IlOgni volta che o come interprete, o come pubblicista, o come sommelier mi ritrovo in occasioni di lavoro in cui ingrassare per dovere d’ ufficio, mi dico sempre che la miniera è peggio. Certo, è un peccato quando tutti si stanno strafocando e io ho davanti qualcosa di bellissimo e profumatissimo e invece di sbafarmelo devo memorizzare cosa dice l’ oratore del momento per fargli la consecutiva. Ma poi me lo mangio uguale, anzi meglio, che con la roba bollente mi scotto la lingua.
Quindi lunedì scorso mi sono ritrovata nella scuola di cucina al piano superiore del vecchio Ginnasio di Zutphen (città anseatica) che afferisce a un ristorantino chicco chicco (pronunciate alla francese per favore) che si chiama ‘t Schulten Hues.
E questi due bei bimbi qui sopra (cielo, come sono giovani, se penso a che ristorante favoloso hanno messo su, ma è sempre così, chef e matematici il meglio della carriera lo mettono su entro i 27 anni), Peter chef ascetico che devi sorprendere nel momento in cui sorride, e Jacqueline, sommelier e perfetta padrona di casa (“Complimenti, ragazza, ma tu come fai tutto il giorno a lavorare su quei tacchi bellissimi e altissimi”, “Oh, ho scoperto che il trucco è metterseli e poi tanto te ne dimentichi”) hanno messo su un signor ristorante che poi vi faccio vedere nelle foto in basso che ho scattato di nascosto prima di andar via. Anche se noi ci eravamo per una degustazione di olii d’ oliva organizzata da Unaprol.
Ognuno dei piatti serviti aveva uno dei grandi olii di oliva italiani come filo conduttore e con noi c’ erano due esperti, Elia Pellegrino e Francesca Melcarne, che ci hanno raccontato con grande competenza e passione come si fanno i loro olii (quello di Francesca Moreno Cedroni lo utilizza per la pasticceria). Quindi anche come bassa manovalanza è sempre un piacere esserci (e spiegare ai buyer olandesi, come nota a piè di pagina, cosa sono esattamente i polifenoli, che ogni volta che dico che infatti per questo adesso si usano anche nelle creme, vedi le signore presenti accarezzarsi una guancia con uno sguardo di riconoscimento negli occhi, che noi facciamo scienza, mica fantascienza.)
E il bello di questi ristoranti è che non solo scopri modi nuovi di usare i prodotti che già conosci (per esempio il granitè di gin tonic sopra a quello splendido dessert di fragole, mi ha dato un sacco di idee per le cene di Natale) ma anche se per dovere d’ ufficio mangi, non ingrassi. Perché la fame in fondo è una cosa che sta tra le orecchie, non tra le viscere.
Zutphen l’ ho poi vista poco, ma siccome uno dei miei progetti a lungo termine è quello di fare un giro delle città anseatiche, che nella mia ignoranza e pensando a Brema io credevo fossero una roba da tedeschi e invece no, cominciano già nei Paesi Bassi, sappiate che ci ritorno. Vi lascio adesso con alcune foto degli splendidi interni di ‘t Schulten Hues, dove i menu degustazione costano dai €45 euro in su, e quindi neanche poi più di uno di quei tremendi ristorantacci italiani di Amsterdam per turisti, ma almeno sapete cosa mangiate. Io ci torno, voi fate come vi pare (Marina, dico a te, tu ci vieni, vero?)
Non ci metterei niente a fare la food-blogger: mi occupo di eno-gastronomia, organizzo degustazioni, scrivo ricette a pagamento, ho da oltre 10 anni una rubrica fissa di cucina, mi interessa – e so un mucchio di cose -tecnicamente come è fatto quello che mangiamo e per ottime e abbondanti ragioni professionali finisco a mangiare in posti favolosi (come ieri a Zutphen in un ristorante stellato che vi descriverò presto.)
Insomma, materiale dovrei averne abbastanza, ma è il fisico che mi manca. La forma mentis.
Cioè, si capisce guardando le foto.
Io le cose buone me le mangio prima di fotografarle. Cioè, proprio mi scordo.
Inutile, non potrò mai essere una food-blogger seria.
