevedi, ma il bello dei figli è che non ci si annoia mai e ti fregano sorprendono sempre, altre ancora che fanno parte delle infinite occasioni che la vita ti propone per metterti alla prova e, se ti convinci, cresci anche come persona, a meno che non ti portino prima alla neuro. E tutte queste cosette mi hanno allenata, ammesso che ce ne fosse il bisogno, a parlare con tutti, ascoltare tutte le campane, anche quelle stonate, e poi trarne le mie conclusioni e farmi i fatti miei. Se sbaglio, amo farlo in proprio, diceva uno.

Insomma, una delle cose che tutti notano in Italia, è che i miei figli ci chiamano per nome. E subito a dire aah, ma coooome, ma ti chiamano per nome, non ti dicono mamma?  Che per dire, io ho un tale trauma di quei momenti, e nella vita di una madre sono tanti, in cui vorresti stare a farti i calmi strafatti tuoi (si, stavo per dire un’ altra cosa al posto di fatti in strafatti, non prendetelo alla lettera) e intorno a te è tutto una polifonia di mammmammammmammammmammammmmamammmmamamaaaaarghhhhh! Poi che una sbrocca.

E poi questa cosa di chiamarmi per nome se la sono inventati loro mica gliela ho imposta io. Magari avendo capito presto che a chiamarmi per nome reagisco prima e meglio, che ci sono più abituata, ho più esperienza sul groppone a sentirmi chiamare per nome che mamma. (Per esempio, pure il nonno a volte lo chiamano per nome, forse perché sentono 300 volte al giorno la nonna chiamare il marito, e lo rifanno, ma uguale, eh. Stessa intonazione).

E insomma, io ho alcune persone che mi vogliono un gran bene, a cui voglio un gran bene, e che ogni santa volta negli ultimi 10 anni mi riattaccano la questione che no, aaah, loro, ma davvero, loro sono i genitori dei loro figli  (si, e io sono la cognata dei miei figli, ma che state a dire?). Mica sono gli amici (vabbò, un minimo questo lo avevo intuito). Che loro dai figli pretendono il rispetto, che evidentemente in questa visione del mondo il rispetto è una cosa che si pretende, non che ci si guadagna quotidianamente sul campo. E che [digressione, se avete il fiato corto saltate al prossimo paragrafo e pace] a farti chiamare per nome (ahò, l’ hanno deciso loro, mica gliel’ ho imposto io, che poi quando io e maschio alfa parliamo ai bambini dell’ altro genitore diciamo sempre mamma, e  papà. O la gente crede forse che quando chiedo ai figli: dì a papà che è pronta la cena, in realtà preferirei dire: dì a quello là che sta di sopra dietro al computer e sono già quattro volte che lo chiamo e non risponde e non so se non ha sentito e posso azzardare la quinta, o ha sentito ma è uomo e non si degna di comunicarmi che ha sentito e se poi lo richiamo per la quinta volta si scoccia che sono già cinque volte che lo chiamo e allora chiamalo tu, creatura innocente, al massimo il cazziatone te lo prendi tu, ma così mamma e papà non divorziano per certe cazzate e si sa che la stabilità di coppia va preservata a tutti i costi per amore dei figli, quindi meglio il cazziatone tu che io che lo lascio e poi vi arrangiate.

Ricapitolo per chi fosse rimasto all’ inizio della frase:

E che a farti chiamare per nome poi i bambini si confondono circa il tuo vero ruolo nella famiglia, mentre il mio quando mi chiama mamma sa che io sono la madre (ho capito, questi pensano che i miei figli non abbiano capito che non sono la postina, tocca fargli leggere una volta la lista delle mansioni previste dal contratto collettivo di categoria dei postini, così si convincono).

Allora, io direi: i miei figli mi chiamano come accidenti gli pare e io rispetto le loro decisioni. Poi se io parlando di me stessa dico mamma, anche loro rispettano le mie. I figli vanno presi sul serio e trattati con pari dignità, non come le scimmiette ammaestrate.

Che i figli vadano presi sul serio e trattati con pari dignità non significa che siamo alla pari. Io sono la madre e le decisioni le prendo io. Non capisco quella gente che fa mettere ai figli in camera un televisore o gli mette in mano uno smartphone fuori età e poi fa: eeeh, ma l’ ha comprato con i suoi soldi. A parte che i suoi soldi sono quelli che gli do io (spero o mi tocca chiedere alla buoncostume), sono io che decido se mio figlio a mio parere ha l’ età per avere un televisore o un computer in camera così non posso vedere cosa ci fa, cosa che ritengo mio dovere, visto che il grande ha 11 anni.

