Bagagli coi figli

I maschi Diga al mare cambiano faccia. E passano giornate e nottate in mutande. Mi dite che le faccio a fare le valige?

Domattina ci alziamo alle 4 per partire e io sto facendo i bagagli. No, non con il metodo Spora, perché devo aggiungere al mio il bagaglio di due figli minorenni. Ma quello è fatto. E perché io sono della scuola: imbarchiamoci con RyanAir senza rinunciare a tutto, tanto una volta che una pesa 90 kg. (diciamo pure 95, va), si drappeggia un po’, insegue i figli di cui trascina le valige, perché a casa nostra tutte le cose a rotelle, indossa il meraviglioso impermeabile di Stella Mc Cartney per H&M che ha due tasconi in cui infilare mezzo prosciutto in 1 e almeno 9 copie di Statale 17 nell’ altro, che problema c’ è? Ti porti dietro la qualunque e pur di togliertisi di torno la gente manco ci fa caso quanti colli effettivi ti stai incollando (noi tettone con le giacche ampie ci infiliamo tre borsette sotto l’ ascella e non ci fa caso nessuno, con la giacca fluttuante di sopra).

Magari adesso che è estate l’ impermeabile sarebbe troppo, ma la cosa fondamentale, in viaggio, è avere scarpe comode e tante tasche. E il mio sciallino di cotone o seta multiuso. E un borsone dell’ Ikea, io ne ho uno tutto colorato al momento che non sembra manco lui, da ripiegare e in cui trascinarsi dietro tutti gli elementi di primo soccorso quando si viaggia con i figli, sciallini, golfini che in aereo fa freddo, mangiarini, beverini, giornalini e qualche giocattolo. Intanto che mi trascino per i terminal il borsone è una mano santa, quando sono piccoli puoi pure infilarci quello indisciplinato dei figli così sei sicura di non perdertelo. Al gate butti la monnezza, ripieghi il borsone, annodi i golfini intorno ai fianchi del proprietario e gli sciallini intorno al collo, ognuno la sua bottiglia e il suo giornalino in mano e via, si entra.

E la prima prima volta che ho viaggiato da solo con loro due senza passeggino, ho tinto con il tie and dye tre magliette identiche e in colori forti (rosso, mi pare) per tutti noi. Perché se ti dai la divisa e devi descrivere un bambino scomparso, fai subito a dire: ha una maglietta rossa identica a questa. E poi in genere non lo devi neanche dire perché il trucco è che la gente le associazioni le faccia da sè. Come la volta che davanti al gate strapieno mi volto un attimo, 2 minuti prima di iniziare l’ imbarco ed Ennio, che aveva forse 3 anni e mezzo, era sparito. Mi tuffo in corridoio con Orso al collo, e già in due con la stessa maglietta si vedono. Poi con la faccia della madre in ambasce e lo sguardo che scandagliava la folla (il body language, oltre alle magliette identiche, fa tanto) e un paio di persone davanti la toilette senza neanche chiedertmi nulla mi hanno indicato il bagno dicendo in due lingue diverse: è andato lì. E lì in effetti stava, a ispezionare i bagni.

Nell’ ultimo paio d’ anni ho perso un po’  la mano nel viaggiar leggero con i figli, perché non avendo più la casa agibile, si andava e tornava in macchina con il maschio alfa. Ma a questo giro abbiamo una decina di giorni in più per conto nostro, in cui andremo a trovare amichetti e amiconi, sto organizzandomi per due weekend di scrittura, uno in Valle Roveto tra Abruzzo e Lazio e l’ altro ad Arcevia, nelle Marche. E torniamo con Ryan Air portandoci due neodiciottenni, figlia di una amico di gioventù che si è sposato prima di noi e la sua amica.

Amico rivisto l’ anno scorso dopo 25 anni per scoprire che:

a) ha sposato l’ amica di gioventù della mia amica abruzzese dietro casa ad Amsterdam (eh, le amicizie di gioventù);

b) ha un figlio coetaneo di Ennio e i due si sono presi tantissimo;

c) ha una figlia più grande deliziosa con cui ho scambiato poche parole, ma essenziali.

Per cui il padre mi scrive la settimana scorsa dicendo: Emilia ha detto che per i 18 anni non vuole la festa ma vuole venire ad Amsterdam, sostiene che l’ hai invitata tu. Certo che l’ ho invitata, la gioventù va fatta muovere. Gli ho risposto di prenderle il biglietto per il nostro volo di ritorno e farle portare un’ amica e se risultava essere un’ amico io al padre l’ avrei rivelato solo con l’ autorizzazione dell’ interessata. Pare sia un’ amica. Ma noi non ci formalizziamo.

Insomma, giusto per tenerci leggeri oggi pomeriggio ho ritirato fuori dalla baracca una sessantina di bottiglie per i pomodori da 740 ml. e 4 cassette di barattoli 4stagioni. Mi sa che ci entrano un 120 kg. di pomodori a questo giro. Visto che io rientro con Ryan Air e quattro pargoli, vuoi che il povero maschio alfa debba fare il viaggio con la macchina vuota, che poi si sente solo? Lo rimpinzo di barattoli, olio e altri generi di conforto per superare il lungo inverno freddo del nord. Tanto Ennio si è già capito che lo collochiamo 5-6 giorni con Alessandro a Lanciano.

Io mi farò una piccola luna di miele con Orso che ci fa tanto bene e vorrei portarmelo da Polly Wantsacracker  che ha le gemelle quasi coeve ad animare un paio di serate in negozio da lei. Vedrò amici. Farò cose. Finirò il libro che esce ad ottobre (lo dovevo finire prima di partire, ma che coss’ è l’ amorrr). Oppure, a parte il libro non farò un bel niente. Ma proprio niente. Per una settimana non dovrà  pianificare la vita di nessuno ne essere responsabile della felicità di qualcuno. Che le vacanze sono anche questo e quest’ anno mi servono tutte. E soprattutto con l’ anno che mi sono lasciata alle spalle e quello che sta per arrivare (ho una cosetta carina in ballo per dicembre, ma ancora non la posso dire) a questo giro ma sai quanto le devo ricaricare le batterie?

Per cui abbiamo appena deciso che non partiamo alle 4, che ci alziamo con calma, chiudiamo casa e tasse come si deve e chi partirà arriverà. Sono tre anni che non riusciamo mai a partire il giorno previsto, perché a questo giro me ne sono stupita?  Almeno abbiamo spalato il letame da camera di Ennio, che ce n’ era un gran bisogno e dovevamo rendere la camera un po’ carina per l’ ospite con cui facciamo scambio casa.

