La cena di pesce del 14 luglio e il serendipity-marketing

Cena di pesce con gita scolastica e corso di cucina, 14 luglio

alle 10.15 partiamo per il porto

alle 15 ci mettiamo a cucinare (brodetto dell’ Adriatico, cous cous con mandorle e gamberoni alla trapanese e un mucchio di altre robine buone, tutte con i vini in abbinamento scelti uno ad uno).

alle 18.30 ci raggiungono quelli che cenano soltanto per l’ aperitivo

Il tutto a € 55 a persona.

Adesso vi spiego come ci siamo arrivati e il perchè del serendipity-marketing.

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Sono cresciuta in mezzo ai pescherecci a Tortoreto, al confine della zona pescatori, ovvero tra via Dante e via Foscolo, dove tutti i nostri vicini erano imparentati tra di loro, certe volte in modi meno ortodossi di quello che vorremmo, e dove tutti avevano l’ orto dietro casa con in un angolo le nasse ammassate.

In primavera mio padre che per arrotondare e per irrequietezza si era messo un lavaggio auto e camion, si rimorchiava la macchina dell’ acqua calda nella zona barche e lavava tutti i pescherecci con l’ acqua bollente a spruzzo, così che per la stagione erano pronti. Certe mattine andavamo prestissimo in spiaggia per dare una mano con la pesca a strascico e guardare il sole sorgere e farsi il primo bagno freddissimo della stagione (verso aprile, mi pare, e poi ricoperti alla meglio con i vestiti che avevamo e le canottiere di lana che si appiccicavano al sale, perché senza asciugamano sono i vestiti che ti asciugano, aspettavamo rabbrividendo che qualcuno si decidesse a portarci a casa. ci scrissi un tema sul quel cielo che cambiava colore e il momento in cui la rete, tirata da due parti, arriva sulla sabbia e dentro si dibattono tutti quei pesciolini d’ argento.

La premessa per dire che sono cresciuta a pesce pescato la notte prima, che quando non andavamo noi a prendercelo ce ne passava una cassetta zia Maria, la nostra vicina, attraverso la rete. O la commare Giuseppina.

Per questo a me il pesce fresco manca moltissimo, e poi diciamocelo, a me manca il pesce dell’ Adriatico. (Mi manca tutto l’ Adriatico in realtà).

Per questo quando posso me ne vado all’ asta ittica a Wieringer (ve ne parlavo qui) e questa primavera è già un po’ che scalpito per andarci, anche se tocca partire il sabato mattina presto (e il sabato mattina Orso va trascinato al corso di disegno, poi alla fine del corso ti supplica per tornarci e ogni sabato si ricomincia a trascinare. Direi che gli piace molto, ma per questo motivo non riesco mai ad alzarmi all’ alba ed andarmene al porto).

Poi abbiamo appena concluso il corso con cena sui vini italiani all’ Istituto Italiano di cultura (riprendiamo a settembre tutti i secondi giovedì del mese) e i corsisti che mi facevano: ma dai, organizza un bel coro di cucina che poi veniamo, e Michela che era venuta a guardare ci raccontava delle tonnare e della mattanza e di tutto quello che fanno col tonno e col pesce da lei a Trapani (invece di dirci dei meravigliosi gioielli tessili che fa, ispirati ai coralli e alle alghe del suo mare), e da lì al chiederle di farci il cous-cous il passo è breve, “Ma ci vuole la couscoussiera”  fa lei, ” Ce l’ ho, me l’ha rifilata Marta e sta lì, almeno mi insegni a usarla”.

So much for serendipity. Perché dopo la lezione vado a mangiarmi un gelato con Cinzia, la mia fenomenale bar-lady geologa che mi ricorda la favolosa cena di pesce dello scorso anno e decidiamo lì per lì, con un gelato in mano in Warmoesstraat alle 23 di un martedì sera che sembra quasi estate, e mettiamo insieme la gita al porto, il corso di cucina e la cena.

Allora il tempo stringe, tocca avvertire per tempo la gente, io non ho mai avuto una mailinglist decente e scrivo a chiunque abbia un indirizzo con .nl di quelli propostimi dal programma mail. Tipo che inizio a scrivere “a” e lui mi fa comparire tutti gli indirizzi con la “a”, il cosiddetto mailing a manovella. E sono pure arrivata alla “z”. (Sono aperta a suggerimenti se qualcuno ha un sistema migliore che sono sicura che esiste).

E nel mailing gli ho detto: cari e belli vi invito a mangiare la focaccia domani sera e i cicchetti all’ Istituto Italiano di Cultura il 3 luglio alle 20, la scusa è la donazione della copia anastatica del Breviario Grimani e ci saremo io con le mie cosine belline e buonine, che vi sto mettendo su anche un finger food a base di Bietola di Chioggia che chiamerò, how original, really, le baruffe chiozzotte, anzi le barufe ciozote, e soprattutto facciamo qiuesta cena di pesce con gita scolastica e corso di cucina per chi vuole.

E non solo alle 7 di mattina arriva la prima iscrizione da Nel che viene a fare tutto, mi risponde pure un signore che nel mailing c’ era per caso. Uno che aveva pubblicato una cosa molto intelligente sul sito di Ikea Hackers, e a cui avevo scritto per chiarimenti e mandato per sbaglio il mailing (sappiatelo, se mi finite nella casella di posta, succedono cose strane) e mi risponde e si scopre che:

a) adora l’ Italia

b) tra gli anni ’70 – ’80 è stato grossista di vino in Olanda e adora i vini italiani (respect, in quegli anni lì insegnare i vini agli olandesi era roba da missionari)

c) è un alfista anche lui come mio papà

d) a settembre si iscrive ai corsi di vini e forse pure a un corso di italiano, che deve ripassare.