Diciamo che mi volete bene lo stesso e che mi perdonate? Qualche ricetta in fondo la metto ogni tanto.
Diverse e uguali nella necessità di mettermi sotto, farmela alle spalle, sottolineare tutte le mie mancanze, mentre loro invece, loro si che sono organizzate e le cose le dicono in faccia. Tranne le volte che te la fanno alle spalle. Poi se glielo fai notare che te la stanno facendo alle spalle, magari ti aggrediscono verbalmente.
In cinque anni però succedono tante cose. Io per esempio, mi sono trovata una terapeuta fantastica. Quindi non piango più. Magari mi incazzo. Si, dopo un annetto di lavoro, ho scoperto che finalmente mi concedevo di incazzarmi. Poi superi anche quello. Ci rimango male, questo si, ma guai se non fosse così. Elaboro. E cancello.
come si vede che ero in vacanza, potevo farmi le unghie
Di vita in fondo ce n’ è una sola, troppo corta per scazzarsi. Specialmente con chi i problemi suoi, invece di trovarsene uno bravo, preferisce lanciarmeli addosso. Non hanno capito che sono diventata uno scivolo.
Oh, pazienza, mica posso piacere a tutti? Ma sospetto che a qualcuno piaccio così tanto che hanno bisogno di sentirsi meglio di me. Prego. Tanto sono unica. Inimitabile. E fra un pochino, anche inossidabile.
Mentre aspetto al semaforo due anziani ciclisti, uno con un barbone grigio sull’ hippy, fanno tutto un curvone (hai, guardato, ho taciuto, ho pensato…., mah, son piaciuto, no è che io da sempre rimorchio spontaneamente i signori anziani), si accostano al finestrino e mi fanno: “Signora, guardi, ha una gomma a terra.”
Azz. Supero l’ incrocio piano piano, entro in una stradina senza via d’ uscita lungo un canale e mi metto al lavoro. Orso si accoda con entusiasmo. Io la gomma la saprei anche sostituire, ma essendo una Greenwheels chiamo prima l’ help-desk. Che contatta l’ automobil club che in Olanda è l’ ABWB.
Siamo quasi in centro,
Perché quello che mi frega è che, per quanto attrezzata, in macchina non ho niente per tirar via il comprimozzo e iniziare, a meno di non farlo con i denti. È il problema delle auto condivise, che sono sempre talmente vuote e impersonali (ordinate, questo si, e pure pulite, tranne il periodo che puzzava sempre di cane bagnato perché evidentemente qualcuno ci si portava il cane).
Ma siamo anche in un angolo isolato di campagna schiacciato tra la ferrovia e il canale che dall’ altro lato costeggia la caserma della marina e che quindi è off-limits. Se al guardate su google maps questa strada, c’ è una macchia oscurata dal segreto militare. Mentre dal nostro lato c’ è una fila di barconi abitati, e come succede con i barconi, si appropriano sempre di un pezzetto di marciapiede o di strada contigui per metterci dei giardini estemporanei piantati nei contenitori più disparati (quando nei blog creativi vi fanno vedere che si può sempre usare un vecchio copertone per riempirlo di terra e piantarci le primule, magari dopo averlo verniciato, che so, di bianco, il bianco va sempre bene sui copertoni direi, ecco, pensate a quel tipo di robe lì), divanoni fatti con i pallet, legnaie piene della qualunque, qualcosa per i bambini che va dalla piscinetta, al giardino galleggiante con sopra altalene e scivoli piazzato tra la barca e il molo.
“Arrivano entro un’ ora”. E in quell’ ora noi ce la siamo goduta raccogliendo fiori di sambuco, perché ho dimenticato di dirvi che questo post l’ ho abbandonato tra le bozze a giugno, ma era giugno, l’ unico pomeriggio veramente caldo che ricordo di quel periodo, e mentre aspettavamo o l’ ANWB, o il maschio alfa che di ritorno dal lavoro venisse a ritirarsi la prole, che aveva fame giustamente e allora a un certo punto gli ho messo in mano dei soldi (che fortuna, qui si usa sempre e ovunque il bancomat che i contanti non li hai quasi mai) e li ho spediti a comparsi qualcosa da Hanneke’s Boom, tanto perdersi non si potevano perdere, quella strada tutta dritta con i barconi e il canale da un lato e la ferrovia dall’ altro finisce a un ponte girevole, vicino alla sala da arrampicata che vedete sempre dal treno subito prima della stazione quando il treno arriva da est e dietro il conservatorio, e sappiamo tutti, quindi che prima del ponte c’ è questo locale con due lati affacciati sull’ acqua, e lo sappiamo dai tempi in cui il venerdì, dopo la scuola, si andava al conservatorio per le prove del coro di Ennio, che una volta ha rifiutato di andarci, terrorizzato dalle femmine più grandi di lui tra le coriste e ci siamo andati a consolare da Hanneke’s Boom con un panino alla crocchetta.
