Il giorno della regina, il sorriso di Màxima e i valori fondanti dei Paesi Bassi

Postfazione messa prima: alla fine siamo andati all’ NDSM-werf, i vecchi cantieri Navali dismessi a nord, raggiungibili giorno e notte dalla stazione con il traghetto più a sinistra di tutti, quello che indica NDSM-werf. Mi limito a mettervi le foto, per il resto, rimando all’ articolo qui sotto che ho scritto stamattina.

Attrezzatissimi con la tenda del pronto Soccorso (EHBO in olandese, ricordatevelo).

Il virtuoso della tavola.

Gru dei pompieri riconvertita a teatro-tenda.

Teddy-bike.

“Non ti azzardare a toccare l’ acqua, ci costruivano le navi qui, questa è la rampa per metterle in acqua, i pesci sono tutti morti”.

“Mamma, ma questa è natura”.

Natura industriale secondo mio figlio, povera stella.

Il casino che ho dovuto sopportare con tutti che suonavano a tutto volume e male (a un certo punto uno stronzetto di ragazzino ha preso la vuvuzela e si è messo a suonarla davanti al microfono), in attesa che toccasse a mio figlio di impadronirsi della batteria, e poi doverlo ascoltare e filmare, basta, dico solo che miè valso da solo 3 anni di visite quotidiane all’ ospizio. Ho i filmini con l’ audio a supporto della mia pretesa.

Cioè, si combinano davvero così, ma anche persone insospettabili, signore 60-enni con la parrucca arancione, o la testa da leone, il cappello a tigre, mica solo i ragazzi.

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Ieri in pizzeria si parlava di festa della mamma.

“Mamma” fa il mio secondogenito, “Ma in Olanda bisogna festeggiare le mamme anche il 31 gennaio, perché è il compleanno della Regina e la regina è un po’ la mamma della nazione”.

Così, di quelle cose che ti schiantano. Mi chiedo se oltre che ecumenica la sua nuova scuola sia anche orangista. Comunque una dichiarazione del genere sarebbe venuta dritta dritta pure da me, cresciuta alla scuola: famiglia patria re umanità dio della mia educazione prerisorgimentale.

Comunque la dichiarazione ci stava tutta, perché per andare in pizzeria e trovare un parcheggio dopo esserci girati mezza Amsterdam e attraversato De Pijp dove metà dei ristoranti soliti erano chiusi e l’ altra metà invece si preparava a vendere ettolitri di birra per la notte della regina e oggi, giorno della regina, tutto ciò avrà anche avuto a che fare con questa riflessione. Più la festa della mamma che incombe, naturalmente.

Il 30 aprile i Paesi Bassi festeggiano il compleanno della regina, che non è il vero giorno del compleanno dell’ attuale regina, Beatrix, ma di sua madre Juliana. D’ altronde con quello che è diventato come festività, nulla di strano che una il suo vero compleanno se lo tenga per sé. E poi diciamocelo, per una festa di popolo il 30 aprile come clima ti puoi aspettare di meglio rispetto al 31 gennaio. Hanno saggiamente lasciato la data della mamma.

Il programma ufficiale prevede la presenza della regina con figli e nipoti, sul treno reale, che vanno a fare visite ufficiali in posti con la folla festante, il sindaco commosso e le bimbette bomboniere che offrono dei fiori. Transenne ovunque, ma in genere sono tranquilli posti in provincia dove il massimo che sia capitato è appunto quest’ oretta di visita reale e poi via, verso il prossimo.

Anzi, fanno di tutto per rendere indimenticabile la visita. Ecco cosa si sono inventati a questo giro a Rhenen (commovente, vero? A me verrebbe uno scongiuro, ma non è un riflesso olandese quello).  In genere di visite così ne fanno tre o quattro a botta, che poi vengono mostrati alla nazione in tutta la loro festante ripetitività alla nazione con il telegiornale e vai per il prossimo anno.

Un paio di anni fa è successo qualcosa, un pazzo in automobile ha deciso di investire il corteo reale e ha fatto fuori una serie di persone. Poi si è schiantato ed è morto anche lui risparmiandoci mesi di indagini e processi.

In un commento a qualche post fa mi si chiedevano più informazioni sulla famiglia reale olandese. E che vi devo dire, sta qui e nessuno se ne sente infastidito. Ci sono dei repubblicani, ma non sono i tipi che gettano bombe, si limitano a fargli i conti in tasca nella speranza che quello dei soldi, che è l’ unico vero argomento a cui le masse batave siano sensibili, faccia sorgere la repubblica. un giorno chissà.

Per il resto, come farebbero i giornali di pettegolezzi senza la solita foto di un qualche rampollo reale che nasce, cresce e inizia le elementari, o fa pasticci e/o dichiarazioni e/o matrimoni un po’ così e senza i soliti articoli in cui ci rassicurano, che saranno pure gente a cui tocca dare un grosso stipendione l’ anno a seconda del grado di parentela con la regina (€ 600.000 a Maxima + € 400.000 di abbigliamento e € 1.400.000 al marito, spese escluse), ma sono tanto normali, tanto simili a noi a parte appunto che fanno quello che gli pare tipo guidare a 190 in autostrada e farsi beccare, ogni tanto.

Questa famiglia reale, ai sensi dei maggiori valori di questo paese, ovvero la normalità innalzata al valore di mediocrità, l’ uguaglianza ad oltranza meglio se tirata verso il basso, la semplicità che un bel rutto non ci sta mai male per dimostrare quanto siamo semplici, alla mano e non ci stiamo a formalizzare, è esemplare di quello che in fondo desiderano i propri sudditi.