“Ho buttato due sacchi di roba”, fa il maschio alfa.

Bravo, ci voleva anche questa per partire più leggeri.

Insalata di riso finto thai (perché me la sono inventata io)

Ispirata da Dissapore, oggi mi è venuta in mente una ricetta per l’ Insalata di riso in versione thai. Perché adesso che stiamo partendo per l’ Italia un thai come si deve per un mesetto mi mancherà.

Se vi avanza del riso basmati usatelo, altrimenti cuocetelo senza sale secondo le istruzioni del pacchetto. Il sistema migliore è o al microonde, che i chicchi vengono belli staccati, oppure cuocendolo in tanta acqua e quando è un po’ al dente scolarlo, rimetterlo in pentola, coperchio sopra e a fuoco bassissimo o con il solo calore della pentola, fatelo finire di cuocere. Il basmati è un riso a chicco lungo quindi di suo, con pochi accorgimenti, evitiamo l’ effetto mappazza del riso a chicco tondo. Conditelo subito con della salsa di pesce thai, che sarebbe anche l’ equivalente della colatura di acciughe, quindi se vi viene più facile la seconda, fate pure. Così lo salate e insaporite in un colpo solo.

Quando è tiepido conditelo con olio di sesamo, quello vero, non quello finto che c’ è scritto flavoured e allora vuol dire che è un olio vegetale qualsiasi profumato al sesamo, l’ equivalente asiatico dell’ olio al tartufo. Grazie no. Il vero olio di sesamo profuma di nocciola tostata ma quel profumo lì te lo ritrovi anche in bocca, dopo.

Per riempirlo, io ci metterei cipollina a rotelline sottili, cubetti di tonno appena scottati in padella antiaderente con un filo di salsa di soja (o gamberetti, se vi viene meglio), fagiolini verdi in pezzettini stir fried, magari insieme al tonno che ti spicci, anche se gli rovina un po’ il verde brillante, e una spruzzatina di coriandolo fresco tritato sopra, oppure se i commensali sono i soliti italiani che non sono abituati al coriandolo fresco, una manciatina di semi di sesamo bianchi e neri mischiati. Per un tocco di rosso ci metterei dei peperoncini freschi tagliati diagonalmente in cerchietti piccolissimi, magari eliminando i semi prima, oppure se proprio ti fanno soffrire, mischiali a un po’ di peperone rosso crudo a fettine sottilissime.

Basta? Basta. Adesso o devo convincere figlio 1 a mangiare il riso e figlio 2 a mangiare una cosa con più di tre ingredienti ben identificabili, o se ho tempo lo faccio al volo per me e il maschio alfa. E per i figli, pizza surgelata quando tornano dal campo estivo stasera.

Torneranno rossi, eccitati, rompini come mai e mi tocca pure controllargli i mozzichi di zecca mentre loro vogliono solo la mezzoretta al computer. Decisamente si, una bella insalata di riso a pranzo ci sta tutta.

Tutorial estivo: tappetini all’ uncinetto con magliette riciclate

 

È il primo giorno delle nostra vacanze scolastiche e mi sembra un buon momento per proporvi una delle mie ultime manie, quelle cose che leggi su certi blog, che poi ne leggi altri, che poi rimandi, che poi te lo scordi e alla fine ti dici adesso, dopo che hai messo per dei mesi da parte magliette che saltano fuori e impicciano ogni momento. Poi consideriamo che i figli hanno certe magliette affezionatissime che non si possono più vedere, non so se sapete quelle magliette che crescono col bambino e sono tre anni che ce l’ ho tra i piedi.

Insomma, ho venduto a Ennio l’ idea che se mi fa usare le magliette così poi restano sempre con noi e la cosa lo ha convinto.

Poi l’ altro punto è che tappetini tondi semplici che mi piacciano ne trovo pochi. E se li trovo costano. E se li compro perdo tempo invece di guadagnarne, perché ho scoperto che a me fare all’ uncinetto piace un sacco nei momenti di attesa, che a me le attese mandado fuori di testa, i ferri sono grossi e impicciano, invece come dice Soulemama, un gomitolo di lana e un uncinetto li metti in tasca e te li porti ovunque ci sia da attendere.

Poi lo dico subito io non sono una principessa del fatto a mano, anzi, uncinetto ho imparato a farlo un paio di anni fa con un filmino su you tube speditomi da Roberta Castiglione di Lane d’ Abruzzo, una donna che invece il fai-da-te lo propaga come missione nella vita.

Avendo imparato su un tutorial per un basco, so solo lavorare in tondo, ho fatto cappelli e baschi per chiunque e adesso era ora di passare a altro. Poi io voglio vedere subito i risultati, quindi un uncinetto misura 12 mi è più congeniale. Ne ho uno enorme di legno che così mi passa anche i controlli del bagaglio a mano in aereo, dove le attese sono la regola.

E la cosa semplice è anche che i colori che ci mettiamo addosso alla fine sono o dovrebbero essere quelli che ci piacciono di più, quindi combinare è facile e ci ritroviamo i nostri colori preferiti. Una cosa che con il prodotto diva del momento, gli HookedZpaghetti (sono un prodotto olandese, lo sapevate?) a me non funziona, mi ero provata a fare una borsa lo scorso anno, ma i colori che propongono loro non sono quelli che piacciono a me (sono olandesi, come dicevo, abbiamo un senso estetico diverso).

Allora prendetevi un po’ di magliette vecchie o altri capi in maglina, possibilmente di cotone, ma va bene anche il filato misto delle magliette stretch e ritagliatelo per ottenere un nastro continuo. Io ho tentato con due tecniche, una che ha bisogno che tu stia a fare solo quello, meglio se su un bel piano d’ appoggio. Ho tentato anche di usare la rotella per tagliare le stoffe, ma non va, meglio delle belle forbici affilate.

Qui vedete un metodo che non è quello che uso io, bella l’ idea per legare due strisce, ma io faccio semplicemente un nodo che faccio capitare sul retro del tappeto.

 

Anche se nella foto non lo faccio su un tavolo e la foto è mossa perché avevo solo una mano per farla l’ idea è di piegare una maglietta a metà nel lungo e sotto le ascelle tagliar via la parte con le maniche in modo da avere un tubo. Questo tubo lo stendete e lo piegate in due e poi cominciate a tagliare come in foto. Arrivati a un cm. dalla fine lo lasciate attaccato e ripartite con la striscia successiva. Alla fine vi ritrovate una cosa così:

Il motivo per cui non si taglia fino alla fine è che così avete modo, fra poco vedremo come, di fare una lunga striscia continua.