Perché sapevo che su quella strada lì, che tutta la scuola conosce perché la fanno a piedi quando li portano in biblioteca, non si sarebbero persi, anche se sono quasi due chilometri. E la prospettiva di un gelato al termine della strada fa tanto per la motivazione a camminare.
E in quel momento è arrivata la salvezza in forma di moto di servizio dell’ ANWB, cavalcata da un signore piccolo, magretto, sessantino, con i capelli grigio ferro e la voce acuta. Che poi ho scoperto/capito, ma il dubbio mi resta, che probabilmente era una signora, piccola, sessantina e con i capelli grigioferro cortissimi. Ecco io non so voi, ma a me qualsiasi mezzo da lavoro con tutti i cassettini, le valigette, le nicchie, gli attrezzi, tutto così compatto ed efficiente, penso per esempio anche alle toilette degli aerei, ecco, a me mi affascinano. Vorrei averla io una casa compatta ed efficiente, anche se mi rendo conto dopo tanti anni che non ho il carattere.
E improvvisamente ho pensato, colma di gratitudine, che a me in un’ altra vita e a saperlo prima mica mi sarebbe dispiaciuto fare il meccanico volante sulla moto per l’ ANWB. Tanto le riparazioni che puoi fare con quella secondo me sono limitate a lampadine, batterie scariche e gomme forate e poco più che potrei imparare. Perché ad essere attrezzati persino quel po’ che so fare lo farei meglio.
La signora era attrezzatissima, a cominciare dai guanti di gomma, allo stuoino su cui inginocchiarsi, poi uno dice l’ efficenza e la meraviglia di quegli spazi di lavoro compatti e attrezzati eccetera che mi affascinano. E mi sono anche ricordata che, inutile, i motociclisti a me hanno sempre fatto sangue esclusivamente per quei bellissimi pantaloni in pelle e gli stivali. Così, tanto per farmi venire il dubbio del feticismo pure io.
E mi sono anche ricordata perché a me la meraviglia di essere socio ANWB e godere di questo tipo di assistenza gratis, anche se in questo caso pagava il mio abbonamento con Greenwheels, che è tutto compreso:
“Ho forato, adesso devo cambiare la ruota, ma se sei per strada ti vieni a prendere i bambini?”
‘Ma scusa, hai chiamato l’ help-desk della Greenwheels? Che ne sai se puoi o non puoi cambiartela da te, magari hanno l’ assistenza apposta”.
Ce l’ avevano (e poi i telefonisti della Greenwheels, che dall’ accento direi che stanno in Belgio, sono di un gentile, comprensivo, adorabile che aspetti pure con piacere quegli, spesso, dieci minuti di attesa con la musichetta atroce nelle orecchie. Ecco, l’ unica cosa che vorrei dire alla Greenwheels che potrebbero migliorare sono le musichette dell’ attesa, ma dipenderà da me, ma i loro telefonisti, tanto di cappello, sarà che sono belgi e noi dai servizi olandesi questa comprensione e cortesia ce li scordiamo, perché gli olandesi, tanto carucci signora mia, ma l’attitudine al servizio per motivi loro storici, culturali e di culto della democrazia, manco sanno dove sta di casa e per accertarsene basti chiedere un bicchiere d’ acqua in un qualsiasi locale del centro di Amsterda. Se sopravvivete al trauma.)