I quali, visto che è un altro valore fondante di questo paese alzare subito il ditino per avvertire gli altri che no, così non si fa, ci sono delle regole e adesso vengo io a spiegarti dove sbagli, dicevo, ci godono come dei ricci quando un qualsiasi membro secondario di questa famiglia crea un minimo di subbuglio. Un’ increspatura sulla superficie immobile di questo stagno.

Tipo l’ erede al trono, sempre trattato un po’ come il Trota da noi, per dire, solo che rispetto al Trota era almeno un bel ragazzone biondo e cordiale e una laurea l’ ha presa, tanto che lo chiamavano il principe Birretta per quanto era gioviale con gli amici in birreria, il massimo l’ ha fatto quando si è sposato con Màxima, un’ altra biondona sorridente che solo per esserselo sposato ha rialzato immediatamente le valutazioni medie del consorte, ovvero: ma se una ragazza così in gamba, solare, ammaliatrice di folle se lo sposa, qualcosina di buono deve avercelo pure lui, a parte il titolo e gli stipendi. Metti poi che al matrimonio la povera si è pure messa a piangere, una cosa così poco calvinista, basta, se li è comprati tutti.

Che lei piangesse perché da brava argentina in chiesa non potevano non suonarle il tango (meno male che a me non mi hanno suonato la pizzica al matrimonio), e il brano in questione si chiamava Addio papà, e il papà in questione non era in chiesa ma fuori dall’ Olanda quel giorno in quanto all’ epoca persona non grata, in quanto all’ altra epoca sottosegretario di Videla (si sarà sposato un a ragazza non nobile, ma non di certo una del popolo, fateci caso, ma un’ economista strafiga che lavorava a New York e che quando gli amici le hanno detto: ma vieni in Spagna questo weekend che ci divertiamo a casa di non so più chi, ma qualche royalty spagnola credo, e c’ è un tipo che ti dobbiamo assolutamente far conoscere, be, si spiegano tante cose, cioè, qual’ è stata l’ ultima volta che voialtri da New York avete fatto un salto in Spagna per il weekend a casa di un royalty perché ve ne dovevano presentare un altro che siete veramente fatti l’ uno per l’ altra, ennò, i dettagli contano) ecco, la commozione era il minimo.

Perché prima di ciò non solo appunto c’ era stato lo scandalo dei desaparecidos che avevano costretto a nominare un ricercatore parlamentare che verificasse che il ministro Zorreguieta in questione, all’ agricoltura oltretutto, no, poretto, lui non sapeva niente. Il povero ricercatore ci aveva provato a mettere dei paletti, dei se e dei ma, ma discreti, eh,  e il futuro genero era insorto a microfoni accesi che quella ricerca: era solo un parere personale. Apriti cielo. Da lì a chiedersi se il tipo fosse fit for the job appena la madre andava in pensione è stato un attimo (a parte che se lo chiedono da quando è nato e qualsiasi cosa faccia).

Che si sia sposato la persona giusta si è capito dal fatto che lei, interrogata in proposito e con un gran sorrisone che è il suo marchio di fabbrica, ha corretto il tiro: “Si, in effetti con quella dichiarazione il mio amore è stato un po’ stupidino”. La adorano da allora. E le hanno riabilitato il marito. Del padre ci siamo dimenticati subito, perché gli olandesi hanno questo, dopo che ti hanno punito per una cosa assolutamente inutile, tipo appunto non farti venire il papà al matrimonio, lasciano perdere per le cose serie, ovvero che da allora i genitori di lei non solo sono i benvenuti ma quando ci sono compaiono anche in visite ufficiali. Persino Pinochet nel frattempo ha ammesso di aver fatto sparire un mucchio di gente, la dichiarazione del signor Zorreguieta non è invece pervenuta (forse non l’ ha saputa, del suo ex-collega, visto che magari sta più in Olanda che in Argentina ultimamente).

Comunque qualche fine commentatore aveva notato a suo tempo che dalle prime foto si capiva che Màxima era non solo una donna affascinante ma anche il tipo che sorrideva cordialmente a gengiva scoperta, e che appena annunciato il fidanzamento, altre al corso supermegaintensivo di olandese le devono aver fatto anche qualche training di etichetta perché da allora una gengiva una che sia una non l’abbiamo più vista.

Guardare per credere.

Comunque oggi è il giorno della regina, la mattinata è iniziata alle 6 con un mucchio di sole che spero che regga, Amsterdam centro sarà la solita bolgia infernale di gente ubriaca che piscia uccello al vento nei canali e cammina su uno strato da 30. cm di bicchieri di plastica calpestati, che manco ci provo ad entrare, i miei figli hanno annunciato che loro non si depriveranno di nulla, non importa quanto vecchio e inutilizzato, da destinare al mercatino in strada del giorno della regina, ma anzi ne approfitteranno per comprare altre cose, la mia amica Laura come al solito si comprerà vestiti e scarpe e borse meravigliose a due lire mentre io non trovo mai un tubo e nel pomeriggio andremo a vedere con i cugini che succede all’ NDSM-werf, che ci si arriva dalla stazione centrale  in traghetto in 20 minuti.

Forse stamattina andremo al Westerpark, forse no. Forse faremo un banchetto di limonate e € 0,50 al bicchiere davanti casa, forse no. Per ora vi auguro buona festa della regina e se ne riparla l’ anno prossimo.

Femminuccia a chi?

