Le istruzioni d’ uso dei miei figli

IMG_1280Il piccolo è il fanciullo pastore, come mio padre, che si aggira fatato per il mondo e parla con gli animali, dai ragni ai gatti. Si aggira con la sua grazia nuda di putto arciere, con delle rotondità segrete e commoventi da bambino piccolo nel corpo, con la stigmata di una piega pensierosa nel ciglio, anche quando dorme. Si avvolge nei suoi silenzi concentrati, contrappuntati da un canto che non è per gli altri, è solo suo, e ogni tanto apre la porta e ti accoglie nel suo mondo. Un mondo che lo aspetta fuori con pazienza, gioendo per ora degli attimi che vuole concederci. Sappiamo che ci vorrà raggiungere sempre più spesso e sempre di più, ma lasciamogli i suoi spazi verdi profondi quando ne ha bisogno.

Il grande è il raggio di sole, che paga la leggerezza che sparge per il mondo con pesi suoi nascosti che a volte, lo tirano a fondo. Ma basta un colpo di vento per liberarlo e farlo volare in altro. È il bambino felice e bellissimo, che dopo aver studiato a lungo il ghiaccio con prudenza ci si lancia sopra per scivolarci con la facilità apparente di quelli che nascono con in sè i privilegi e i pesi della primogenitura. Quello che ti fa ininterrottamente la radiocronaca di ogni secondo che vive, perché siamo al mondo per comunicarlo e senza un pubblico, dove saremmo mai?

Uno ha bisogno di sapere come funzionano le cose.

L’altro di saperne il perché.

Uno dorme di un sonno solido, senza fessure in cui insinuarsi, dorme come se dal suo sonno dipendesse la salvezza del mondo e in fondo è così, sarà il sonno tattile dei visionari a guarirci dai nostri mali.

L’altro soffre dell’insonnia di partenza di chi ha troppo da dire e troppo da fare e troppo a cui riflettere per concedersi di abbandonarsi, e si aggira come un fantasma nella notte alla ricerca di quel sonno che vuole e di cui diffida.

Uno mi ha sempre regalato la certezza che saprà cavarsela sempre, nonostante il mondo che lo circonda, spargendo per il mondo i suoi talenti, perché chi ne ha tanti può permettersi di sprecare con generosità, senza un fine concreto, solo il puro piacere di toccare, manipolare, sperimentare, regalare. Raccoglie detriti postmoderni per strada, li sventra e li ricompone in totem organici che mi affollano il giardino.

L’altro sparge il dubbio, lo raccoglie, ci fa delle palle di neve che lancia in giro e a volte rimbalzano, a volte no. Fa del suo cuore un proclama, lo lancia nel vento e prosegue a salvare il mondo, a volte dimenticandosi di sè.

E io posso solo seguirli, registrando il cammino e i passi, nutrendomi della loro forza e consumandomi nelle loro debolezze, riconoscendo tutti i pezzi, e le viti e i giunti di cui li ho fatti, ma senza capirne il libretto di montaggio e le istruzioni d’uso, perché questo è il destino delle madri.

I baracchini delle aringhe ad Amsterdam

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Ad Amsterdam lo street-food preferito, dopo le patatine, è l’aringa, il prodotto che in passato ha arricchito tanti paesetti marinari.

L’aringa marinata gli olandesi la mangiano afferrandola per la coda e calandola dall’alto in bocca, masticandola cammin facendo.

Oppure a pezzetti e cosparsa di cipolla cruda a pezzetti. E da berci insieme, il Corenwijn. Che è l’unico modo che ho scoperto per mangiarla, mi ci vogliono un bel po’ di gradi alcolici in piccole dosi. (Il Korenwijn o Corenwijn, per chi me l’ ha chiesto, è un distillato olandese, un tipo di Jenever che viene prodotto usando cereali come segale, mais e orzo, e che ha un grado alcolico di almeno 38%. Scritto con la C è un marchio della bols che lo vende nelle tipiche ancorette di terracotta. Anche il jenever o il Corenwijn non lo bevo mai, tranne quel paio di volte con l’ aringa, quindi oltre ad essere un abbinamento tradizionale, la vostra sommelier preferita ve lo consiglia pure come una di quelle combinazioni che le rendono gradite due cose che spontaneamente, di suo, non ingerirebbe mai).

Questa sopra è una delle due migliori baracchine ad Amsterdam, la trovate sul ponte all’inizio del Singel, sopra le chiuse, all’angolo con Haarlemmeerstraat e Nieuwendijk.

L’altra, di cui non ho la foto, sta su uno dei ponti sulla Utrechtsestraat.