Ecco, se la gente da oggi mi chiede: ma tu come lo fai il marketing delle infinite robe che organizzi, io rispondo: mando una mail agli amici, e visito Ikea Hackers e altri blog e chiacchiero con la gente. Il termine serendipity-marketing però se non esiste già da questo momento è roba mia.

Se volete prenotare per la cena, la gita e/o il resto, lasciatemi un commento che vi scrivo tutto.

Documentario “Comando e Controllo” questo giovedì ad Amsterdam (si, e dopo pure la partita, va bene)

Visto che di questi tempi, e sono tempi difficili, non si può neanche più dire in giro che no, a me del calcio importa veramente poco, il minimo impostomi da mio figlio che ci gioca e giustamente si vuole guardare le partite, salviamo capra e cavoli così.

Un paio di mesi fa ci eravamo messi d’ accordo con Alberto Puliafito che durante la proiezione del suo documentario Comando e Controllo ad Amsterdam, ci avrebbe fatto moltissimo piacere se fosse venuto lui personalmente di persona a presentarcelo. Detto, fatto. Arriva.

Adesso qualcuno declina causa partita la stessa sera. Non ci posso far nulla, quando organizziamo queste cose tocca tener conto di tanti di quei calendari in contraddizione tra loro che proprio pure quello delle partite ci era sfuggito. Noi comunque il documentario ce lo guardiamo lo stesso. Però, guardate, se proprio proprio a voi la serata senza partita vi sembra, come dire, un’ amputazione del vostro diritto alla passione calcistica, vi tranquillizza se dico che poi, a documentario finito, attacchiamo la partita al beamer e ce la finiamo di guardare insieme alla focaccia e vino sullo schermone grande? Eh?

Poi se non venite perché in fondo a voi dei documentari, della bell’ atmosfera che si crea all’ Astarotheatro quando si riesce a parlare di qualcosa di intelligente, della focaccia e del vino non ve ne importa niente, che dirvi, noi ci saremo. E se ci siete anche voi ci fa piacere, sennò ognuno ha le sue priorità nella vita. E le mie sono queste. Amici, conversazioni intelligenti, focaccia di Altamura e vino buono (e chinotto, e cedrata Tassoni che ci sono avanzati da venerdì scorso). Compatitemi. Però poi non vi lamentate che ad Amsterdam vi sentite soli e non c’ è mai niente di interessante.

Giovedì 28 giugno, ore 20.30

Sint Jansstraat 37, (lato sinistro dell’ Hotel Kransapolski sul Dam)

Prenotazioni gradite (per via della focaccia):

info@ondaitaliana.org

06 47 254 144

Mi si è alzato il ponte

Come diceva il mio amico romano che lavorava in alta finanza:

“Gli olandesi fanno tanto i precisino e i so-tutto-io, ma poi sono peracottari come tutti”.

Quindi se siete di quelli che credono agli stereotipi, non commettete l’ errore di figurarvi che gli olandesi siano quelli precisi, puntuali, spaccati al minuto. Quelli sono i tedeschi. Gli olandesi, giusto perché voi siete gli italiani, se arrivate tre secondi in ritardo ve li faranno pesare tutti, anche se siete stati investiti da un TIR e scappate via dalla terapia intensiva con tutte le flebo ancora attaccate, pur di arrivare all’ appuntamento in questione.

Loro invece, se sono in ritardo, ti propinano la scusa classica che mentre stavano per arrivare gli si è alzato un ponte.

E la cosa peggiore,è che è pure vero. Certe volte persino in autostrada.

#salva la 194 e la pillola del giorno dopo

logo di Barbara Pollini

Io non so cosa stia succedendo oggi. So che quando ci fu il referendum sull’ aborto gli italiani decisero che andava bene. So che da quando abbiamo questa legge si sono salvate molte vite di donne che prima ci restavano secche o mutilate per sempre. So che se la legge venisse applicata come dovrebbe, come era nelle intenzioni dei compilatori, forse oggi avremmo meno ragazzi e ragazzini che la propria educazione sentimentale se la fanno su film porno, sempre irrealistici e spesso violenti e poi quando si ritrovano accanto un/una coetanea non hanno idea di cosa debba succedere e certe volte non succede niente. So che vorrei un sano programma di educazione all’ affettività e sessuale nelle scuole, in modo da ovviare a tante mancanze che finiscono per eserre riempite solo da chi ha soldi da guadagnarci. So che in un mondo ideale ogni bambino venga al mondo perché voluto e amato. In fondo voglio cose che facciano star meglio la gente.

E vorrei che la discussione uscisse dal discorso moralità, perchè la moralità è come la vagina, ognuna ha la sua e alcuni non ce l’ hanno. E allora che parlano a fare?

Ma c’ è chi lo sa dire molto, ma molto meglio di me, perchè per motivi loro umani e professionali, ci hanno pensato e sanno dirlo staccando il discorso dall’ individualità di chi lo fa. E per questo dicono cose utili.