Ora la parte che dovete tagliare per fare la striscia continua in questo punto deve essere tagliata in diagonale, in modo che alla fine di ogni striscia vi prendete la striscia successiva. Per farlo, appiattite sul tavolo questa parte della stoffa.

Prendere l’ inizio del pezzo di stoffa e tagliarlo in modo che il capo venga così a punta, se arrotolate questa striscioline di stoffa, nel momento in cui arrivate al punto del taglio successivo, ricordatevi la diagonale e si capisce da sé.

Arrotolate e usatelo come un normale filato o fettuccia. Aiuta anche, quando arrotolate, tirare il filo in modo che i bordi tagliati si arrotolino un pochino. E la striscia così facendo si allunga. Abbinate i colori che vi piacciono di più, a me questa combinazione è sembrata molto estiva, ma già ho tirato fuori delle t-shirt invernali tra viola, arancione e rosso, per farne una versione primifreddi (se riesco a finire questa, that’s it).

E se usassi le presine, me ne farei un paio con il cordino bianco e rosso per legare gli arrosti. Insomma, una volta che si è capito come funziona l’ uncinetto, basta guardarsi intorno per trovare i filati che volete. Una volta, per esempio, è andato di moda il tagliare a strisce le buste di plastica per fare degli stuoini da esterni, ma non è un materiale per me.

Buon divertimento.

 

 

 

 

Shaken, not stirred: il patema del figlio speciale

Avevo iniziato a scrivervelo in modo molto diverso, ragionato, a rate, pensando correggendo, ci sto da tre giorni, non sono ancora all’ inizio e mi sono già stufata, quindi mollo gli ormeggi e vi butto qui una serie di cose che vivo e rifletto da sempre, ma vuoi che salta fuori sempre più spesso con amici con figli dell’ età dei miei, vuoi che sta per finire la scuola (quest’ anno finiamo tardi) e quindi tra pagelle, colloquio e consuntivi dell’ anno appena trascorso (e che anno, signori miei) ho deciso che io certe cose adesso le butto fuori perché questa serie qui serve come centro di igiene mentale a me e se qualcuno ne trae giovamente ne sono felice, ma non è una puntata della Scienza spiegata al popolo e se va a finire che capisco solo io, pazienza (l’ importante è che io ci arrivi).

Voi avete idea di cosa significhi per un bambino che va a scuola essere più intelligente della media? E cosa significhi essere più intelligente della media ed estremamente sensibile? Sono rogne grosse, signori miei. Essendolo stata io, avendoci due figli, vi dico subito che sono sudore, lacrime e sangue con grosse conseguenze dal punto di vista della socializzazione e della fiducia in se stessi. E conoscendoci anche una serie di altri bambini fuori dalla mia famiglia, vi dico pure che si rischia di non sfruttare per niente il proprio potenziale cognitivo, anzi. Molte bambine soprattutto, per adeguarsi, per avere le amiche, per non essere tagliate fuori, si fingono stupide. E si fingono talmente bene che si ritrovano a 30, 40 financo 50 anni ad aver fatto una serie di cose stupide che uno dice: ma dai, proprio tu. Oppure non si fingono ma restano molto sole per tanto tempo fino a che non trovano un modo per vivere bene o semplicemente le persone giuste. Ci vuole un gran culo, comunque. Ma non sempre lo trovano.

Per i maschi delle volte è peggio, perché verso 10-11 anni gli parte la seconda botta di ormoni, diventano rompicoglioni, fanno i dispettosi (e manco questo aiuta per la vita sociale, sul lungo termine, e dove aiuta ti ritrovi la socializzazione che non avresti voluto. E che sicuramente non vogliono i tuoi genitori). Alcuni ragazzini la buttano sulla sopraffazione fisica e siccome questa sul breve termine può avere molti effetti diversi, tocca poi vedere che via prendono. Quelli che non menano invece si richiudono completamente in se stessi. Rischi di ritrovarti un figlio emo o che si fa i tagli alle braccia senza sapere come ci si è arrivati.

Oh, ragazzi, queste sono un paio di miei personalissime considerazioni su gente che ho conosciuto nel corso della vita, non sono una terapeuta, non sono uno psicologo, posso solo dire che a volte se ne esce, a volte no. E se ne esci tu, rischi di esserti tirato dietro nel frattempo un fratello o sorella meno furbi o fortunati di te.

Ma perché succede tutto questo? Su quello che succede, ripeto, non prendetemi per buona, fatevi solo le vostre considerazioni sulla gente che conoscete voi. Quello che adesso a me deve uscire fuori è come si sentono esattamente questi bambini.

Intanto cresci sentendoti sempre e comunque fuori posto con i tuoi coetanei. Dici le cose sbagliata, non capisci le battute, o quantomeno, capisci perché gli altri ridono ma non ti viene da ridere. Gli altri non capiscono le tue, di battute. Non gli interessa niente se hai da raccontare qualcosa. Passi per presuntuoso, o peggio. Non riesci a farti gli amici che vorresti, ti sembra sempre che gli altri si stiano divertendo ma tu ne sei fuori. Non sto parlando di adolescenti in crisi, sto parlando di bambini di tre anni ai giardinetti. O di bambini di 6 alle elementari.

Quello che percepisci esattamente è uno scollamento. Tu sei strano, agli altri sembri strano, id est è sicuramente colpa tua. Il punto è che sei un bambino di tre anni o di sei anni, ti importa una  sega della socializzazione, della crisi e del senso dell’ umorismo. Tu vuoi avere gli amici e giocarci. E non funziona come vorresti.

In realtà ci sono un mucchio di adulti a cui sei simpatico. Sei il bambino spiritoso, il bambino che dice cose che uno ci rimane, il bambino maturo per i suoi anni. Se ti dice culo sei il bambino a cui piace leggere o fare alcune cose, tipo costruire. Almeno lì, se ci riesci, ti puoi rifugiare. E qualcuno con cui parlare di libri lo trovi prima o poi. E l’ altro vantaggio è che se sei il bambino a cui piace leggere, in genere almeno su quello le maestre non ti possono dire niente. Legge,  sta zitto, non disturba. Eh, ti facessero leggere in santa pace. Ma no, devi interagire, devi ascoltare, devi partecipare. A roba noiosa, velo dico subito.