Comunque, doveste trovarvi in panne, una cosa che per il fatto che a un certo punto, dopo il fallimento della Opel che aveva sempre qualcosa, i miei hanno rinunciato a comprare macchine nuove e ne avevamo sempre di usate, alcune favolose, altre degli autentici bandoni, come li chiamava mio padre (ho scoperto dopo, ma anni dopo, che il bandone non era una macchina malridotta, ma uno strumento teatrale composto da strisce di lamiera, per riprodurre il rumore del tuono, ma capisco l’ associazione con il cumulo di ferraglia schiamazzante a ogni giro di ruota) e quindi il terrore di rimanere per strada, magari di notte, in me risale a quel periodo, un trauma signora mia, ecco, se vi trovaste per strada in Olanda chiamate tranquillamente l’ ANWB al numero 088 2692 888.
E per abbonarsi si parte da € 50 l’ anno, più una serie di servizi aggiuntivi, chi li vuole, come l’ auto sostitutiva ol’ Europa Service, che in un paese piccolo come l’ Olanda andare fuori porta significa a volte anche trovarti oltreconfine che manco te ne accorgi, ma il tuo telefonino e altri costi te ne fanno accorgere subito.
E no, non mi pagano, ma forse dovrei farmi pagare. E suppongo pure che vi mancavano questi miei bei post incoerenti, con gli anacoluti e le frasi che partono, cambiano strada e si arenano, proprio come la Greenwheels, in una stradina senza uscita e senza ANWB per il periodare complesso e accartocciato, cosa dirvi, io mica li correggo, li lascio lì. Che anche nelle stradine senza uscita delle frasi complesse si trova qualche fiore di sambuco profumatissimo da cogliere. Lo, so, vi erano mancati. Non ringraziatemi.
Grazie a Michela Mazzeo che per prima mi aveva parlato di questo posto in cui avrebbe potuto esporre e vendere i suoi gioielli tessili ispirati al mare e alle alghe, ho conosciuto la mente dietro il progetto, che vi presento in tutto il suo splendore (no, ma l’ avete visto il giardino sul retro di questo negozio?) Vi dico solo di passarci appena potete, perché quel paio di foto che posso farvi vedere io non rendono proprio. E quanto prima apre anche il negozio di Milano.
E cos’hanno di preciso?
E cos’hanno di preciso?
Mi sono immediatamente appropriata di una di quelle rane in vetro di Murano. Perché mi sono tenuta. Per conoscere meglio il progetto e gli artisti che ci espongono, potete sempre guardare qui. Io uno di questi giorni torno a farmici un giro.
Fra le altre questioni trattate, la mia riflessione era: in US, pare, hanno funzionato moltissimo le universita’ solo femminili, in Italia sarebbero impensabili non soltanto come realizzazione, ma soprattutto come concetto, se gia’ le quote rosa fanno storcere il naso a molti, la cultura specie di sinistra secondo me guarderebbe a questa soluzione con indignazione, o, ad andare bene, con snobismo. Voi che ne pensate?
Italia: dove è andato a finire tutto il femminismo?
Gli italiani hanno recentemente tenuto manifestazioni in supporto della dignità delle donne. “Se non ora, quando?” è la domanda. Quando le donne diranno “basta!”? Nel tentativo di spiegare l’apparente apatia delle donne nei confronti di quel circo offensivo che è la vita non-tanto-privata del Primo Ministro Silvio Berlusconi, i media ritritano una litania di razionalizzazioni. Menzionano gli stereotipi del macho italiano, citano un gender gap più grande di quello del Kazahkistan, o il fallimento del movimento femminista italiano.
Nessuna di queste spiegazioni racconta tutta la storia, e tutte sorvolano sulla grandezza e il background delle immense conquiste del femminismo italiano.
In uno splendido (ma mai distribuito) documentario del 2009 “Ragazze la Vita Trema”, la regista Paola Sangiovanni ha filmato la storia del femminismo italiano, dalle origini nella politica radicale degli anni 70, lasciando parlare i partecipanti. Battaglie epiche per il divorzio (1971) e l’aborto (1978) unirono le donne attraverso tutto lo spettro politico e sociale. Ma, per quando si arrivò agli anni 80, il fervore era spento. Il movimento si era esaurito dalla mancanza di cause unificanti e interne lotte ideologiche. L’assassinio della diciannovenne Giorgina Masi durante un corteo nel 1977 (probabilmente per mano di un poliziotto in borghese) potrebbe essere stato l’ultimo colpo. Come una delle partecipanti ricorda “demoralizzate dalla violenza, ci siamo chiuse su noi stesse, su droghe e le nostre vite private”.