Qui l’ avvocata nostra sull’ obiezione di coscienza. Io non andrei oltre l’ osservazione che se proprio hai seri motivi per obiettare, e non solo il carrierismo ipocrita di chi obietta gratis ed esegue aborti a pagamento, visto che la legge c’ è da tanto tempo o è ora che vai in pensione, o ti sceglievi un’ altra specializzazione. Io ho amici pediatri. Quando perdono un piccolo paziente e lo devono dire ai genitori che fanno, si sparano? Obiettano? Dicono: io non sono diventato geriatra perché proprio non ce la faccio a vedermi morire i pazienti e visto che è innaturale che muoia un bambino, rivoglio indietro i miei soldi, mi hanno imbrogliato? No, spiegatemela questa cosa. E convincetemi.

Ma io non sono capace di ragionamenti ragionati. Allora vi lino qui la psicologa-filosofa su come sarebbe auspicabile che procedesse il discorso sulla 194 e dal punto di vista della decisione, sul perché l’ aborto rientra più nella linea di pensiero del suicidio che quella dell’ omicidio, come piace dire a molti pro-life.

E oggi ne trovate di gente molto più in gamba di me in giro sulla rete che ne parlano. Leggetelo, anche se è uno di quegli argomenti di cui ognuno pensa il suo, leggete perchè leggere come ne scrivono persone che lo sanno fare aiuta anche noi a capire cose pensiamo veramente.

Ma non mi toccate la #194. O facciamolo solo per migliorarla.

Perché come tutte le cose che avvengono sul confine tra vita e non vita, morte e non morte, meglio far parlare chi lo sa fare invece di sparare ognuno le proprie esternazioni ad minchiam.

Shaken, not stirred: il calcio e i calci in culo passando per l’ Ucraina e i suoi cani (tette, dimenticavo le tette)

Se non è sfuggito a me, che non me ne potrebbe importare di meno del calcio, tranne quando ha attinenza con mio figlio (la stella sopra è un regalo dell’ allenatore al team che adesso si disperde: suo figlio passa a atletica, lui non allena più, i giocatori rimanenti passano ad altre squadre del club e per fortuna grazie alle manovre di suo padre Ennio pare finisca nella squadra in cui si trovano tre suoi amici di scuola), immagino ve ne siate accorti anche voi, si gioca.

Si gioca nonostante eventi recenti e non recenti vi abbiano dimostrato, cari tifosi, che le vostre squadre del cuore e i vostri idoli calcistici vi prendono bellamente per culo, comprando e vendendosi le partite e chissà perché voi gli date ragione continuando a guardarveli, comprandovi le magliette e facendo incassare tutti i soldi della pubblicità all’ indotto che ci gira intorno, pubblicità che vi e ci suscita bisogni fasulli per cui quei pochi soldi che abbiamo e non abbiamo li andiamo a regalare per cose che davvero non è che ci rendano poi così felici. Però contenti voi, contenti tutti.

Me ne sono accorta perché il mio quartiere che per decenni era un quartiere popolare di gente umile ma onesta che a forza di lavorare e far andare i figli a scuola ci ha provato a raggiungere qualcosa in più nella vita (un signore che ho conosciuto mi raccontava che da piccolo, siccome sua madre si era ammalata e non ce la faceva a star dietro ai figli, il padre gli ha comprato un posto da convittore nell’ orfanotrofio locale e anche per questo motivo si è girato un sacco di scuole elementari ad Amsterdam Noord, ma la domenica la passava a casa con i suoi. È venuto su bene anche lui, ha una splendida enoteca, fine digressione).

Poi il mio quartiere è diventato un quartiere di poveracci, pieno di emigranti, anziani e gente che vive del sussidio. Da qualche anno è ibrido, nel senso che mano a mano che si svuota qualche appartamento le case popolari si vendono e arriva sangue fresco. Gente con  bici fighe, tende trendy e un potere d’ acquisto maggiore che si traduce in ristorantini più o meno fighetti, palestre e scuole e asili che piacciono a questi genitori qui, con un indirizzo pedagogico preciso, tipo Montessori o Dalton. Perché i genitori, come tutti, amano mandare i figli in scuole in cui incrociano gente come loro.

Però a differenza di altri quartieri come De Pijp, che veramente si è infighettito da matti, Noord è ancora un ibrido, con le casette sulle dighe in legno dei poveracci di un paio di secoli fa che adesso, risistemate da architetti di grido, ospitano gente come il nostro ex ministro delle finanze, i quartieri di case popolari degli anni ’20, le città giardino che sembrano dei paesetti e i paesetti che sono stati inglobati dalla città e tagliati dal resto del paesetto fuori dalla tangenziale per diventare un quartiere. E poi un sacco di palazzoni enormi anni ’70 ma anche quartieri nuovi di villini unifamiliari per non costringere le famiglie a trasferirsi fuori città, che finalmente l’ hanno capita questa cosa al dipartimento urbanistica.

Per capire dove abitano davvero i poveracci bisogna aspettare queste cose qui calcistiche, i mondiali, gli europei, quello che è, mi confondo sempre. Perché allora dove vedi una concentrazione enorme di bandierine, festoni, lucette, cotillon, la maglia del cuore appesa alla finestra e varie, capisci che abitano lì e che la prossima volta che io o la mia vicina vogliamo spargere volantini sulle degustazioni di vini o i corsi di yoga, quei blocchi lì evitiamoli direttamente che si risparmiano carta e fatica.