Cambiare la mentalità, educare, prevenire, accogliere. Dici poco. Certe volte è davvero poco.

Una delle cose che i miei figli hanno imparato in 11 giorni di colonia in Italia è stato insultarsi dandosi della femminuccia. Chissà se poi avessero capito davvero il significato della parola o solo il senso di insulto. So solo che la prima volta che li ho sentiti gli ho fatto un liscebusso spaventoso.

“IO sono una femmina e allora? Vi sembra giusto usarmi per insultare qualcuno?”

(Mi chiedo se delle volte non facciamo di peggio usando a sproposito l’ epiteto di maschiaccio).

Anche per questo ho accolto a suo tempo questo video con sentimenti contrastanti. Eppure il messaggio non è sbagliato. È pure bello. Gioca con gli stereotipi, e Francesco Paolucci lo fa da tanto, con tanti tipi di stereotipo, lo fa molto bene, può permettersi di farlo perché probabilmente davvero li ha superati. A me questo video piace proprio guardarlo di tanto in tanto. Solo che a parte gli schizzi di fango, una ballerina, una squadra di ginnastica artistica, si fanno esattamente lo stesso culo per il proprio sport, ci mettono la stessa determinazione, non portano il paradenti ma si fanno lo stesso un gran male se commettono errori o cadono. Le ragazze in tutù o tutino hanno gli stessi occhi belli e determinati delle rugbiste. Ma la frase finale ci sarebbe stata bene uguale?

Insomma, ecco, potremmo iniziare ad evitare di usare i termini femminuccia e maschiaccio. Così, tanto per capire che succede se lo facciamo con coerenza e regolarità. Neanche tanto per noi, ma per i nostri figlie. E le nostre figlie.

Comunicato stampa.
Cinquantaquattro. L’Italia rincorre primati: sono cinquantaquattro, dall’inizio di questo 2012, le donne morte per mano di uomo. L’ultima vittima si chiama Vanessa, 20 anni, siciliana, strangolata e ritrovata sotto il ponte di una strada statale. I nomi, l’età, le città cambiano, le storie invece si ripetono: sono gli uomini più vicini alle donne a ucciderle.
Le notizie li segnalano come omicidi passionali, storie di raptus, amori sbagliati, gelosia. La cronaca li riduce a trafiletti marginali e il linguaggio le uccide due volte cancellando, con le parole, la responsabilità. E’ ora invece di dire basta e chiamare le cose con il loro nome, di registrare, riconoscere e misurarsi con l’orrore di bambine, ragazze, donne uccise nell’indifferenza.
Queste violenze sono crimini, omicidi, anzi FEMMINICIDI. E’ tempo che i media cambino il segno dei racconti e restituiscano tutti interi i volti, le parole e le storie di queste donne e soprattutto la responsabilità di chi le uccide perché incapace accettare la loro libertà.

E ancora una volta come abbiamo già fatto un anno fa, il 13 febbraio, chiediamo agli uomini di camminare e mobilitarsi con noi, per cercare insieme forme e parole nuove capaci di porre fine a quest’orrore. Le ragazze sulla rete scrivono: con il sorriso di Vanessa viene meno un pezzo d’Italia. Un paese che consente la morte delle donne è un paese che si allontana dall’Europa e dalla civiltà.
Vogliamo che l’Italia si distingua per come sceglie di combattere la violenza contro le donne e non per l’inerzia con la quale, tacendo, sceglie di assecondarla.
Comitato promotore nazionale Senonoraquando, Loredana Lipperini, Lorella Zanardo-Il Corpo delle Donne
Per adesioni: info at senonoraquando.eu

Prime adesioni
BLOGGER
Marina Terragni
Govanna Cosenza- Disambiguando
Zeroviolenzadonne
Amedeo Pagliaroli – mente miscellanea
Francesca Sanzo – Panzallaria
Giorgia vezzoli Vitadastreghe
Server donne
Valentina s. blogconsumabili
Unaltrogeneredicomunicazione
Astrid d’Eredità archeologhe che resistono
Rossana Mennulla: FB femminiCIDIO PER NON RESTARE IN SILENZIO
ASSOCIAZIONI
SNOQ CASSINO
SNOQ TORINO
SNOQ MODENA
SNOQ FIRENZE
SNOQ NAPOLI
SNOQ OSIMO
TERRA DI LEI
ASSOCIAZIONI
Comune di Grugliasco
Fabbrica di Nichi SIZIANO
LEGAMBIENTE valdemone
FORUM DONNE ANCONA
Associazione equa mente Roma
Associazione telefono donna Potenza

Associazione laima
Corte delle fate
Donne viola
ONLUS ROMPISILENZIO RIMINI
FISAC CGIL FIRENZE
GIOVANI SEL PAVIA
SERENA ROMANO CORRENTE ROSA
ADESIONI INDIVIDUALI
Carlo Vaccari
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Sabrina Ancarola
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Giuliana Lomoni
Virginia Odoardi

Antonietta d’Emilio
Anna df
Maria Zuccarini
Maura Campo Carnazza
Stefania Baleso
Maria Chiaro Danza
Andrea Morinivecchi
SUNY
Olivia Guaraldo
Nadia Urbinati

Legge di natura

Ieri sera ho deciso: basta i film della buonanotte su youtube che vi scegliete voi, avete tirato tardi, decido io, si va di National Geographic.