Il declino dell’Italia nella classifica del gender gap internazionale è una fotografia di questa rassegnazione. Altre nazioni si sono mosse in avanti mentre l’Italia è rimasta ferma.
Negli anni 1980, il movimento femminista US perse sull’emendamento sulla Parità di Diritti, e parve crollare. Ma invece di chiudersi all’interno verso la vita domestica, le donne Americane optarono per la carriera, entrando in campi dominati da uomini e alla fine raggiungendo livelli di status professionale invidiati in Italia. Cosa aveva il movimento US che mancava a quello Italiano?
Il femminismo italiano fu imprevedibile. Arrivò veloce e duro. Aveva “le palle”. Quello che non aveva erano “le spalle”. Il supporto della storia, e di strutture e reti parallele forti necessarie per sostenerne la crescita.
Il movimento US nasceva come il movimento Abolizionista contro la schiavitù (molti dei leader del quale erano donne). Lo slogan sulla maglietta del centenario dello Smith College “1875-1975: Un secolo di donne al top” non era totalmente faceto. Negli anni 70, diplomate a Smith, Wellesley, Vassar, Mount Holyoke, Radcliffe e college simili (nota, sono tutti college per sole donne), tutte grandi università fondate per dare alle donne l’istruzione che i loro fratelli ricevevano nei college tutti maschili della “Ivy-league” (nota, l’insieme delle università più prestigiose e orientate alla ricerca in US) in effetti ce l’avevano fatta ad arrivare al top.
In college dominati da uomini, queste donne sarebbero state incorporate in strutture tradizionalmente maschili, con risultati prevedibili. Invece, a queste donne veniva insegnato da altre donne, e venivano guidate da altre donne. Professoresse e presidentesse fornivano modelli positivi e immediati. Erano al comando e al contempo si aspettavano leadership. Come risultato, le diplomate hanno portato le abilità, le aspettative, e i punti di vista sul potere e il ruolo delle donne nelle loro famiglie e comunità.
Nella piccola cittadina dove sono cresciuta, donne laureate gestivano la vita culturale e benefica locale. “Semplici casalinghe” gestivano budget multimilionari e organizzazioni complesse di orchestre sinfoniche, teatri, chiese e ospedali paramedici. La Lega delle Donne al Voto organizzava dibattiti politici e registrava gli aventi diritto di voto. Molte riversavano la loro esperienza in carriere pubbliche. Queste donne erano i partner civili (anche in casa) dei leader maschili, che non avevano altra scelta se non rispettarle e ascoltarle.
Mia madre e tutte le sue amiche erano laureate. Io sono la quinta generazione di donne laureate in famiglia; la sorella del mio bis-bis nonno fu la prima donna ammessa in corte nello stato di New York. Mentre lo dico con orgoglio, non lo dico però per vantarmi, ma per illustrare il mio punto. Donne come queste non solo erano modelli per altre donne, ma erano fondamentali nell’aiutare a educare gli uomini – fratelli o mariti – a rispettare alte aspirazioni di donne forti. In campi maschili ostili, io sapevo di avere alleate. Il mio padre tradizionalista non si aspettava che io diventassi un dottore o un avvocato. Si aspettava che io diventassi leader.
Le mie scuole, qualsiasi fossero i loro difetti, insegnavano leadership. Progetti di gruppo, consigli di studenti, e le tante micro-democrazie fatte in casa della vita americana, integrano le donne americane nel processo decisionale. Il processo può avere falle, ma esiste e prospera.
Lungo la strada, le donne hanno acquisito una rete di supporto a molti livelli, basata su ideali comuni, competenza e amicizia. Questi legami resilienti erano trasversali a ideologia politica, geografia e classe sociale. Se sbattevi contro un muro, c’erano posti dove voltarti, lavori da fare.