Il problema è che ti sei già letto entro la prima settimana di scuola sia il libro che il sussidiario. Mentre gli altri stanno facendo la tabellina del 6 tu già ti fai quella del 16. E quella del 6 la sai così bene, è una stazione che hai superato già da tanto di quel tempo, che quando ti vogliono fare la verifica su quella del 6 tu sei già scocciato che non ne puoi più. Così prendi brutti voti. Ma se ti mettevano in mano un sudoku spiegandoti come usarlo, tu non stavi tanto meglio? (Grazie maestra Z. per avergli messo in mano il sudoku).

Vivi un po’ con la sindrome di Cassandra, insomma, quando qualcuno parla dopo la terza parola hai già capito dove vuole andare a parare e se continua a dire cose prevedibili tu parti per la tangente. Sembri lì che ascolti, ma sei già da un’ altra parte. È un sognatore, questo bambino. È distratto. Non riesce a concentrarsi su una cosa. Ma tu su quella cosa ti sei già concentrato quei 4 millisecondi che ti servivano, ma ancora di quello state a parlare? Ma una cosa nuova ce l’ avete da darmi? Siete capaci di sorprendermi? Di stimolarmi. Eh, ma bisogna seguire il programma. Quello degli altri.

Si, ho il Topolino sotto il banco e lo sto leggendo embè? Ah, dovrei stare a sentire quello che dici tu? Ma io l’ ho sentito, hai detto questo, questo e questo. Vedi? E se come me avessi letto già il sussidiario, sapresti che fra due righe dirai questo. Ah, no, non lo dirai perché non segui il libro? Non fa niente, se lo dici io poi ti racconto in stereo sia la storia di Topolino che quello che hai detto. Ma non farmi perdere tempo a ripetertelo per favore, usa meglio quel tempo con qualcuno che non legge una sega e anche quello che hai detto gli conviene risentirlo. Ah, mi mandi fuori? Posso portarmi il Topolino? Ma io fuori mi annoio. Vabbè, farò i graffiti sul muro. Prenderò a calci qualcosa. O mi metto a piangere. Ma a voi, brutti stronzi, non ve lo faccio vedere, tanto che ci avete capito?

Poi la sera invece di dormire c’ è la tua testa che parte per la tangente. Certe volte ti viene da ridere da solo e qualcuno si incazza perché ancora non dormi. Oppure ti preoccupi di quello che hai detto, di come reagiranno gli altri, se saranno ancora tuoi amici (tranquillo, manco ci hanno fatto caso, ma tu non lo sai). Di quella cosa che hanno detto al telegiornale che ti mette tanta paura. Il mondo sta per finire, esploderà tutto e qui ci si preoccupa che leggo Topolino sotto il banco. Roba da pazzi. E io mi dovrei fidare di questa gente?

Raccontami una storia di quando eri piccola tu. Raccontami di quei tuoi compagni di scuola che si drogavano. Raccontami della guerra quando gli ebrei si dovevano nascondere dai tedeschi. Dimmi cosa faresti se io dovessi morire, perchè io mi ammazzo, hai capito? Sei contenta se mi ammazzo?

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No, io non sono contenta se ti ammazzi. E lo so che adesso sei arrabbiato con il mondo, ma poi ti passa. Io lo so che sei un bambino felice, che non cammini ma salterelli, che urli di gioia quando scopri una cosa che ti piace, che ti si illuminano gli occhi quando ti spiego un piccolo trucco per stare al mondo e tu lo capisci, che hai i tuoi amici e che insieme vi divertite e che con certi amici vi rotolate nel fango e urlate tutto un pomeriggio, e con degli altri state tre ore in quasi perfetto silenzio a costruire universi paralleli con il lego, i blocchi di legno e un paio di barattoli e coperchi di pentola che sei venuto a prenderti.

Però, ecco, io sono anche tua mamma e se potessi vorrei surgelarti così per l’ eternità, in quel momento in cui fai un passo che è un saltello e resti un attimo sospeso in aria. Perché quella è la tua condizione naturale a mezz’aria tra idea e realizzazione e io vorrei proteggerti così. Ma non posso surgelarti per proteggerti, devo fare come tutte le madri di tutti gli uccellini che a un certo punto se il figlio non esce dal nido perché ha paura di volare, gli danno un calcio in culo e lo buttano di sotto.

Perché quando ti dicono che sei pedante e ti perdi nei dettagli non capiscono che in quel dettaglio tu hai già disegnato un mondo. Perché quando ti dicevano che non guardavi negli occhi la gente, tu non avevi bisogno di guardargleli quando gli avevi già fatto la radiografia. E vorrei che la smettessero di valutarti in base al modo con cui ragionano loro e ragionano tutti, perché non è che tu ragioni meglio o peggio, di più o di meno, ragioni in un altro modo. Come faccio a dire che un romanzo in una lingua che non conosco è scritto benissimo se ne leggo solo la traduzione in un’ altra lingua che conosco poco? Che ne so io, di cosa sto parlando?

Allora posso dirti una cosa. Io lo so. E lo sai anche tu. Oppure, se vuoi, te lo racconto io. Ecco, se lo sappiamo, già quello ci basta.

Non venite a dirmi che sono io la madre ambiziosa che spinge i figli. Io manco li ho spinti a lavarsi i denti due volte al giorno, secondo voi sto lì a fargli imparare e tabelline del 16? L’ hanno fatto da soli. Non mi dite che sono io che spingo in certe direzioni e faccio certi discorsi, io rispondo solo alle domande che mi fanno i figli e alle cose che desiderano sapere. Sinceramente il 90% del tempo vorrei che si facessero dare dei bacetti e stessero zitti, perché mi sfinisce star lì per delle ore tutti i giorni a pensare risposte a domande che neanche sapevo di conoscere e rispondere con un minimo di credibilità e considerazione per la loro età e per quello che già sanno. Si, lo so che sono sempre stanca, glielo dico sempre e me lo rinfacciano sempre. Oh, ragazzi miei, ma due figli come voi mi sfiniscono. Ma non vi vorrei neanche un grammo diversi da come siete.