Poi ecco, non lo so. C’ era questo falco pellegrino a New York che scendeva in picchiata tra i grattacieli, e afferrava al volo il piccione tra gran svolazzi di piume e poi sempre a velocità supersonica incrociava l;a moglie a mezz’ aria, le passava il piccione e lui tornava a cacciare mentre lei riportava il bottine nel nido dove c’erano dei falchetti spiumettosi e dolcissimi con il beccuccio aperto, che dopo il fiero pasto era comunque tutto insanguinato il beccuccio dolce di mamma, mangia che cresci, amore mio piccolo.

Insomma, avevo beccato un docu sui predatori nella natura, con gran trascinamento di carcasse insanguinate.

“Mi sa che non è stata una buona idea farvi vedere questo prima di dormire”.

“Ma no, mamma, gli animali devono mangiare. È la natura che è così”, fa figlio piccolo nonchalant. Che è il fratello di quello che una volta ha piantato una lagna a cena:

“Noooo, io questo non lo mangio perché mi dispiace per gli animaliiiii”, ma erano spinaci.

Che poi a casa nostra è così. Io sono la carnivora, ma quandoil gatto dei vicini ha fatto fuori con mezza zampata il coniglio dei vicini che aveva sconfinato nel nostro giardino, e io armata di busta lo sono andata a recuperare e aveva pure mezza zampa rosicchiata, e poi ho commesso l’ errore di afferrarlo da dentro la busta, fresco fresco di omicidio, quindi morbido, niente rigor mortis ancora, insomma, l’ ho mollato lì e sono scappata urlando e alla fine è stato il vegetariano che senza scomporsi l’ ha recuperato. Sarà che lui è figlio di veterinario.

Brutta cosa gli stereotipi, veramente.

Non so perchè ho scritto questo, vado a dormire.

Baci preadolescenziali

Queste spillette tricolori con bottoni del negozio di seconda mano fanno parte di un raptus che mi è preso intorno al centocinquantenario d’ Italia. Mi torna utile pure questo.

Accanto al parcheggio della nostra auto condivisa più usata hanno messo due megaposter della campagna di HM che fa le donazioni contro l’ AIDS, con coppie che si baciano sulla bocca. E sappiamo tutti che ai bambini quello che sa di sesso quando non li fa ridere, a volte li disgusta alquanto.

“Mamma, a me quel poster è sporco”, fa Ennio scendendo dalla macchia mentre ci siamo appena finiti di baciare al parcheggio. Perché è sempre stato così, ma in questi giorni di più, a noi piace un sacco baciarci alla traditora.

“Cioè, vuoi dire che ti fa schifo?”, meglio non perdere mai l’ occasione di raddrizzare il loro italiano.

“Si. Però a scuola ci sono I e J che si amano e lo sai come si baciano?”

Usa il termine zoenen, che rispetto al più neutrale kussen, contiene in nuce nel significato anche delle dosi di lingua.

“Ma come, si baciano a scuola?” cioè, mi fa piacere, intendiamoci, la gioventù che scopre l’ amore in questa età così schifiltosa.

“Si, hanno ritagliato un cuore di carta e lo hanno diviso in due e quando vogliono baciarsi uniscono le due metà una accanto all’ altra”.

Decisamente questi bambini hanno ancora tutto da insegnrci. Magari non dei baci con la lingua, ma sui gesti di amore si.

Prospettiva, una poesia di Wibe Veenbaas

Questa foto è tratta da uno spettacolo di Emilia Taurisano, giocoliera e attrice, http://emiliatau.blogspot.com/

La mia amica Carla Regina ha postato stamattina questa poesia, così bella e forte nella sua semplicità, che la traduzione mi è venuta fuori da sé. Non sarà perfetta, ma in questa giornata grigia e umida, serve per scaldarsi.

Prospettiva

Perché tutte le cose hanno un nome,
chiese la bimba al maestro.
Ci fu un attimo di silenzio –
e lui rispose: Che bellissima domanda!

Il tuo nome te l’ hanno dato i tuoi genitori.
Siccome hai un nome, posso chiamarti.
E se ti chiamo, tu puoi venire da me.
E se tu vieni, io posso abbracciarti.
E se ti abbraccio, posso lasciarti andare.

Wibe Veenbaas

(Mi piace questa cosa del “se…”, perché in realtà tocca pensarci. Als in olandese significa se, ma anche quando. I miei figli in italiano ancora se lo confondono. Il fatto è che tutto quello che racconta la poesia vuole arrivare al lasciar andare, non per indifferenza, ma per scelta, per rispetto, perché ormai siamo già stati tanto vicini, ma liberamente, non ci possediamo. E allora il dubitativo ci sta meglio secondo me. Ma potrei sbagliarmi. Voi cosa ci vedete?)

Perspectief

Waarom hebben alle dingen een naam,
vroeg het meisje aan de meester.
Het was even stil –
en hij antwoordde: Wat een mooie vraag!

Je naam heb je van je ouders gekregen.
Omdat je een naam hebt, kan ik je roepen.
En als ik je roep, kun je bij me komen.
En als je komt, kan ik je vasthouden.
En als ik je vastpak, kan ik je loslaten.

gedicht: Wibe Veenbaas

Lavori da donna e imprenditoria femminile

Mettendo in ordine ho ritrovato a ‘casa vecchia’ un post di neanche tanto tempo fa, che mi ero persino dimenticata di aver scritto. Ve lo ripropongo, perché sottoscrivo ancora riga per riga quello che ho scritto allora, che era per una blog action. Mi sembra utile rifletterci di nuovo insieme staccati dall’ occasione e mi piacerebbe che mi diciate cosa ne pensate voi, adesso che è passato un po’ ditempo. e se vi interessa vedervelo nel sito originale con i commenti di allora, lo trovate qui.