Confrontiamo con l’Italia. Il suffragio universale arrivò – appena – nel 1946. Molto poche delle mie amiche italiane con lo stesso background socio-economico del mio hanno madri laureate. Con il mondo culturale italiano gestito dallo stato (uomini) e il mondo della beneficenza gestito dalla Chiesa (ancora uomini, in gonna), la sfera domestica era l’unica rimasta per le donne, non importa la classe sociale o il livello di istruzione. La rete sociale femminile italiana era (ed è) basata su classe sociale, città o famiglia. Quindi, quando il femminismo ha sbattuto contro un muro, l’unico posto dove andare fu, letteralmente, a casa.
Oggi, l’assenza di queste strutture parallele e reti di salvataggio significa che i problemi dell’Italia colpiscono le donne con estrema durezza. E questo non sembra promettente per il gender gap.
Chi è più spremuto da una società di vecchi ragazzi dove il merito non significa niente? Le donne. Chi perde in una economia stagnante? Giovani laureati, la maggior parte dei quali donne. Chi prende su di sé le carenze di cattivi servizi pubblici? Madri e figlie. Se la correlazione fra scuola e lavoro è bassa, chi soffre? Ragazze senza modelli di ruolo. Senza un buon modello di ruolo, cosa scelgono le ragazze?
Sara Tommasi, la laureata in economia della Bocconi che ha preferito la carriera in TV a quella in finanza può non aver agito irrazionalmente.
Al corteo “Se non ora…” il giornalista e autore Beppe Severgnini si è lamentato che gli slogans e il formato erano stanchi e datati. Ha sfidato le organizzatrici a trovare idee nuove e fresche. Alcune di quelle vecchie dall’America potrebbero essere un buon punto da cui cominciare.
Cari e belli, siamo rientrati, la scuola è ricominciata lunedi, io ho attaccato subito a lavorare e non ho avuto il tempo di fare un po’ di decompressione, per cui latito ancora da questo spazio. Ho in bozza alcuni post, ma visto che oggi è uscito un mio articolo per Genitori Crescono, intanto comincio da qui.
Quelli di voi che mi seguono regolarmente qualcosa sanno o hanno intuito, ma in realtà è solo durante le vacanze che mi sono resa pienamente conto di che tre anni di merda che abbiamo alle spalle. Io non posso raccontare sul blog tutto, ma proprio tutto quello che mi passa per la mente, non sembra visto che sembro la rana dalla bocca larga, ma purtroppo negli spazi pubblici si adottano le buone maniere da spazio pubblico.
Questo articolo mi è uscito fuori qualche mese fa nelle discussioni di redazione con Genitori Crescono, è uscito da sé spinto dall’ urgenza di parlare con chi avesse avuto problemi del genere e da tutto ciò è poi nato il tema di questo mese su Genitori Crescono: Genitori contro tutti. Perchè parlando scopri che non sei da solo, che altri hanno a volte la sensazione di stare a combattere con i mulini a vento, che ti accasceresti volentieri anche perché nel frattempo non è che la vita si mette in stand-by e ti aspetta, no, il lavoro va avanti, gli amici, la vita sociale, i saggi di fine anno eccetera. Forse per questo, anche se le vacanze sono state bellissime e appaganti. io e il maschio alfa siamo ancora stanchi.
Ma ne parli, ti sfoghi e gli altri parlano a loro volta e scopri così di non essere da sola. Scopri che anche se molta gente non capisce davvero quale sia il problema, alcuni lo capiscono benissimo, o perché ci sono passati anche loro o perché sanno immedesimarsi ed ascoltare. E quando hai il sostegno adatto riesci a superarti, ad andare oltre te stessa, a universalizzare quello che impari strada facendo.
Su Genitori Crescono ho trovato lo spazio che qui, da sola, mi mancava e forse ho detto più di quello che avrei detto qui, grazie anche al sostegno morale e materiale dei vari colleghi che ringrazio tutti: Serena e Silvia innanzitutto, che mi e ci offrono lo spazio per fare discorsi elaborati a un uditorio sensibile e attento, la sbloggata Supermambanana, Polly,Valewanda, Chiara, Luana, Silvietta, Elisa, l’ ineffabile Gasp .
Che dirvi di più, più di quello che hanno detto loro a me in tutti questi mesi? Parliamone, pensiamoci, cresciamo, impariamo.
Vi metto qui la foto che non abbiamo messo di là, è un momento di gioco al Nemo, ma si presta a tante interpretazioni.