No mondo, io non sto appioppando ai figli quelli che erano i miei di problemi da piccola. Io ho la serena fiducia che se ne sono venuta fuori da sola io, ne verranno fuori anche loro. E no, non sono io che gli suggerisco le cose, sono andata in analisi un paio d’ anni proprio per capire quale problema è il mio e quale è il loro. Mi sembra di saper separare benissimo. E se dico una cosa dei miei figli, vorrei mi si riconoscesse che ci ho pensato molto bene, che mi sono informata molto, che dò retta a gente che pago per saperne più di me.

E allora si, andiamo dalla terapeuta, andiamo a parlare con la maestra che mi fa vedere esterrefatta i risultati di un certo test (“Si, è chiaro che questi test registrano una situazione momentanea, ma io vedo proprio una linea crescente in questo bambino sempre, a parte i vari alti e bassi”). Andiamo a ringraziare l’ altra maestra, quella che alla fine non sopportavi più e che ci era rimasta molto male con me per come ho interrotto qualsiasi discussione per cambiarti scuola il più presto possibile, perché ti conosco e ho capito che a furia di dar retta a gente che invece non ha capito come funzioni ti stavo facendo torto e ormai il tempo stringeva. Andiamo a ringraziarla perché quando ho raccontato alla terapeuta la storia di come mi sfinivano all’ asilo sulla storia che non guardavate negli occhi, lei mi fa: “Ma io non ho notato per niente che non faccia contatto visivo”, “Si, perché dobbiamo ringraziare la sua vecchia maestra che non l’ ha mollato un solo giorno e magari alla fine lui si è scocciato anche per questo, però gli ha fatto un favore nella vita”.  E alla vecchia maestra ho raccontato la storia e dalla sua faccia ho capito che anche per lei quel cadavere era passato da un bel po’ sotto al ponte e senza rancore.

Io posso solo dire una cosa: abbiamo passato un anno massacrante come genitori, perché cerchi una via a tentoni, e ogni cosa ti confonde le idee: si, ma questo lo faceva anche suo zio, e questo ce l’ hanno tutti nella famiglia di suo marito e quest’ altra cosa, io da piccola ero uguale e suo fratello anche a quell’ età ma ha un carattere diverso e se le risolve diversamente, e in fondo, povero bambino, lo frega anche che è così testardo.

No basta, io lo dico e non ci voglio più tornare sopra: ho dei figli diversamente intelligenti. Ho un marito diversamente intelligente. Ho amici, ognuno a modo suo, diversamente intelligenti. E anche i bambini a cui i miei figli hanno qualcosa da dire, hanno dei genitori che poi alla fine riconosco. Non è detto che io debba essere amica di tutti nella vita, ma la vita ha fatto un paio di selezioni per me. Alla fine se ne esce bene. Basta avere un po’ di pazienza e un po’ di fiducia e io credo che ai bambini si possa dire tranquillamente. Tu sei così, ma per il mondo è più semplice e anche per te è più semplice se in queste circostanze fai colà. Basta che non ti dimentichi mai chi sei e non ne dubiti mai. Perché te lo dice mamma tua. Che se avesse potuto avrebbe scelto per te una vita più semplice, ma tutto non si può avere. E io credo di aver avuto molto, ma molto di più di quello che mi meritavo. Grazie, vita.

(Oh, e adesso vorrei anche poter andare in vacanza al sole, basta pioggia, basta fatica).

Riti di passaggio batavi: l’ alzabandiera

In Olanda molte case hanno il sostegno per l’ asta della bandiera sula facciata. Ora, in tutto il delirio bandieristico e decorativo degli europei a molti potrà essere sfuggito, ma a fine giugno ci sono questo tipo di bandiere appese su alcune case: con uno zainetto scolastico.

Si tratta di una tradizione per i ragazzi che hanno superato la maturità: hanno finito con la scuola e la borsa non gli serve più e i genitori orgogliosi tirano fuori la bandiera (la bandiera normalmente si espone solo in un numero definito di feste nazionali e compleanni della regina e dei suoi successori, quindi figlio e nipote maggiori).

Ma qualcuno mi diceva che è anche un invito velato ai figli di prendersi le loro borse e portarle fuori casa. Infatti in Olanda, fatto salvi casi particolari di praticità, i figli dopo la maturità si trovano un posto autonomo in cui vivere. O vanno all’ università (e ho conosciuto ragazzi che vivevano in uno studentato nella stessa città dei genitori) o cercano un’ affittacamere (la solita vedova con una stanza in più da affittare, nel mio caso, al mio primo lavoro ad Amsterdam, un padre separato che affittava a me la soffitta e a un ragazzo la cameretta e per se e la bambina si teneva il soggiorno e la camera da letto grande.

Tutto il sistema sociale di case ad affitti bassi che c’ era una volta nel frattempo è bello che andato ramengo, i Paesi Bassi non sono più il paradiso socialdemocratico di una volta (lo dico a tutti quelli che mi scrivono per sapere come fare a trasferirsi in Olanda, farsi dare il sussidio di disoccupazione e la casa in centro a € 200 al mese, sappiate che non esiste più, che io non ne ho mai fatto uso e che ho un’ antipatia profonda per chi sfrutta un sistema che si mantiene sulle tasse che ho sempre pagato, statevene a casa vostra se non siete capaci di mantenervi).

Però i figli maturano e i genitori espongono la bandiera. Almeno finché avremo i poggiabandiere.

Il Ragazzo dell’Europa – Una ricerca-Un documento

Gli amici di Radio Onda Italiana hanno scritto questo manifesto che mi trova totalmente d’ accordo nei suoi punti fondamentali, e mi hanno dato la possibilità di spiegare la mia versione dell’ Europa in un video che a fra un anno diventerà un documentario.

Vorrei che leggeste queste loro e mie considerazioni, e che mi aggiungeste le vostre sul tema Europa. Perché neanche a me piace che il progetto Europa, che è veramente una cosa visionaria e bellissima e non me lo paragonate agli albori degli Stati Uniti che sono stati una cosa completamente diversa, stia diventando l’ equivalente di una classe di ‘buoni’  e ‘ cattivi’. Il progetto Europa è un’ opportunità bellissima che ci siamo voluti dare tutti insieme e non tanto per il carbone e l’ acciaio, non tanto per le banche e la finanza, non tanto per le direttive e i regolamenti e neanche per le istituzioni. Ce la siamo data, quest’ opportunità, perché è sempre meglio far parte di un’ orizzonte più ampio in cui il totale è infinitamente meglio e di più della somma delle sue parti. Ce lo siamo dati per le persone che sono i cittadini d’ Europa. E ce lo siamo dati per i nostri figli.