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Io mi sono laureata a Magistero all’ Aquila, prima che la facoltà cambiasse nome, e penso che basti già solo il nome  per capire la quantità di studenti maschi che ci giravano, sia in termini assoluti che in percentuale.

Nella vita per pagare l’ affitto ho fatto un sacco di lavori da femmina: ho insegnato, ho fatto l’ inserviente di cucina nelle mense, la commessa, la guida turistica, la hostess alle fiere e da 20 anni faccio soprattutto la traduttrice e l’ interprete. Lo faccio da imprenditrice, ma tant’ è. E l’ unica volta che mi definivo/definivano direttrice, lo ero di una scuola. Di lingue. Basta come stereotipi? Basta.

(La badante, la volontaria, la mamma che partecipa alle attività a scuola lo faccio gratis quindi tengo un attimo fuori dal discorso queste funzioni accessorie).

Per dire che una volta che mi hanno mandata a un incontro organizzato dal ministero degli affari esteri di informazioni per imprenditori olandesi che ci tenevano ad andare oltre confine, e mi sono presentata a qualcuno con quella che era la mia funzione lì, consulente, questo ha risposto con una risata: “Ah, ah, consulente Avon?”. Magari voleva essere simpatico, io spero che con quella testa nel frattempo sia fallito. E lavori per un capo donna di quelli incarogniti. Ma la legge del contrappasso funziona solo in Dante.

Anche quando mi sono diplomata sommelier l’ ho fatto in un periodo in cui le donne in classe con me erano quasi più degli uomini e siccome il vino non lo vendo, ma lo comunico, rieccoci che sto di nuovo nella comunicazione come tipica funzione femminile.

Ora, io mi vorrei concentrare su due di queste figure professionali, l’ imprenditrice e la traduttrice/interprete.

Nel mio periodo imprenditorio ho frequentato tutta una serie di gruppi professionali: e le donne imprenditrici di piccole e medie imprese, e Black Woman che era sulle straniere imprenditrici, e l’ associazione di categoria interpreti e traduttori (in cui rivesto la funzione di Commissione feste e se vi sembra che sia un lavoretto di tutto riposo pensate un attimo voi a organizzare un 45mo e 50 lustro per intero per 1600 soci, del 50mo devo aver parlato in precedenza nel blog vecchio), e il network dei trainer di lingue e l’ associazione di categoria insegnanti di lingue vive (azzo, pure quello ho fatto), e parecchie altre cosette.

Per finire pure un paio d’ anni di consiglio genitori all’ asilo, e non si trattava di fare i lavoretti di Natale o comprare i fiori alle maestre, per quanto abbiamo fatto pure quello.

Nel periodo in cui eravamo membri del consiglio madri, che quello eravamo, ci siamo praticamente dovute sedere sulla sedia della direzione a cui il management aveva tagliato le gambe e quindi, e per fortuna eravamo qualificate, far venire le ispezioni ASL, indirizzare la formazione delle maestre, fare il sondaggio qualità tra i genitori, (io in particolare seguivo la spesa per consigliare prodotti alternativi e più sani ove possibile – tipo buttar fuori come succo di frutta il Wicky che è un concentrato di glucosio e coloranti, senza mezzo grammo di furtta, e inserire quelli veri, anche da succhi concentrati, ma senza troppi additivi, robe così), rimettere a posto la comunicazione con i genitori che se ne volevano andare a mazzetti ma non potevano, consolare le maestre in malattia, con l’ esaurimento, che se ne andavano, e fare persino una newsletter (con quella newsletter ho aperto il mio primo blog, in cui postavo ricette per famiglie con bambini che la collega che faceva la redazione si tirava giù, in modo da scrivere entrambe quando potevamo senza aspettare l’ una l’ altra).

Il tutto nei ritagli di tempo e con il terrore che quel nido, per quanto disastroso, chiudesse visto che era l’ epoca delle liste di attesa di due anni e se chiudeva davvero ci ritrovavamo col culo a terra tutti quanti, ma d’ altro canto andava migliorato e di corsa prima che tutte le maestre se ne andassero con l’ esaurimento nervoso e il posto chiudesse lo stesso, e prima che qualche bambino facesse una brutta fine. E se possibile anche acquistare un po’ di giocattoli adatti ai 3- e 4- enni che si annoiavano a morte.

Ovviamente non pagato, ovviamente per una ditta privata (ex-pubblica, poi semipubblica, poi fallita e riaperta un paio di volte) ovviamente con(tro) il testa di cavolo sessantenne e ignorante con moglie a casa che dirigeva la regione e creava tutti quei casini, e ce ne siamo liberati il giorno che l’ hanno promosso ad altre funzioni e finalmente hanno permesso a quel paio di persone competenti – donne – che lui bloccava su tutto, di fare il proprio lavoro e farlo bene.

Posso dirlo? Di buone prassi al femminile ne ho viste a caterva negli anni. Donne con o senza figli, qualificate, che lavorano duro, che si fanno un culo tanto e che hanno sempre tempo per consigliare una collega in panne, tirar su uno stagista imbranato, ritirare d’ emergenza dall’ asilo il figlio della vicina che sta lavorando a 300 km. di distanza ma il bambino ha la febbre, fare una minestra per l’ amica o collega o vicina che sta in crisi di tempo tanto la sta facendo anche per sé, che ci vuole prendere la pentola grande e farne il doppio, cercare la casa di riposo per il suocero demente, donne che tengono su da sole un ufficio quando tutti i colleghi figliomuniti sono in ferie scolastiche obbligatorie (ma meglio non farle vedere un bambino in quei periodi o li fa al forno), donne mobbizzate che vanno avanti per la propria strada ma a che prezzo, donne mobbizzate che rinunciano e si rifanno una vita altrove ma anche no.