Assaggiatele e sappiatemi dire.

Fondamentali di vita e di felicità

Siamo un po’ stropicciati questa settimana, sono successe tante cose, spaventi, visite mediche d’ urgenza o programmate, ma stiamo bene e ne stiamo venendo fuori alla grande. Però stamattina che ci siamo svegliati un po’ stanchi, un po’ più stropicciati e un po’ più in ritardo, ho deciso di prendere l’ auto condivisa e portarlo io Ennio a scuola, per farci due chiacchiere e due coccole.

E siamo arrivati talmente presto che ho proposto di andare dal fornaio francese a fare le scorte di pane e prenderci un dolcetto. Non le tartelettes, che sono la nostra libidine, ma di prima mattina un po’ troppo goduriose (disse quella che mangiava caviale condito al cucchiaio per colazione), ma un sano e onesto croissant e un meno sano ma molto più libidinoso sacristain, che una cosa oggi l’ ho capita: il sacristia del mattino è anni luce più morbido, sfoglievole e burroso dello stesso sacristia al pomeriggio.

E mentre ce li mangiavamo appoggiati alla spalletta Art Nouveau del ponte, Ennio mi fa guarda, e l^`, da un lato del canale, a un metro dall’ acqua, arrivano cinque uccelli in fila che subito prima del ponte si sono sollevati, abbiamo visto che non erano in fila ma a cuneo, e sono andate a fare le prove di migrazione.

Che magari manco migrano più un sacco di uccelli, in inverno si sta benone anche qui e si trova tanto da mangiare, ma in primavera e in autunno li vdi a stormi fare le esercitazioni.

“E ieri a calcio Andreas mi ha trattato male, e non so se ci voglio andare ancora a calcio, cioè, certo che ci voglio andare e mi piace, ma…”

“Ennio, stiamo vivendo un perfetto momento di felicità, qui, io e te, il croissant e le anatre. La vita è fatta soprattutto di piccoli momenti di felicità, quando li abbiamo pensiamo a loro e non alle cose che ci danno fastidio”.

“Ci sono anche gli scocciatori”.

“Ma non contano”.

Morso al croissant.

“Hai ragione”.

“Forse ti vengo a prendere, ma non aspettarmi troppo, se posso vengo in orario e se non ci riesco stai con i tuoi amici finché avete voglia, ma altrimenti vai”.

“Quando vieni parcheggia qui così lo so”.

Mi sa che oggi pomeriggio ci concederemo un altro piccolo momento di felicità.

E ora, via, a spalar letame. Che nella vita fa molto bene anche quello.

Interculturalità e faccende domestiche

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Lavare i piatti è questione di metodo? Quale metodo? Per Genitoricrescono la Casalinga pigra oggi ne illustra ben tre. Interculturali addirittura.

Perché i metodi per i lavaggi piatti sono come le guerre di religione e le rovinafamiglie, hanno fatto più danni loro che l’epidemia di tosse asinina.

Comunque se qualcuno mi volesse dire il suo, di metodo, arricchiamo il campionario. Mi raccomando, ci conto.

Ora scusate ma devo andare a caricare la lavastoviglie.

Lavare i piatti è questione di metodo

L’ integrazione dei bambini stranieri in classe

IMG_1783Io appartengo alla quarta generazione di una famiglia di insegnanti, perlomeno dal lato di mia nonna paterna. La maggior parte di loro ha insegnato in Abruzzo, e la trafila dell’ insegnante la conosciamo: se insegni in provincia di Teramo ti mandano a Valle Castellana, tanto per cominciare, un paesino in montagna in mezzo alle faggete.

Negli anni settanta questa fu la prima sede di mio padre. E quando lo riavvicinarono gli anni successivi, la domenica ci arrampicavamo ancora per le montagne per andare a trovare Don Angelo, il parroco che mandava avanti quella comunità abbandonata e isolata da tutti, con mezzo paese emigrato e tanti ragazzini affidati ai nonni mentre i genitori tentavano di farsi una posizione altrove. Di quelle domeniche mi ricordo passeggiate nei boschi, le chiacchiere davanti al camino con don Angelo e la perpetua, che forse era sua madre, e il cinema che lui organizzava in chiesa per procurare un po’ di intrattenimento al paese. in inverno la neve bloccava le strade e pace, si aspettavano lo spazzaneve o il disgelo, quello che arrivava prima.

In provincia di Pescara, che per fortuna è piccola e non troppo montagnosa, potevi sempre capitare a Castiglione Messer Raimondo o a Salle. In provincia dell’ Aquila c’ era solo da scegliere, quanto a paesini abbandonati a cui destinare insegnanti di prima nomina. Mio padre e la signora Battistini per esempio andavano a Villa Santa Lucia, che per fortuna era solo un po’ più su sulla montagna rispetto al paese in cui abitavano.