Ed è un progetto in cui io credo. Qui sotto il manifesto di Radio Onda Italiana.

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È comunemente noto che l’UE nasce come un accordo tra stati sovrani determinati ad aprire le proprie frontiere allo scambio economico con il fine ultimo di realizzare un mercato unico con tanto di valuta, unica anche quella.

Sempre di più ci è stata fatta accettare una ragion d’essere dell’Unione Europea come sinonimo di economia e di libero mercato: non a caso molti europei hanno reso propria questa nozione. Si dimentica però che quando ci si riferisce agli scambi economici, si parla di grandi aziende, grandi investimenti, grandi spostamenti di capitale. E i vantaggi del singolo individuo in questo scenario?

Sappiamo che i cittadini degli stati membri dell’Unione Europea (teoricamente) possono viaggiare, lavorare e risiedere liberamente all’interno dell’Unione stessa. Questa ‘Europa dei cittadini’ rappresenta uno degli aspetti più interessanti e per altro meno esplorati da diversi punti di vista.

Negli anni 80 e soprattutto 90, dopo il trattato di Maastricht, i nostri governanti hanno propagandato che il libero movimento dei cittadini all’interno dell’Unione sarebbe stato un beneficio e una facilitazione per tutti. In effetti l’apertura delle frontiere, con la concomitanza della caduta del muro di Berlino, è stata motore di un generale senso di ottimismo. Questa ‘nuova libertà’ ha segnato, di fatto, l’inizio di una nuova migrazione, la migrazione degli europei all’interno della ‘nuova ed aperta Europa’.

A questa gruppo di nuovi nomadi europei appartengono i redattori di Radio Onda Italiana. È assolutamente incredibile quanto poco si sappia di noi nuovi nomadi e di tanti altri come noi. Chi siamo? Per quale motivo ce ne siamo andati dal nostro paese per poi trasferirci all’interno di un altro paese dell’UE? E soprattutto: che cosa ha significato per noi la ‘nuova Europa’? Eravamo un po’ ‘Il ragazzo dell’Europa’ del quale Gianna Nannini parla nella sua iconografica canzone?

Da queste domande e dall’assenza di fonti da cui attingere risposte, nasce questo progetto. Lo scopo è di raccogliere tante storie, ognuna diversa, anche di non italiani, che abbiano in comune la migrazione contemporanea europea. E tra tante storie diverse bisognerà poi cercare i punti comune, ammesso che ci siano.

La piattaforma sarà il video. L’idea è di fare tanti ritratti di tanti migranti europei con cui poi costruire un film documentario. E questi ritratti saranno in realtà tante interviste, il che non è sorprendente visto che Radio Onda Italiana è il punto di partenza del progetto. L’intervista (radiofonica) è ancora un metodo di documentazione e di giornalismo quanto mai efficace. Parallelamente e contemporaneamente alle interviste filmate si registrerà anche audio che potrà, tra l’altro, anche essere trasmesso radiofonicamente.

È un’Europa che sta mostrando il suo volto peggiore, questa dell’estate 2012, momento in cui il progetto ‘Il Ragazzo dell’Europa’ vede la luce. Una grande Unione Europea dove le parole d’ordine sono: economia, finanza, neoliberalismo. A questo si aggiunge e sovrappone la crisi dell’Euro che è diventata sinonimo della crisi d’identità di un continente. Veniamo puntualmente e dettagliatamente informati sul debito pubblico degli stati membri e sulle molteplici manovre di salvataggio finanziario. Sappiamo che ci sono ‘paesi buoni’ e ‘paesi cattivi’. Siamo pubblicamente invitati a simpatizzare con gli stati che hanno un basso interesse sul loro debito mentre dobbiamo guardare con sdegno paesi ‘pigri e corrotti’ che hanno uno spread inaccettabile per i mercati finanziari.

Non solo abbiamo perso ogni senso di solidarietà, siamo anche stati trasformati in perfetti ignoranti. Ignoranti in quanto non sappiamo nulla della cultura, della storia e della società dell’Irlanda o della Finlandia o del Portogallo o della Bulgaria o anche della Francia o della Germania.

Anche tra i cittadini europei siamo riusciti a creare quelli di serie A e quelli di serie B, se non addirittura di serie C. Noi della Radio abbiamo a suo tempo potuto migrare ad Amsterdam con una relativa facilità. Possiamo dire lo stesso per i cittadini dei nuovi stati membri dell’Unione? Come vengono accolti Polacchi, Rumeni e Bulgari in Olanda? Sono apertamente discriminati dalla gente e dai politici o sono ‘Ragazzi dell’Europa’ anche loro?

Dignità, ecco, ridiamo dignità ai cittadini dell’Europa. A tutti. E poi naturalmente anche a chi Europeo non lo è.

Radio Onda Italiana

  • È l’unica radio italiana in Olanda e si riceve ad Amsterdam e dintorni nonché in tutto il mondo via Internet.
  • Radio Onda Italiana offre dal 1993 ben 3 ore settimanali di trasmissione con informazioni sull’Italia, l’arte, la musica, la cultura, la politica e l’enogastronomia, con interviste e  reportages su diversi eventi culturali in Italia e in Olanda.
  • Un team di 12 radiomakers italiani vi assicurano un’ampia offerta settimanale di diversi argomenti

http://www.ondaitaliana.org

ZAUBERILLO GIVOWE’ IN GONDOLETA

Io questo post lo volevo intitolare: volevo andare a Venezia, che quest’ anno sembrava quasi ce la stessimo per fare, poi il concorso per traduttore a Bruxelles mi ha messo i bastoni tra le ruote. E perché ci volevo andare a Venezia?

È tutta colpa della mia amica A., che di suo è veneziana e poi invece si è innamorata di un bastardo di olandese (che io amo come un fratello, sia chiaro, perché ce ne diciamo di tutti i colori) ed è andata a finire in un paesotto del NoordHolland. Ma come si fa, dico io?

Insomma, io A. per il primo anno l’ ho frequentata per telefono, ci mise in contatto a suo tempo la scuola per cui insegnavamo perché mi doveva passare una corsista che lei non poteva più seguire e da lì ci siamo piaciute, e chiacchierate e confidate per un anno, fino al giorno in cui ci siamo viste di persona alla libreria italiana ad Amsterdam e sorpresa, era completamente diversa da come la immaginavo. Anche io ero completamente diversa da come pensava lei. E poi insomma, adesso che ogni volta che incrocio una conoscente di blog di cui so tutti i fatti, c’ è sempre questo momento della prima annusata, ma a quei tempi i blog manco sapevamo che ci sarebbero stati.