E vi posso dire una cosa, questo riesce molto, ma molto bene tutte le volte che parliamo di donne con una certa autonomia di gestione del proprio lavoro. Magari in casa sono incastrate nei ruoli e negli schemi, magari hanno hobby o non ne hanno più, magari hanno passioni che permettono loro di tenersi il lavoro col mobbing, il marito fedifrago e i figli in crisi adolescenziale senza morire troppo, ma da qualche parte hanno una grossa dose di autonomia che permette loro di tenere su tutto.

Certe volte non è quasi neanche più necessario che siano autonome finanziariamente, basta che lo siano di testa. Chi l’ ha detto che le giornate hanno 24 ore? Un uomo, sicuramente. Le giornate delle donne con vite piene sono flessibili.

L’ imprenditoria femminile, o la libera professione, o la partita IVA sono certe volte l’ unica soluzione per sfuggire agli schemi rigidi del lavoro fisso che invece di usarla questa forza e flessibilità femminile le tarpa le ali.

E vi lascio con un nanetto del convegno Black Women anni fa, in cui una tizia superfigamanager della Rabobank (o era un’ altra banca, boh?) dovendo presentare le finaliste del concorso imprenditrice dell’ anno, osservava, a mo’ di incoraggiamento, che quello che l’ aveva colpita nel leggere le domande per il concorso era come le donne spesso non spieghino le ali. Fanno un business plan senza pensare ai milioni, alla crescita, si danno obiettivi piccoli. Osate di più, diceva, le grandi aziende fanno così.

Porella, lei lo diceva in buona fede, ma il pubblico l’ ascoltava basita con un’ aria da: ma da dove viene questa qui? Non l’hai capito che una donna che si mette in proprio raramente lo fa per diventare la più grossa del settore, in genere lo fa per diventare la migliore, per lavorare meno e meglio e usare il tempo che avanza per tutte quelle cose che la grande azienda non deve fare (vedi lista sopra, compreso il suocero anziano e bisognoso), per creare un modello di buone pratiche, per fare rete. E durante la pausa pranzo si scuoteva la testa sconsolate dicendo: e, vabbè, però è pure vero che lavora per una banca. Che le banche, diceva il mio cliente banchiere, servono per far crescere le imprese. Le donne imprenditrici che conosco io dalle banche si tengono alla larga preferendo la crescita organica.

Lo abbiamo visto dove ha portato questa mentalità di crescita a oltranza, le banche sono finite un paio di anni dopo con il culo a terra e le hanno salvate i nostri soldi, delle nostre tasse, delle nostre piccole imprese tirate su con fiducia, cautela e competenza.

Le buone prassi femminili? Per me sono proprio queste: inventarsi lavori nuovi, puntare a essere le migliori, fare rete. Non mi interessa se poi vinciamo o meno il premio Black Woman dell’ anno, tanto basta guardarsi i rapporti internazionali per capire che oggi in Italia le donne sono come i negri nei campi di cotone: manodopera alla mercè dei favori padronali, non un interlocutore con diritti da esercitare. E questi diritti e la forza interlocutoria tocca allora prenderseli da sole, visto che non ci sarà nessuno a regalarteli.

Dove portare i bambini: Linnaeushof

Il Linnaeushof lo conosciamo da un po’, è una delle mete preferite delle gite scolastiche e infatti sia i bambini che il capo come accompagnatore ci erano già stati a diverse riprese con la scuola. (Aggiungo che nei Paesi Bassi la differenza tra gita scolastica, in cui si va in un posto del genere e ci si diverte, o visita di istruzione, quando invece li portano a un concerto, museo o altro luogo che ti eleva lo spirito, c’ è e si vede).

Si trova tra Heemstede e Bennenbroek, due paesi nella zona dei campi di tulipani vicino a Lisse, il tutto a sud di Haarlem, anche se a questo giro, dopo l’ aeroporto e usciti dall’ autostrada, nonostante io avessi messo in mano a Ennio il telefonino dicendo: mi raccomando, quando passiamo vicino ai campi di tulipani fammi una bella foto che mi serve per il blog, ecco, non eravamo proprio sulla strada giusta, quindi il massimo che abbiamo visto, in lontananza, è quella striscetta rossa e gialla sullo sfondo a sinistra, fate uno sforzo di immaginazione, che i veri campi ve li fotograferò in altra occasione.

Non saremmo mai andati così al Linnaeushof un pomeriggio all’ ultimo momento se un’ azione di Kind in nood trovata per caso su facebook non avesse tirato fuori i miei peggiori istinti materni che ha pubblicato una foto e cominciato ad ammorbare parenti e amici per farla votare (e qualcuno l’ ha fatto, anche se non si capiva se toccasse iscriversi o no e pare occorra, ce chi, eroicamente senza conoscere l’ olandese l’ ha capito, l’ ha fatto e anche se non vinceremo la macchinetta fotografica ci abbiamo provato). Il voucher per entrare gratis in 4 dal pomeriggio alle 15.30 fino alle 20 (normalmente chiude alle 18, ma a questo giro tiravano tardi) l’ abbiamo vinto e siamo andati portandoci l’ amichetto A.