Ora, di questi paesetti, presi nel mucchio, si possono dire due cose: erano isolati, godevano di un altissimo tasso di emigrazione, e il livello socioculturale non è che fosse altissimo, eh. La maggior parte della gente, tipicamente, era chiusa, ignorante proprio nel senso che aveva accesso a pochissime informazioni e visione del mondo, e lo sport preferito era l’ ostracismo di chiunque non si adattasse alle regole del branco. No che siano caratteristiche esclusive dei borghi dell’Abruzzo, ci mancherebbe, ma questi nello specifico erano di base società arcaiche agro-pastorali, con riti, regole d’onore, comportamenti tipici del clan.

Per questo leggere oggi questo articolo sull’ Espresso in cui il preside ha pensato bene di creare a scuola una classe di soli bambini locali e una di soli extracomunitari, motivandola come una scelta per favorire l’ integrazione, è stata un pugno nello stomaco.

Non solo per la cosa in se, ma proprio perché è successa a Pratola Peligna, un paese che conosco abbastanza bene e che ho a lungo frequentato nella mia infanzia.

A Pratola alle elementari hanno insegnato per quarant’anni non solo zia Sestina, la sorella di mia nonna, ma anche zia Paola, sua figlia. Con zia Paola ho sempre avuto un’ affinità speciale: era una donna che da bambina ha sofferto moltissimo, prima la morte del padre e poi la vita con il patrigno. Eppure era una di quelle persone allegre, sempre ottimiste e sorridenti. L’ ho vista l’ ultima volta a Torino l’ anno che è nato Ennio, stava curandosi per un tumore che l’ ha uccisa, era poco prima che morisse, ed era sempre la bella persona carica di energia positiva e con una parola buona per tutti.

Che anche come insegnante avesse lasciato il segno tra i suoi allievi me lo confermavano i racconti delle mie compagne di università che l’ avevano avuta come maestra, Wilma in particolare, nata in Venezuela da un genitore migrante e rientrata a Pratola da bambina, aiutata con l’ italiano e con l’ inserimento proprio da lei.

Ecco, a Pratola, per dire, non è che gli emigranti siano un fenomeno degli ultimi anni, lo sono stati loro, e da tanto. Ho provato a immaginarmi come avrebbero reagito zia Sestina e zia Paola (il cui marito anche lui ha lavorato per alcuni anni in Venezuela) alle pressioni dei genitori autoctoni che non vogliono gli stranieri in classe con i loro. E mi sono detta che si sarebbero limitate a ricordare a quei genitori chi sono loro e da dove vengono, e chi sono i genitori di questi altri bambini e da dove vengono.

E per favorire l’ integrazione, penso avrebbero semplicemente dedicato più tempo e più attenzioni e del materiale adattato per quei bambini che ancora facevano fatica con l’ italiano.

Allora a quell’ ex-preside che ritiene che la via dell’ integrazione passi attraverso la segregazione, vorrei dire di farselo lui un giretto per il mondo a vedere come viene risolto questo problema in modo efficace e non divisionista altrove. Per esempio in Olanda, i bambini che vengono dall’ estero prima li iscrivi in quella che sarà la loro scuola e la loro classe definitiva. Poi per alcuni mesi, per quattro giorni alla settimana li mettono tutti insieme, se necessario prendendoli da scuole diverse, in un gruppo unico con un’ insegnante che gli fa solo il corso di olandese e gli spiega come si sta al mondo nella scuola definitiva in cui andranno.

Una volta la settimana, di solito il venerdì, vanno nella scuola definitiva per ambientarsi, fare amicizia con gli altri e farsi conoscere. Dopo alcuni mesi sono pronti ad inerirsi nella loro classe definitiva e pace. A pratola, con i numeri di bambini riportati dall’ articolo, ci sarebbero stati tutti i presupposti per far dedicare delle ore esclusive all’ insegnamento o perfezionamento dell’ italiano, o tramite insegnante di sostegno, o semplicemente dividendo le classi solo per le ore di italiano, che non costava neanche più di tanto. Ma si sa che nelle scuole italiane la gestione dell’orario definitivo è cosa complicatissima e soggetta a potentati e feudi interni.