Che poi lei per seguire il bastardo di olandese ha lasciato un fidanzato storico, quasi un fratello, ma con il matrimonio praticamente combinato. “Meno male che non abbiamo comprato la casa” si diceva la povera nel patema dell’ annuncio che nulla, erano cambiati i piani, e quel matrimonio non s’ aveva da fare.

Insomma, io e il maschio alfa quel paio di volte che siamo andati a Venezia avevamo A. come guida, che è tutta un’ altra cosa se permettete. che poi oltre ad A. ad Amsterdam ho conosciuto Susanna, che con A. si dicevano di quelle cose da veneziane ” Cara, tu sarai snob ma io sono chic”, che a me queste veneziane hanno aperto un mondo di dettagli sociali sul vivere in vetrina in un posto dove vuoi o non vuoi ci si conosce davvero tutti e ti vedono tutti. A me, che entro i 13 anni mi ero letta tutto Goldoni e senza i sottotitoli.

“Questa è la chiesa dove mi sarei dovuta sposare” facvea A. girando di qua e di la,  e le è invece toccato un posto bellissimo in Noord Holland, intendiamoci, ma vuoi mettere sposarti a Venezia? Ma non poteva o la mancata suocera e il mancato sposo sarebbero venuti ad attenderla con i pomodori. Che le grandi passioni, poetiche e belle a raccontarsi, certe volte devono anche tener conto di dettagli più prosaici.

Insomma, io quel poco che ho visto di Venezia l’ ho visto ben poco da turista, ma ci sarebbe piaciuto vederla ancora un po’, e un po’ meglio e da dentro Venezia e non dall’ albergo a Mestre, che saremo anche viaggiatori dentro io e il maschio alfa, ma tocca mettersi d’ accordo con il bancomat. A proposito di dettagli prosaici.

Un paio di anni fa ci avevamo riprovato, perché nel frattempo una ha il blog e quindi il clic di amicizia a distanza si può avere anche per blog e non solo per telefono. È stato quando con Zauberei eravamo un’ estate quasi riuscite a fare uno scambio casa, canale contro canale, Amsterdam contro Venezia. Perché a me piace molto questa cosa dello scambio casa, in genere ci capita qualcuno che conosciamo poco o niente, ma poi ti trovi in case altrui e leggi i libri altrui e capisci che se insisti a non farlo tramite un sito specializzato, ma lanciando messaggi nella bottiglia, via via che rimbalzano, succedono belle cose. E che gira e rigira molti dei gusti letterari coincidono.

Per esempio un paio di anni fa ci siamo ritrovati qui, per un giro di simpatie tra me e un’ agronoma giovane e caruccia dell’ altra parte del valico di casa mia (quello della Forca di Penne), a cui in un impulso avevo regalato il mio libro e che mi ha scritto pochi giorni dopo: ma lo sai che a una cena di mie zie è saltato fuori che l’ unica che non l’ aveva ancora letto ero io? Perché le zie le avevo già conosciute. E quindi Eleonora ci ha poi ospitati in questa casa di famiglia, piena di libri e in cui abbiamo passato dei giorni fantastici sentendoci quasi come a casa nostra, stesse mura larghe un metro, stessi libri, e giochi da tavolo a sera e arrosticini.

Ecco, io, se ancora si dovesse fare, la casa di famiglia di Zauberei a Venezia me la immagino proprio così, un po’ come casa mia a Ofena e casa di Eleonora a Nocciano, quelle case comode di famiglia, vecchie, che tutti danno per scontate e ignorano fino a che non succede qualcosa che potrebbe togliertela dallo scontato, un affitto incombente, il fatto che l’ IMU adesso tocca a te pagarlo, oppure un terremoto, un’ asta giudiziaria o solo troppa famiglia intorno che non ha deciso cosa vuole farne, non vuole in realtà decidere, e questa sarebbe un’ ottima e santa cosa se i tetti non chiedessero un pochino di attenzioni, i tubi non cominciassero a fischiare e gli infissi ad accartocciarsi. Allora tocca pensarci.

Quelle case dove proprio per non doverci pensare e prendere decisioni, ci metti tutti i mobili che c’ erano o che non vorresti decidere di dar via, ma come si fa, a casa fissa il posto non c’ è, allora li metti a casa vecchia di famiglia, insieme alle vecchie foto, i libri e gli oggetti di qualche generazione che si mischiano alle scelte di interni di quelli di famiglia che un pochino, volente o nolente, ci hanno voluto pensare e si sono dati a una botta di Ikea, o di rinnovamento trendy ma non troppo, magari ricomprando un tappetino per il bagno o una bagnarola colorata per la cucina, o un portatovaglioli estroso.

Allora su Venezia mi viene incontro Zauberei con il suo givowe in gondoleta, che è una di quelle robe che noi blogghiche capiamo al volo. Perché a Zauberei e consorte è piombato addosso il momento della decisione e che fai, ti blocchi la casa che hai sempre dato per scontata come i libri vecchi che ci sono dentro? Non sia mai. E quindi lei ha deciso di affittarla. E affittarla certe volte è cosa più semplice, più pratica, più trasparente e onesta di scambiarla, si semplifica quantomeno la logistica e a me adesso mica dispiacerebbe andarci a Venezia a vedere che libri tengono in quella casa lì.

La cosa funziona che chi è blog o facebookmunito scrive di questo concorso, lo commenta dalla padrona di casa e poi a giudizio insindacabile del pupetto di casa si estrae il vincitore. Quindi partecipo perchè so e sono convinta che il Pipikko figlio di Zauberei, con la pargoletta mano, solo noi può estrarre, per i motivi bibliofili opra esposti. E se non ci estrae il bello è che ci possiamo ancora andare con i paghi, prima o poi.

Perché il punto è che noi a Venezia quest’ anno stavamo per andarci, non da Mestre ma da Stra, dove un nostro amico quasi coinquilino, per quanto spesso viene a farsi un weekendino ad Amsterdam per trovare noi e vedere le performance di Marina Abramovic, ci avrebbe ceduto casa e libri suoi per vedere i dintorni intanto che lui stava in vacanza. Perché noi andremmo volentieri da lui anche quando non è in vacanza, ma come si fa, il ragazzo abita in un posto bellissimo ma parco di metriquadri e non è che ci possiamo piazzare in 5 in un appartamento da scapolo.