Cioè avete pochi soldi, vi fate prendere per culo dai vostri idoli calcistici e spendete pure tempo e fatica e soldi per inquinare di arancione casa vostra. Poi uno si chiede perché c’è chi nella vita resta sempre lì. E io pago le tasse.

Ma non è questa la cosa che mi ha dato più fastidio di questi Europei. A me la cosa che mi ha scocciato di più, e per fortuna da quando sono iniziati davvero i giochi hanno smesso, sono tutti quelli che nei social network invitano a protestare contro i mondiali perché in Ucraina hanno allestito i forni crematori su ruote per catturare i randagi e arrostirli direttamente (a parte che ad avvelenarli in massa si fa prima e costa meno).

Ora, io non è che non ami i cani, ci sono cresciuta insieme e quello che so delle dinamiche di gruppo l’ ho imparato dal branco di pastori abruzzesi che mio padre allevava. Amo talmente i cani che mi rifiuto di averne uno, a parte che hanno un’ impronta al carbonio enorme, me lo dice uno studio recente.

Io amerei pure tutti quei miei amici che postano imperterriti delle robe del genere, ma poi quando li avverto che secondo me è una bufala, vorrei che si informassero e la piantassero. Si fa presto a cercare in rete se una cosa è una bufala o no, e io ne ho trovati di siti che lo confermano (non li cito perchè uno di loro aveva anche il banner per l’ unificazione della Lombardia alla Svizzera e capite che questo mi mina parecchio la credibilità, ma diciamo che non erano l’ unica fonte).

Cioè, se da qualche parte davvero fanno le ecatombi di cani randagi prendendoli a randellate, io veramente li maledico. Ma se proprio vogliamo boicottare l’ Ucraina e i mondiali, io sinceramente troverei molto più coerente farlo per la questione dei diritti umani, per il fatto che forse non è una dittatura ma ci sta pericolosamente vicino ed è solo questione di sfumatura, che la ex-presidente Julia dalla bionda treccia sta incarcerata senza processo e con capi d’ accusa vaghi e ha mandato fuori dal carcere le foto in cui fa vedere i lividi di quanto la pestano. Se dobbiamo parlare dell’ Ucraina parliamo per favore di come stanno i bambini lì (a suo tempo ne ho parlato), soprattutto quelli negli istituti e negli orfanotrofi (sui riformatori non oso manco pensarci).

Se dobbiamo sostenere una causa in Ucraina vogliamo filarci un attimo il movimento femminista Femen, si, avete capito bene, quelle che dimostrano in mutande e tette al vento, ah, ecco, vedo che quando scrivo tette c’è un’ impennata nell’ attenzione, me lo dicono gli strumenti di bordo. E per cosa manifestano le donne di Femen? Be, tra le altre cose per esempio per portare l’ attenzione sulla prostituzione che va insieme a eventi di massa tipo gli europei. Che in Ucraina la topa costa poco, chiedetelo a tutte le ragazze vittime della tratta, guardate, non c’ è manco bisogno che veniate in Ucraina per farlo, basta farsi un giro di sera verso la bonifica del Tronto.

Insomma, con tutto il rispetto per i cani, parliamo anche di cose più concrete per gli umani, dove si fa molta fatica ad argomentare se siano o meno bufale, a parte che se c’ è ancora chi è capace di dubitare della shoah e dell’ allunaggio, posso credere a tutto. È vero anche che se guardi come trattano i cani capisci anche come trattano le fasce deboli della popolazione, ma ci vuole il moto di fede per farlo questo collegamento.

E quindi parliamo anche delle fantastiche foto che pubblica Repubblica. Avete presente che all’ ombra di grandi festival a volte si creano festival per dei minori, come lo shadow o il fringe. Be, io non lo sapevo ma a Berlino hanno fatto un fringe degli europei in cui a calcio giocavano attrici porno con la maglietta finta ottenuta con il body painting. Ma ragazze mie, ho capito che vi sfruttano, ma dico, fare sport senza un reggiseno rinforzato, voi che delle tette ci vivete? Ecchèccavolo, ma questa è distruzione di capitale, il vostro manager non ve le dice queste cose? Ah, no certo che non ve le dice, Repubblica non ne parla ma qualcuno su Facebook ultimamente ha postato un link a un articolo su un documentario sull’ industria del porno e c’ è da suicidarsi, altro che cani. (Si, i cani li usano anche lì e pare che tutte, ma proprio tutte le donne costrette ad eseguire bestialità si suicidano in brevissimo tempo). Be, non è che non si potesse immaginare, a me mi dovete ancora convincere che una lascia il posto in banca perché la sua vera vocazione è quella  di farsi massacrare da attori che vengono scelti proprio in quanto macchine, perché dice l’ articolo che queste povere criste le riempiono di emorragie ogni due scene e si incazzano pure perché intanto che ripulisci il sangue si spreca pellicola. Però evidentemente ci sono lavori ancora più logoranti, che so, consigliere regionale della Regione Lombardia, si, quella che dovrebbe unirsi alla Svizzera, e chi sono io per giudicare, non avendo mai fatto né l’ uno né l’ altro né il terzo mestiere.

D’altronde siamo seri, una sana industria del porno e della prostituzione è indispensabile, perché visto quello che stanno facendo alla 194 e ai diritti delle donne e in tema di violenza di genere, dovrei pensare che se non ci fosse questa gli stupri sarebbero ancora più frequenti.