Non sono neanche d’ accordo che si faccia l’ account su facebook prima di 13 anni e anche lì devo vedere che testa ha a 13 anni. E tutto questo secondo delle regole che stabiliremo insieme.

E nemmeno pretendo niente dai miei figli. Pretendo le normali regole di convivenza civile, che mi trattino come io tratto loro, educatamente, con amore e considerazione, ma anche con la libertà di sfancularci sapendo che questo non tocca la cosa fondamentale: che io sono la loro madre, che loro sono i miei figli e che ci amiamo da morire e che sono la cosa più importante che ho al mondo. Che per me prima vengono loro, poi il loro padre, poi mia madre e poi il resto del mondo. E che sarà giusto che mi tolgano dal posto più importante nella loro classifica quando sarà ora.

E infine, a me dà un senso di tenerezza e intimità particolare che loro abbiano scelto in certi momenti di chiamarci per nome. Perché lo hanno scelto loro. Che a dire mamma è capace qualsiasi imbecille figlio di qualsiasi cretina. Andate in una spiaggia qualsiasi all’ ora di punta e cominciate a segnarvi quanta gente dice: mamma!

E infine, saranno pure tanto fatti miei come mi organizzo con i miei figli. Finché non mi vedete maltrattarli, ma che gliene importa al mondo come ci regoliamo fra di noi? mi devi per forza far sapere che tutta l’ autorità e l’ influenza e il rispetto dei tuoi figli risiedono nel fatto che ti chiamano con un titolo generico? Pensalo, se ti fa star bene. Ma non dirlo. Che esempio stai dando ai tuoi figli?

Poi vabbè, qualche volta mi danno pure della stronza. Per fortuna non in pubblico, il che dimostra che qualcosa di utile glielo sto pure insegnando a questi figli.

Quasi a casa

Sono a casa e non sono a casa. Dopo tutti questi anni di crepe nei muri, rilievi, scalpellamenti, puntellamenti, buchi nei muri, polvere dappertutto e scatoloni sparsi per un trasloco che non si fara’ mai, caa mia a Ofena la sento sempre meno mia. Solo la cucina e’ un pochino agibile, ma il resto, uno sconforto.

Per fortuna che dall’ autunno scorso mamma si e’ trasferita in un MAP, un Modulo Abitativo Provvisorio (detto anche il container di Bertolaso, quelli che diceva che non sarebbe stato necessario far venire, tanto entro 6 mesi L’ Aquila e dintorni sarebbero stati perfettmente ricostruiti), e tranne l’ inverno profondissimo, che e’ il classico periodo in cui viene a trovarci ad Amsterdam e la salita qui e’ ghiacciata e la sua macchinetta non ce la fa, diciamo che ha trovato qui una sua dimensione.

All’ inizio eravamo un po’ perplessi perche’ il posto c’ era a Civita, un paese in cui, guarda caso, non conosciamo proprio nessuno. Credevamo.

Ha tanti vicini carini, perlopiu’ anziani, visto che abitavano tutti nel centro storico che adesso e’ sbarrato e va in malora. E questi vicini si sono ricostituiti la dimensione sociale del paese. Per collocare i MAP hanno sbancato dei pezzi di collina, ce li hanno messi in fila con un passaggio davanti, e la strada un paio di metri sotto.

La signora N, per esempio, una di quelle vecchiette con lo zinale, sul terrapieno davanti casa sua si e’ messa l’ orto, anche se ne ha uno parecchio piu grande in campagna. La signora M., che fa la badante da queste parti, ha creato piccole aiuole lungo la strada con un bordo di sassi mettendoci tutte le piante spontanee della montagna, e la stessa cosa ha fatto un’ altra signora che ha il terrapieno coperto di quelle piante grasse dai fiori viola, bellissime.

Altri abitanti le cui case danno direttamente sull strada e hanno solo il maciapiede, lo hanno riempito di vasi di fiori, ere e qualche piantina di pomodoro. Per noi che non abbiamo mai vissuto in case con la porta che da’ direttamente sulla strada, si e’ aperto un mondo. I bambini, che il primo giorno abbiamo letteralmente dovuto costringere a fare una passeggiata su una strdina che sale verso un bosco du un cocuzzolo, passano il tempo a studiare lucertole, formiche e farfalle. Hanno coperto che la roccia calcarea si stacca dalla collina (‘Mi raccomando, anche se la vedete, NON ENTRATE MAI in una grotta, che pu venirvi gu in testa e non vi troviamo piu”) e passano i pomeriggi dietro casa a scalpellarla per farne armi primitive. Tipo selci, che poi con il Power Tape, il nastro adesivo grigio, attaccano a lance improvvisate.