Solo che poi a me lo scritto del concorso, di cui daranno i risultati a novembre limortacci loro, me l’ hanno messo il 25 luglio e tutte le nostre vacanze saltano una settimana e quindi anche la casetta a Stra salta al prossimo anno. Quindi o cambiamo itinerario, o vinco questo giveaway. E così spero anche di voi che adesso potete andare da Zauberei, leggervi le regole e postare pure voi.

(Poi, se nel frattempo ci fosse qualcuno che vuole scambiar casa nostra ad Amsterdam con qualsiasi cosa entro 10-15 km. dal mare, un mare qualsiasi, fateci sapere, noi partiremmo il 27 luglio per l’ Italia e stiamo via 3 grasse settimane).

Caccia al fantasma nel Flevopark

Inutile, ci sono delle donne che hanno idee geniali che a me non verrebbero mai in mente. Così una mamma della scuola che ci propone un venerdì sera una caccia al fantasma nel parco. E allora ieri, oltre a portarmi i due mostri miei, e due loro amichetti che avevano giocato insieme tutto il pomeriggio e che fai, non te li porti, e una focaccia al baccalà fatta con gli avanzi ricresciuti dell’ impasto per frittelle al baccalà avanzatomi, e una coperta e una lanterna solare del giardino, e di questi tempi fa notte tardi e abbiamo fatto tardissimo, ma ci siamo divertiti assai.

Prima ci siamo sparpanzate agli orli di un pratone enorme, di quelli di cui il Flevopark ha la licenza, perché il Flevopark è un parco pubblico agli estremi confini est della città, verso quei bordi sfilacciati di acqua e terra e il canale che va al Reno che piacciono a me (cavolo, ma quanto ho scritto sul blog vecchio? Questa poesia me l’ ero scordata proprio) ed è pieno di prati, di macchioni, di acque, lo stagno con le ninfee o forse più d’ uno, lo specchione d’ acqua aperto, alcune villette seminascoste invidia profonda a chi ci abita, magari per antichi privilegi e il cimitero ebraico proprio vicino all’ ingresso. Ci sono persino una giardino attrezzato con altalene e varie e un baretto, ma stanno all’ ingresso.

I tre grandi, a cui si sono unite due bambine che poi avevano perso la chiave della bicicletta, si sono messi a giocare a calcio, i piccoli si infilavano nei macchioni e “in mezzo al bosco/ dov’ è più fosco” avevano la fabbrica d’ armi, ovvero un posto da cui tiravano fuori rami contorti a forma di bazooka, lanciagranate eccetera (grazie al famoso libro illustrato sulle armi nei secoli Orso conosce in modo competente un mucchio di armi di cui io non ho cognizione). Orso si muoveva sempre al limite estremo di visibilità, entrava e usciva da un macchione e quando mi sono avvicinata per tenerli d’ occhio spariva silenziosamente. Questo bambino andrebbe bene per il genio guastatori.

Li ho inseguiti in un macchione in cui c’ era gente.

“Sai mamma, c’erano dei grandi che facevano un pic nic nascosti, c’ era poi anche una giacca”.

“Nooo, facevano esse – e- ics”. ‘Sti bambini di oggi.

Con le madri ho fatto proselitismo sulle palline per il pavimento plevico, pare nessuna di loro sia mai stata in un sex-shop e abbiamo deciso di andarci insieme una mattina che i figli sono a scuola e dovrà essere la settimana prossima. Poi ci siamo alllargate su sesso, “50 shades of gray”  e un paio di loro hanno pure incrociato nella vita dei tipi che volevano essere insultati pesantemene “ma inutile, a me proprio non mi veniva” e proprio mentre in due stavamo per andare a imboscarci per fare pipì una fa: perché quando frequentavo i giri lesbici sado-maso e noi fermaaaaaa, aspettaci che torniamo e ce lo dici. Un’ altra faceva a suo tempo la volontaria per l’ Arcigay locale ed era sempre evasiva, quando faceva robe tipo la bigliettaia nei locali, se le chiedevano: ma tu sei lesbica? Anche perché con lei a fare il volontario c’ era anche il suo ragazzo. Belli i tempi del COC, dell’ Homolulu e altri posti, che mi sono persa tutti. ‘Ste madri di oggi.

Poi due delle madri sono sparite per metter su gli indizi della caccia al tesoro e siamo partiti. Bisognava cercare i palloncini, c’ erano fotocopie di robe spaventose, tipo ragni, pipistrelli, teschi e quelle teste di morto con tanti denti che si trovano a volte sui giubbotti dei metallari attaccati con le puntine, un viso di bambola bianco e nero.

“Ti immagini, fra un po’ quando è più buio, passa qualcuno magari un po’  fumato e vede queste foto attaccate agli alberi e i palloncini che galleggiano in alto tipo teste decapitate? Rischia il coccolone”.

C’ era ancora luce, ma i bambini correvano avanti e indietro e trovavano ovetti di cioccolato, regalini, caramelle varie, che questa donna l’ ha organizzato veramente bene il percorso. Poi alla fine siamo scappati via perché mi sono ricordata troppo tardi che dovevo prolungare il noleggio auto condivisa e riportarne due a casa.

Siamo tornati con Orso che sembrava il piccolo spazzacamino perché tra le varie armi aveva anche ” una bomba al carbonio, mamma” ovvero un pezzo di tronco semibruciacchiato e abbiamo anche dovuto fare la doccia e riferire al padre le avventure.

Comunque se dovesse venirvi voglia dif arvi un giro al Flevopark da piazza Dam ci si arriva con il tram 14 fino al capolinea e dallo zoo con il tram 7. E c’ è anche una piscina all’ aperto proprio di fronte ai tram,  che minacciano di chiudere ma è bellissima per una giornata con pic-nic in piscina. Vi ricordo che nelle piscine olandesi non esiste l’ obbligo di portare la cuffia.

Comunque a me la serata al Flevopark, con l’ aria dolce che finalmente sembra estate e la luce che dura a lungo, mi ha ritemprato, a guardarci i vari passeggiatori, ciclisti, gente che gioca al pallone, maschi in allenamento che ci sono pure i tronchi per fare gli addominali e a un certo punto una coppia in tuta che faceva jogging, lei con il velo islamico in testa, quello un pochino più ingombrante legato sotto il mento e non dietro la nuca, che dirvi a me è sembrato un segno di integrazione. Poi voi pensatela come vi pare.