Per forza poi il caporale che all’ Aquila ha massacrato una ragazza lasciandola ad assiderarsi priva di conoscenza nella neve ha avuto gli arresti domiciliari, se dovessero arrestare tutti gli stupratori davvero non ci sarebbe posto nelle carceri. La poveretta le hanno dovuto mettere 64 punti (quasi come a un’ attrice porno dopo le riprese) e l’ ipotesi di reato pende più sul tentato omicidio che stupro, ma tanto il caporale ha un ottimo avvocato che sostiene la tesi del rapporto consenziente e quindi attende serenamente a casa il processo. Lei ha deciso che lascia l’ Italia e la capisco benissimo, non glielo posso dire da sorella maggiore che tanto che dici a fare, ma non credo che all’ estero le cose vadano tanto meglio.

Non vanno meglio perché c’ è la crisi, perché abbiamo tutti la consapevolezza che pendiamo a un filo, pure noi la classe media con le mele, che blogga da un Mac, ha l’ i-phone, ha l’ i-pad, la wii e tante altre cose, ma appena perdiamo il lavoro e di questi tempi lo potremmo perdere tutti, non abbiamo più un salvagente. Non abbiamo la casa di proprietà perché è di proprietà delle banche, anche se le tasse le paghiamo come se fosse nostra. E le banche, ah le banche. Meno male che qualcuna ancora ancora sponsorizza il calcio o non ci restava neanche quello.

Quindi io mi devo ancora rallegrare di tutto quest’ arancione che se l’ Olanda non si fa buttare fuori subito dagli europei un altro paio di settimane continuerà a rallegrare. E francamente, del calcio non me ne frega niente, ma intanto tifo per la Grecia. Così, giusto perché forse ne hanno un pochino più bisogno della Germania.

Questi sono tutti gli ingredienti che mi si agitano nello shaker da un mesetto, che farci, le notizie deprimenti mi si attaccano come le pulci ai cani. e meno male che ho tagliato fuori un altro paio di questioni. Per fortuna, come dice saggiamente il non calciatore dei miei figli:

“Insomma, adesso ci sono le partite qualcuno vince, qualcuno perde e poi fra quattro anni ricominciano da capo, vero papà?”

Verissimo. E chissà perché la cosa non mi conforta.

Shaken, not stirred: Cosa stiamo facendo ai nostri figli

Inauguro così una nuova rubrica per tutte quelle riflessioni, altrimenti detti pipponi, che non sapevo bene come collocare in questo nuovo blog, ma che nel vecchio mi hanno dato grandi soddisfazioni, fosse solo per il loro valore terapeutico. Sono alcuni giorni che ho in ballo un paio, shakerati, centrifugati e da sedimentare vari sugli europei, la cattiva coscienza, la vita, il mondo e come ci facciamo prendere per culo e sembriamo persino contenti di ringraziare. Ma oggi pomeriggio mi stavo facendo un’ altra riflessione in macchina e poi rientro e trac, mi ritrovo in mano questo post di Desian.

La riflessione di partenza era che con i figli ho poche idee buone e neanche confuse. Tutto il resto è negoziabile. È vero, casa nostra la si potrebbe intitolare: dopo il ciclone in qualsiasi momento uno arrivi, tranne per una festa (in quei casi è un ciclino). È vero, ho un lavoro con orari irregolari e mi tocca barcamenarmi se mi arrivano richieste all’ ultimo momento su come sistemo vita, figli, pranzi e cene. Ma queste sono le condizioni che mi permettono di tirare fuori il meglio da me stessa. Infatti ultimamente una collega diceva a un’ altra che a me mi puoi prendere, ficcare in un sacco e mettermi a testa in giù a fare una simultanea su argomento oscuro e ostico e la farei comunque con proprietà di linguaggio e immediatezza, e mi sembra uno splendido coronamento di oltre vent’ anni di professione. Ecco, lavorativamente potrei morire felice adesso, ma non subito per favore.

Ho una sogliola, cioè una soglia, ma piccola e carina, di tolleranza al casino molto più alta di quella dei maschi di casa, ma è anche una necessità, io quello che non ho sotto gli occhi manco mi ricordo che esiste (sono un tipo visivo, vedo un errore di spelling o il brillantino che manca in un pavé  da tre km. di distanza, ma le macchie di vino sulla tovaglia, se si lavanoda sole con uno schizzo di smacchiatore e il programma apposta bene, sennò la prossima volta sull’ alone ci poggio una formaggera e passa la paura.

Ecco, mentre lo scrivevo l’ ho capito perfettamente, poi uno dice che a shakerare non si ottiene molto di più che ad agitare. Io noto e mi diverto molto di più con le assenze che con le presenze. Cavolo, ho risolto uno dei dilemmi della mia vita, magari non mi serve più finirlo questo post. No, va bene, vado avanti. More is more, ma less va bene uguale perché offre più spunti creativi.

Non essendo di natura organizzata e precisa a me mettere insieme un minimo di ordine convenzionale che vada bene agli altri costa una fatica enorme, d’ altro canto se mi date una lista di cose da fare entro un tempo impossibile e la libertà e le risorse per gestirmele, in genere non solo sono pronte per la deadline stabilita, ma state pur sicuri che nel frattempo copro un altro paio di emergenze proprie e altrui e se mi viene bene nei momenti morti rischio pure di produrre 4 vasetti di marmellata di rabarbaro, prima che mi vada a male entro detta deadline. Per un archivista dentro come mio marito vivere con me deve essere un inferno, ma è un ragazzo forte e la manutenzione che gli faccio evidentemente per ora funziona.