Il resto del tempo lo passiamo a leggere, pisolare, fare la marmellata con i fichi comprati da una signora con l’ Apetta al bivio di Bussi, invitare zio preferito a cena, fare improvvisate alle amiche che vivono in zona.

E poi, mica era vero che a Civita non conosciamo nessuno. Abbiamo riscoperto vecchi amici di mio padre, tra cui Gina, il boss dello zafferano di Navelli. E mi e’ bastato rientrare a casa sua per riconoscere il corridoio, la cucina, la sala, in cui ero stata da bambina (e le ho preso in prestito per forse 35 anni, uno dei volumi della raccolta delle Mille e una Notte).

Sentire le storie di quando mio padre e suo fratello facevano i corsi per i coltivatori diretti in un paio di province qui intorno, e arrivavano alle 2 di notte con 50 persone per una spaghettata e il caffe’, che lei faceva nella callara.

Farmi raccontare di ricette ormai scomparse, di cui non avevo mai sentito parlare, come le morr’.

E poi per me, sveglirmi la mattina presto, sedermi sulla sedia davanti casa col caffe’ e qualcosa da leggere, e vedermi davanti tutti i campi aperti della Piana di Navelli, e Caporciano di fronte, e il castello di Bominaco arrampicato sul monte. E poi congelari per l’ umidita’, tornare a letto e farmi un’ altra ora di sonno.

E’ come stare quasi a casa.

E poi quasi a casa ci risalgo fra due giorni, tanto ho capito che i figli sono in buone mani, me ne rivado ad Amsterdam a fare un paio di lavori, che non posso permettermi di dire di no ad alcun lavoro, e poi aspettare maschio alfa che vada in ferie anche lui e farci quei 1600 km., soli soletti in macchina, che come terapia matrimoniale dopo un anno in cui abbiamo stretto i denti tutti e due per arrivare in fondo, senza mai un momento per parlare in pace, secondo me fa tanto. E secondo Lorenzo non dovremmo metterci meno di 5 giorn, perdendoci per strada e facendo sparire tracce di noi. Ma credo che la faremo di corsa, tanto e’ tutta discesa. Cosi’ possiamo rpesentare Civita anche a lui.

Shaken, not stirred: lo sporcaccione e le bambine

Non so voi, ma dopo aver letto questa storia qui del delitto d’ onore che ha ammazzato due ragazzine e la loro madre per aver accennato a un passo di danza con dei bambini sotto la pioggia, e dopo aver letto questa cosa idiota qui di una che evidentemente considera normale farsi trombare in cambio del conto pagato al ristorante, mi mancava in effetti il tipo, giovane scrittore in carriera, che se trova delle quattordicenni al parco, nulla riesce a considerarle solo come tette e culi, la cosa lo turba e l’ unica che gli viene in mente è di pensare che lo stupro allora le sue attenuanti ce l’ ha. Però siccome non ha le palle di dirlo, finge che lo dicano delle amiche sue.

Gli amici suoi, invece, con una ragazza in calzoncini corti, mica ci si fidanzerebbero. Eh, no, troie in erba, ci mancherebbe. Continua a leggere Shaken, not stirred: lo sporcaccione e le bambine

1 luglio, Keti Koti: spezziamo le catene

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Oggi è il primo luglio e nei Paesi Bassi si festeggia Keti Koti, la rimembranza della liberazione degli schiavi, una legge per il Suriname applicata dal 1873 (nel 1963 era entrata in vigore, ma con una moratoria di 10 anni che di fatto per quel primo periodo l’ ha resa perfettamente inutile).

Il monumento della schiavitù, che si trova nell’ Oosterpark ad Amsterdam verrà visitato dall’ (ex, mannaggia mi scordo sempre) regina che deporrà una corona, insieme ai nuovi reali. Ma la cosa davvero interessante, se vi trovate dalle parti dell’ Oosterpark, che è alle spalle del Museo dei Tropici, è il Festival.

Il Keti Koti Festival andrà avanti tutto il giorno, il programma lo trovate qui. Io pensavo di riprendere i bambini da scuola ed andarci insieme a sentire qualche concerto. Per noi oggi potrebbe anche rappresentare una piccolissima liberazione da una storiaccia che ci sta rovinando la pace da un paio d’ anni. Ma non anticipiamo, saprete tutto a tempo debito.

Intanto vi linko un altro post sul vecchio blog sul Keti Koti.

Con l’ augurio a tutti di spezzare le vostre catene. Di qualsiasi tipo.