Vi dico anche che venendo dal parcheggio (5 euro a volta oppure 20 per tutta la stagione, apre il 28 marzo e va avanti fino all’ autunno) potreste fermarvi 200 mt. prima al circolo del tennis e parcheggiare gratis l`^se trovate un buco. Poi si entra e si cammina per un po’ dentro al bosco prima di arrivare alla cassa.

Ci sono un  sacco di giochi, trenini, giardino apposito per i piccolissimi fino a 5 anni, il giardino acquatico per cui se andate in estate portatevi costume e asciugamano, una sala giochi coperta con gli aiutoscontri gratis, basta che a ogni giro, quando il microfono lo annuncia, si lasci il posto ai prossimi senza fare i furbi. C’ è un ristorante che via, quel panino al formaggio, patatine e nugget li serve e si passsa la giornata.

Insomma ci sono veramente un mucchio di cose carine.

La cosa migliore è fare come i genitori olandesi, mettere un bel paio di calzettoni scuri e spessi ai figli, che poi a furia di togliersi e mettersi le scarpe per i giochi che ti vogliono scalzi, corrono sull’ erba e i mattoncini ben tenuti in calzette e le scarpe le recuperi a sera.

I dettagli specifici ve li do dopo, adesso devo alzarmi e lavarmi i capelli che oggi ho un colloquio di lavoro. Godetevi le foto intanto.

Teoria e pratica della paternità nei Paesi Bassi

È un po’ che non mi faccio sentire qui sopra, e mi dispiace, ma lo sapete come funziona nel cambio di stagione, no? Non sai mai come vestirti e ti becchi raffreddori enormi. Aggiungiamoci che la settimana scorsa stava male anche figlio 1, che avevo tre giorni di interpretariato in cabina, che tra capo e collo mi è arrivata una traduzione urgente di 10.000 parole e che poi abbiamo santificato la Pasqua dai suoceri e sono persino riuscita a fare una lasagna votiva (leggevo su facebook di gente che faceva pastiere, crescie e robe complicate, beati loro che poi magari se li sono pure mangiati) e io mi soffiavo il naso.

La cosa più bella e la cosa più brutta di tutto ciò? (Raccontarci la cosa più bella e la cosa più brutta della giornata è il nostro rito purificatore quotidiano).

La cosa più bella è che ci sono riuscita senza morire troppo, mi sono goduta la lasagna e il weekend pasquale e un pochino anche i figli che mi hanno detto e fatto cose tenerissime. La cosa più bella è stata che il maschio alfa veramente ha fatto i salti mortali per inserire extra consegne figli a scuola al mattino per farmi partire per tempo e serena.

La cosa più brutta è che data la malattia improvvisa di figlio 1, io mercoledì l’ ho abbandonato a casa completamente da solo e malato. Sono una madre degenere, veramente, mi sono sentita di merda (sarà anche stata la febbre, perché quei giorni in cabina me li sono fatta con la febbre, il raffreddore e il mal di gola e nelle pause mi chiudevo in bagno a tossire e soffiarmi il naso con calma).

La cosa più brutta, di nuovo, è stato l’sms al volo che mi è arrivato all’ inizio di un turno di mezz’ ora: mi sono appena fatto gli sciacqui al naso (alleluja, si è rifiutato per due giorni, allora stava proprio male) e adesso ho il mal di pancia, ce la faresti a tornare a casa? Per favore telefonami per dirmi se torni o no.

Intanto che traducevo il lucido mostrato sullo schermo in quel momento ho sms-ato al maschio alfa: chiama Ennio adesso, senza perdermi neanche una cifra dietro la virgola dei dati sulla crescita nel quarto trimestre 2011.

La cosa più bella di nuovo è stata la risposta alcuni minuti dopo:  ci ho parlato, adesso sta bene, non ti preoccupare. L’ adrenalina fa tanto per le prestazioni delle interpreti, signora mia.

Dura la vita dei genitori che lavorano quando il figlio si ammala all’ improvviso, tutte le babysitter e gli amici che potevi mettere al lavoro li hai esauriti per la settimana e per fortuna figlio 1 è grande, ce la fa, una giornata solo a casa da solo sa come godersela, anche senza computer, e la mamma dell’ amichetto che su mia richiesta è passata a controllarlo ha messaggiato: sta bene, è sereno, ha mangiato e non è voluto venire con noi, preferisce giocare da solo.

Però, ripensandoci, io che ho messo su tutta la rete di soccorso e stavo pure male, mi sento una madre degenere. Il maschio alfa che neanche poteva rimandare il lavoro, per una telefonata e un sms al momento giusto, lo sto osannando. Ci deve essere qualcosa di profondamente sbagliato nella mia percezione dei genitori che lavorano e rispettiva divisione dei compiti nei confronti dei figli. O forse era solo la febbre.

Comunque ci ho pensato così bene che qui trovate il mio articolo odierno per Genitori Crescono  sull’ evoluzione della paternità nei Paesi Bassi, con le sue cause storiche, sociali, economiche e politiche, dal 1900 ai nostri giorni. Enjoy. Io vado a prendermi un’ aspirina.

Per non dimenticarmela, la casa di zia Vittoria

Premessa: se uno mi chiedesse dov’ ero e cosa stavo facendo tra il 5 e il 6 aprile 2010 e 2011, io non lo so. Potrei guardare sul blog, ovviamente, ma di prim’ acchito io non me lo ricordo (ah, si, uno adesso me lo ricordo, ho dormito in maniera tale con Vic che la mattina ho perso il pullman per l’ Aquila, e infatti). Questo terzo anniversario del terremoto dell’ Aquila che è stato uno spartiacque nelle nostre vite, invece me lo sto vivendo un po’ troppo consapevolmente. E sono giunta alla conclusione che io dall’ anno prossimo me lo istituisco come giornata del ricordo di casa nostra. E che se ci riesco mi organizzo per tempo e me ne torno in Italia. Spero di farcela. Intanto io ricordo questo, l’ originale con i suoi commenti sta qui, e poi sta anche in Statale 17, storie minime transumanti. Io comunque ancora non mi stanco di ripeterlo. Concedetemi questa debolezza. 