Quindi ho da sempre una casa ciclone e faccio tremila cose contemporaneamente e poi mi scordo di scrivere fatture e farmi pagare. Però cucino from scratch e il meno possibile con i prodotti del supermercato e se sono bio e a km. zero meglio, faccio poi dei gran km. con roba inutile tipo le lenticchie di Santo Stefano in tasca e il barattolo di ventricina nel bagaglio a mano. E perdo un aereo per il piacere di comprarmi una bottiglia di Leone de Castris o Feudi di San Gregorio al duty free. Ognuno ha le sue perversioni.

E allora oggi in macchina riflettevo che certo, io lo so benissimo come fare per avere la casa in ordine, i figli tranquilli e le cene apprezzate. Mi basterebbe avere l’ abbonamento per la TV, riempire i miei figli di pizza surgelata e cibi precotti e preconditi e magari pure predigeriti e comprare a tutti noi meno riviste, fumetti e libri. Anzi, eliminarli che fanno polvere e disordine. E anche quelle tonnellate di lego che si infilano nelle fessure del pavimento. Azzo che casa vuota e pulita che avrei allora. E che figli silenziosi e godibilissimi, non avrei neanche bisogno di urlargli contro perché mangino. Quanto tempo mi avanzerebbe per farmi i 30.000 fatti miei nel momento in cui mi zompano in testa. Penso che riuscirei persino a spedire le fatture per tempo.

Bene, io penso che con tutti gli avanzamenti tecnici con cui ci semplifichiamo la vita ci sono alcune cose in cui non siamo poi cambiati tanto in questi milioni di anni di evoluzione. Inutile che mi parlate di nativi digitali, è vero, i miei figli in quella mezz’ oretta di computer al giorno che con sudore, lacrime, sangue e trattative sempre riaperte perché non sia mai che non ci provino a costo di rendermi isterica, scoprono cose che io dal Mc ancora non ero riuscita a farmi dire. È vero, abbiamo appena comprato un televisore e già sanno come attaccarci l’ hard disk volante su cui archiviamo i film e come collegalo a Internet per guardare i filmini su MineCraft che ovviamente continuiamo a rifiutarci di comprare. E quando hanno messo le zampette sul mio I-phone sa solo dio le applicazioni inutili che ci hanno piazzato (ho avuto la dabbenaggine di dirgli al mia password a patto che scaricassero solo un paio di app gratis innocue e ho dovuto bloccare tutto e ancora non capisco come ripristinare la sincronizzazione, mannaggia, quando ti serve un nativo digitale non c’ è mai).

Ma cosa succederebbe se gli mettessi in mano un computer proprio, o, peggio ancora, una TV personale in camera? Non ho ancora mai visto un bambino con liberamente in mano il computer dei genitori scoprire volontariamente la magia di far funzionare un foglio Excel. E persino le presentazioni in Power Point che devono fare per la scuola, con uno pseudo powerpoint scolastico online a cui hanno accesso e che ci stiamo tuttora incartando tutti per mettere insieme una cosa che capiscano loro per primi, be, pure quello mi tocca tuttora spiegargli io i trucchi.  In breve, se mettessi in mano ai miei figli il computer più spesso di quanto non faccia, al massimo guarderebbero ancora più filmini su youtube e ancora più giochini online.

E quel tempo lì andrebbe a discapito di altre cose che per me sono un pochino più importanti: come sguinzagliarli in giardino o al parco ad infangarsi (e peccato se rientrano mollando zolle da 20 kg sul pavimento, tanto non è quasi mai appena pulito). Aprire di nascosto la baracca in giardino e trafficare con chiodi, martelli e il giravite elettrico. Solo dalla sega elettrica meglio che stiano lontani. E va bene anche quella volta che ero bloccata sopra da una telefonata importante e li avevo cacciati a urlacci per poi scoprire, una volta scesa, che si erano fatti la cena da soli: zuppina di pollo solubile (lo so, mi contraddico, ma Ennio se ne è innamorato in Polonia e mi sono appena fatta spedire 30 sacchetti da mia madre) e uovo al tegamino.

Verrà il giorno in cui computer gli servirà per cercarsi una ricetta, fare la spesa e cucinarcela, un obiettivo a cui lentamente ma inesorabilmente vorrei arrivare intorno ai 13 anni. Così magari la piantano ogni sera di piantare scenate da tregenda per assaggiare ed eventualmente mangiare qualsiasi cosa che non siano polpette, salsicce, pasta al pomodoro, stelline in brodo, piselli, mais e sacchettini di parmigiano grattugiato ingurgitati direttamente in bocca senza passare per nessuna stoviglia o pietanza.

Insomma, non voglio dire che i computer, la Tv, i giochini elettronici e il cibo industriale siano IL MALE (oddio, dell’ ultimo si, invece, ne sono convinta, ma a volte è un male necessario). Dico semplicemente che finché posso, invece di andare al McDonald (concesso al massimo tre volte l’ anno, lo sanno e tengono il conto loro) il sabato ci alziamo presto e andiamo a farci una gita all’ asta ittica in culo al mondo per comprare il pesce e fare un giro al porto. Che finché i nervi mi reggono, invece di parcheggiarli davanti alla TV mi trascino in casa ogni sorta di amichetti anche se so che un giorno mi sfonderanno il letto a furia di usarlo come trampolino e che il materasso che usano tipo slitta giù da due piani di scale poi urlando e bestemmiando lo devo riportare sopra io. E cerco di non sentirmi incompresa se ce ne andiamo alla fattoria a comprare il latto crudo da cui poi tento di ricavare formaggi che mangio solo io, ma è per il principio e l’ attività. Che invece di comprare caramelle regolarmente, ce le teniamo per un compleanno o una coccola occasionale, ma preferisco andare alla fattoria dei mirtilli e raccoglierli e sbafarceli fino ad avere le mani e la faccia e la lingua blu.

Insomma, hanno ancora tutta una vita davanti per andare dallo psicologo e pagarlo, come dice la storiella, tutte le settimane per ventanni per parlargli della propria mamma (quanto mi amano) e dirgli quanto gli ho rovinato la vita. Sapessero quanto l’ hanno rovinata a me da quando stanno in giro. Me l’ hanno rovinata in un modo che non smetterò mai per un secondo di ringraziare loro e la vita per il privilegio di fare insieme questo pezzo di strada della loro crescita.

Anche sa quando sono stati concepiti sono prigioniera. E pure ricattabile, volendo.

Comunque domani provo a fare le mozzarelle. E martedì vado dalla psic a fare il tagliando annuale e magari riprendo a lavorare un po’ su quel lato lì. Ma Minecraft per ora se lo scordano.

Finestre d’artista ad Amsterdam

Tutti gli italiani notano subito le finestre di Amsterdam e si impressionano. Così grandi, aperte, spesso al pianoterra, scatenano immancabilmente una serie di commenti scontati. Ve li regalo insieme a una serie di finestre d’ artista dalle parti di van Hallstraat.

“Ma non hanno le tende?”

No perché sono calvinisti e devono poter mostrare al mondo che non peccano quindi se la sera vi fate una passeggiata qualsiasi vi godete una serie di nature vive, messe in scena apposta per voi che siete gente di mondo e quindi ci guardate dentro senza farvene accorgere, passeggiando lentamente e lanciando un’ occhiata di sguincio. Non vi mettete a fissare in casa degli altri che non sta bene, a indicare il vasetto, il gatto acciambellato sul davanzale, l’ ammennicolo. E non vi fate subito riconoscere.

“Ma non ci entrano i ladri?”

Boh. Ma quale ladro fesso ti entra in casa sfondando 2 metri quadri di vetri robusti? A parte che rischia dif arsi male e manco gli si sfondano, ma quanto ci mettono i passanti o i vicini a telefonare alla polizia? Il ladro entra dalla porta posteriore o quella anteriore forzando la serratura in meno di due minuti, no?

“Ma non fa freddo?”

No, non puoi vendere una casa ultimamente se non hai almeno i doppi e talvolta anche i tripli vetri con lo strato di gas trasparente messo tra uno strato e l’ altro. La maggior parte delle case nuove alla compravendita devono pure fornire il certificato energetico. E la maggior parte delle finestre grandi sono fisse, hanno al massimo il vasistas sopra per cambiare l’ aria, quindi neanche troppi spifferi, se diovuole.

“Io non ce la farei mai a vivere con delle finestre così”.

Si, lo pensavo anch’ io, ma alla vita in un acquario ci si abitua. Questa sopra adesso ve la metto sotto separatamente:

 

Dove NON andare con i bambini ad Amsterdam (ma si, dai, andateci, ho elaborato, anzi, ci torno)

Questo è il centro visitatori dell’ Amsterdamse Bos, che è stato progettato dall’ Ing. van Eesteren nel quadro di ampliamento urbanistico diAmsterdam Zuid agli inizi del ‘900. Van Eesteren faceva parte del movimento artistico De Stijl, vi faccio solo un nome, Mondriaan (e infatti quei quadrati fuori dall’ edificio riportano opere celebri di Mondriaan. Il piano superiore del centro ospita mostre, sotto c’ è un negozietto delizioso di libri e gadget sulla natura, e la macchinetta self-service per il caffè fa anche espressi e cappuccini decenti a € 0,60 euro.

Stranamente, in tutti questi anni che vivo ad Amsterdam, non mi è mai venuta la fantasia di andare all’ Amsterdamse Bos, il più grosso parco cittadino a sud della città, con Het Nieuwe Meer, un lago e le sue spiagge, i boschi, i sentieri e le varie possibilità di sport. Ne sento sempre parlare da genitori e amichetti dei miei figli, ma niente, se proprio devo prendere la macchina per andare nella natura me ne vado in spiaggia o alle dune, e altrimenti in bici in uno degli altri parchi bellissimi. Semplicemente l’ Amsterdamse Bos sta dall’ altro lato della città e a me non me ne tiene.

Come sempre la scuola ha fatto da cavallo di Troia e venerdì scorso mi sono ritrovata all’ ultimo minuto a sostituire un accompagnatore per la gita scolastica, che quest’ anno per risparmiare si sarebbe fatta con i trasporti pubblici e attività all’ Amsterdamse Bos. Anche se faceva freddo non pioveva, quindi mi sono messa le scarpe allacciate richieste, ho messo per sicurezza l’ abbigliamento antipioggia, la merenda e varie nello zaino e sono partita. Ricordando che dovevamo attraversare con i mezzi pubblici e 25 ragazzini tutta la città.