La casa di zia Vittoria ad Onna è proprio tutta sua, gliel’ha regalata sua suocera. Per diverso tempo lei e zio Ginetto continuavano a stare a metà tra la casa di famiglia di lui in un altro paese nella valle subequana, e l’appartamento all’Aquila.

Poi zio Ginetto ha avuto una paresi, lei in età di pensione ha preso la patente e sono andati a stare ad Onna, nella casa tramandata di donna in donna, che è sempre una cosa speciale, a mio avviso. Questa casa con un bel terrazzo enorme, coperto da una tettoia, pieno di piante e fiori, gerani, miseria, asparagine e la sposina, una piantina endula con fiorellini bianchi o viola dal cuoricino giallo. E il dondolo, con vista del tetto della chiesa.

Poi quando c’è rimasta da sola, ad Onna, per noi è sempre stato un pied-a-terre fuori L’Aquila. per me che a L’Aquila ci studiavo, ma da lei andavo sempre volentieri. Per i miei, che mio padre le faceva volentieri le improvvisate, che “L’acqua di Onna è proprio speciale, per questo da zia si mangia bene, che cucina con l’acqua di Onna” faceva mio padre.

Con la macchina, zia Vittoria fin oltre gli ottantanni, faceva grandi incursioni. L’anno che siamo vissuti a Pettino, e che nonna si è rotta il femore (una sta all’Aquila a studiare e divertirsi, poi ti capita la disgrazia del fratello che vuole venire a fare le superiori lì per divertirsi anche lui, poi si fa bocciare un anno, che il convitto nazionale è un carcere, poi mi mettono in culo al mondo pur di avere una casa in cui stare tutti e due, così i miei di passaggio vengono a dormire lì e ci si vede, un pochino. Poi nonna si rompe il femore e mi piazzano in casa anche lei). Un anno accademico, quello che non auguro a nessuno.

Qualcuno si stupisce che dall’anno dopo me ne sono andata all’estero e che all’Aquila ci tornavo solo per consegnare un nuovo capitolo della tesi e levarmi di torno? Comunque all’epoca del femore zia Vittoria veniva carica di provviste, aiutava nonna a lavarsi (che nonna di me aveva vergogna, le vecchie hanno questi pudori strani, pensa tu), portava le patate e i fagioli di Onna.

Con la macchina, una 127 rossa sostituita successivamente da un’altra 127 un pelino meno rossa, zia Vittoria faceva le spedizioni per il vicinato. Con le vicine si studiavano per dei pomeriggi i depliant delle offerte del supermercato, poi lei partiva con delle liste della spesa enormi per L’Aquila. e tornava stracarica, 30 bottiglie di gassosa e questo e quello. Poi si teneva i punti.

Un pomeriggio l’ho trovata che si studiava il libretto dei premi dei punti. Era indecisa tra una radiosveglia e un aspiratorino per pulirci la macchina.

“Senti, hai le campane della chiesa di fianco a che ti serve la radiosveglia?”, le feci. Poi prese l’aspirapolvere, ma secondo me non era convintissima.

A volte con zia Argentina, la cognata, venivano a trovare nonna al mare ed erano pomeriggi di telenovele e ragionamenti. E rosari, che il rosario è una pratica ottima, anche per passare il tempo in treno, mi dicevano.

Se da ragazze dovevano andare da qualche parte, chiudevano gli occhi, tiravano fuori il rosario e nessuno osava molestarle (bei tempi).

“Tutto si è giocato, l’ha moglie, l’ha sfiatata, quella poveretta, e poi se ne va con quell’altra” ascoltavo e mi dicevo: ma guarda un po’ le cose che succedono tra Ofena, Onna e Pedicciano, e aspettavo per capire se era qualcuno che conoscevo anch’io.

Poi un sospiro:
“Eh, certo, questo è il romanzo, ma nella vita queste cose succedono pure” e capivo che si erano riviste una qualche novela”. Mia madre, quando eranop tutte e tre insieme, le chiamava le ragazze. Ultraottantenni, ma ragazze nell’animo.

A casa di zia Vittoria non solo si mangiava benissimo, si dormiva benissimo. nella sua stanza degli ospiti, vuoi gli scuri che facevano un buio pesto, vuoi i materassi e le coperte di lana, vuoi il silenzio di Onna a parte le campane, come si dormiva bene da zia Vittoria.

Insomma, di storie su zia Vittoria, anche carine, di quando era giovane ed appena sposata con quel pazzo di zio Ginetto, tanto caro ma un pazzo come erano pazzi tutti questi uomini di una volta, un po’come suo padre e mio bisnonno Nicola Silvestrone, ne avrei da raccontare.

Ma il capo ha trovato questa foto e me l’ha mandata chiedendomi se fosse proprio casa sua. Si, lo è. Non riesco solo a capire se è tutta o se è mezza. E dove stava di preciso camera sua.

La foto l’ho presa da lì, se il proprietario non gradisce, me lo dica e la tolgo. Però se me la lascia, preferirei.

Lei adesso sta anche qui.