In realtà hanno un ottimo sistema collaudato in tante gite. Ogni genitore si prende a carico un gruppetto di 4 o 5 bambini (senza nessuno dei suoi figli, che ti distraggono troppo) e tutti i bambini sanno che devono far capo a quel genitore. Quando hanno ancora dai 4-6 anni gli si appiccica un adesivo con il nome e il numero di cellulare della maestra o del capogruppo.

Io per semplificare e non starli a chiamare tutti quanti per nome tutte le volte, ho proposto di darci un nome di gruppo e si è deciso per pudding (budino). Così ogni volta che avevo istruzioni da dare:

“Gruppo budino da questa parte, scendiamo, saliamo, timbrate il biglietto”.

Ci siamo divertiti da matti con questa cosa del budino. Ci siamo pure dati uno slogan:

siamo quelli del budino

e non tremia-mo -mai.

Insomma, arriviamo, imbrachiamo, caschettiamo, ascoltiamo gli istruttori, tutti noi genitori con in mente l’ attimo luminoso in cui i bambini si spargeranno per la Fun Forest con gli istruttori e noi ci cercheremo un posto in cui prendere il caffè per fatti nostri. No. I bambini vanno accompagnat. Da noi. Sul percorso in cavi d’ acciaio sugli alberi a 4-5 mt. di altezza dal suolo. Io non amo l’ altezza se devo guardare sotto. Aiuto.

Quanto ho bestemmiato, silenziosamente perché devo dare il buon esempio, perché tutte quelle tavolette sotto ai piedi si muovono sappiatelo. E poi stacca il primo moschettone e attaccalo al cavo successivo, stacca il secondo moschettone, ribalta la carrucola e controlla che i bambini dietro non stiano in più di tre sulla piattaforma (o non stiano per esserci se ne arriva un quarto), che si aggancino bene e non mi volino giù, mai nome scelto meglio ero un budino tremolante altro che “gruppo budino presenti!”.

E proprio mentre mi dicevo che la luce alla fine del tunnel c’ è, mi trovo davanti a una cosina minimal. Niente tavole, niente tunnel, niente piattaforme. Solo un cavo d’ acciaio solitario lungo una quindicina di metri a 6 metri dal suolo. Io sulla piattaforma che ci penso molto bene mentre mi aggancio. che so di non poter tornare indietro. Che devo dare l’ esempio. Che veramente il mio impulso è di tenermi di lato, far passare tutti e dieci i bambini e il padre che ho alle spalle e andarmene. Ma non si può.

Chiamo l’ istruttrice a terra:

“Senti, mi portate una scaletta?”

Non me l’ hanno portata. C’ era, ma l’ ho scoperto dopo. Il fatto è che magari ce l’ hanno per chi si fa venire un attacco isterico e non sanno che io sono un control-freak e in pubblico non me li faccio venire.

Niente, mi sono seduta sull’ imbragatura, ho pensato che se chiudo gli occhi arrivo prima, ma se li chiudo rimbalzo sul cuscino e rimbalzo indietro e poi mi tocca spingermi a forza di braccia.

“Guarda la corda gialla”, mi fa.

Guardo la corda gialla.

La afferro.

Ci prendo gusto e la successiva me la faccio tipo Tarzan. Occavolo è la fine. Peccato.

“Mamma di Ennio, torniamo a fare un altro giro?”

“Scordatevelo, ho già donato”.

Sotto incrocio un’ altra madre affranta. Mi fa vedere che le tremano ancora le mani. A saperlo prima, ci diciamo, una si preparava spiritualmente, faceva meditazione, prendeva i fiori di Bach. Poi dopo il pranzo al sacco sotto gli altri loro sono tornati tutti a rifarselo un giro, mentre gli altri bambini sono andati a un percorso facile con la carrucola continua.

Io ci ho messo due giorni e una piscina molto calda per sciogliere i muscoli del collo, a cui mi sono aggrappata tutto il tempo.

E comunque appena mi riprendo spiritualmente ci torniamo anche con Orso, vuoi che Orso non gli piaccia camminare tra gli alberi?

Se vi interessa comunque è qui. Basta avere 8 anni ed essere alti almeno 130 cm.

Spiegatemi il senso di Iamsterdam (perché io di mio non ci arrivo)

Si sono inventati questo slogan, con detto logo e sua realizzazione in dimensioni da balenottera spiaggiata, che viene collocato in vari punti della città così la gente può fargli la foto con dietro un monumento. Ci hanno abbinato un sito e non voglio neanche sapere quanto è costato tutto ciò, ma è costato un sacchissimo.

Ma secondo voi Amsterdam, e dico Amsterdam, ha bisogno di certe stronzate per farsi pubblicità? (Voglio dire, ma non le basto già io?)

È un sacco che lo penso, ma adesso me l’ hanno piazzato vicino casa con alle spalle il Vliegenbos, che è uno di quei parchi progettati ad Amsterdam all’ inizio del 1900 dagli urbanisti locali, che adesso ha tanto l’ aspetto del bosco selvaggio con le stradine in mezzo, ma che appena progettato gli infiniti sentieri formavano un arabesco bellissimo.

(Dell’ altro parco, l’ Amsterdamse Bos che finalmente dopo anni ho conosciuto, vi parlo alla prossima, appena ho tempo di caricare un mucchio di foto).