Quindi mi fa piacere che ci siano state polemiche, e che il nuovo preside abbia cambiato la situazione, ma continuano a cascarmi le braccia, perché so che questa situazione non è solo tipica di Pratola Peligna o dei paesetti isolati. Per esempio Valewanda ci ha raccontato ieri per Genitoricrescono come questo succeda anche alle mamme bene milanesi, quelle che ti diresti che almeno una volta su un aereo ci sono salite, un ClubMed in uno dei paesi da cui vengono i genitori dei compagni dei loro bambini ci siano state.

Ma su certe questioni tutto il mondo è paesello ed è bene che gli argini a quelle che sono le sensazioni di pancia della gente vengano da fuori e dall’ alto, dalle istituzioni preposte a garantire la realizzazione di quello che sta nella nostra costituzione. Perché, per citare Stephan Sanders in Vrij Nederland, la folla si diverte un sacco nelle situazioni di incertezza e arbitrio. Ma la folla raramente ha ragione.

Questo post partecipa al blogstorming di Genitoricrescono

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Fare l’ imprenditore ad Amsterdam: FAQ

kvkPuntuali come i funghi dopo l’estate mi stanno arrivando richieste da persone che vogliono andare all’estero e/o aprire un’ attività, per esempio di ristorazione italiana, ad Amsterdam.

Solo ieri ho risposto a 4 mail (arretrate, questo si) e mi rendo conto che potrei semplificare la vita a tutti se io a queste domande contrapponessi in bell’ordine le controdomande che faccio io. Infatti capisco che spesso uno ha quell’ idea lì, sta su Internet a vedere quali informazioni trova, incrocia la mia famigerata pagina di presentazione (e 9 su 10 non la leggono fino in fondo, altrimenti saprebbero che: a) mi faccio pagare, b) e perché trovo legittimo chiedere soldi per dedicare il mio tempo, le mie competenze e il mio network ultraventennale) e intanto mi scrivono.

La primissima regola intanto, che metto subito come aggiornamento è: Nei Paesi Bassi per quasi tutto si prende appuntamento almeno 3 settimane prima. E persino con me che sono molto flessibile, ma ho giornate di 24 ore come tutti, a volte è necessario. Scrivetemi a barbara@madrelingua.com.

Scrivendomi alcuni si chiariscono cosa vorrebbero fare e quali informazioni gli servono, altri brancolano nel buio e tocca a me fargli domande aggiuntive per capire che risposte dargli. Poi siccome ho il brutto vizio di rispondere a sentimento e in modo personalizzato, non sempre ho la prontezza di spirito di mettere proprio tutto quello che c’è bisogno di sapere nella risposta. E allora ve lo metto qui, bello in fila, voi mi ricorderete di volta in volta le cose che mi sono scordata, e spero quindi che ci ritroveremo tutti con un bel prontuario, la cui utilità è duplice:

  •  Chi si sta facendo delle domande ne trova e comincia, forse, a darsi delle risposte
  • Io non perdo tempo a dire cose ovvie a tanta gente, ma riesco ad essere più specifica, e quindi più utile a chi sa già cosa vuole dalla vita.

Ma bando alla teoria, meglio passare agli esempi pratici.

Richiesta concisa e to the point

“Ciao… mi chiamo X ho una pizzeria a Y e vorrei aprirla in Olanda. .. vorrei informazioni come e dove. .. aspetto tue risposta… grazie a presto. ..”

Questa richiesta oltre a farmi cadere le braccia e sospirare ha il merito di darmi due informazioni importanti: che si tratta di una persona del mestiere e, vagamente, il tipo di attività di cui stiamo parlando (pizzeria, ma cos’ è una pizzeria ad Amsterdam? Quante ce ne sono già? Cosa aggiungerebbe una nuova?). Solo che io a una richiesta del genere che posso rispondere?

Per esempio

– vorrei informazioni come: dipende

– e dove: me lo dovresti dire tu

 Quindi ecco le mie domande, quelle a cui chi vuole aprire un’ attività in proprio ad Amsterdam farebbe meglio a rispondere, così facendo riflettere ai pro e ai contro e poi scrivermi con una richiesta concreta, a cui io posso rispondere in modo altrettanto concreto e specifico.

1. Che lingue parli?

Quasi nessuno sa l’ olandese, e questo già è un grosso ostacolo, perché anche se per gestirti i clienti ti può bastare l’ inglese, tutta la corrispondenza con Camera di Commercio, ufficio imposte, comune, associazioni di categoria (per molte attività l’ iscrizione è obbligatoria e a pagamento), insomma, tutto l’apparato statale e non agisce in olandese. Sei sicuro che quello che guadagni ti permette anche di pagarti il tipo di assistenza che ti aiuta a superare questo? E come diceva una mia parente che aveva un’ esattoria e di uffici, carte e codicilli ne sapeva: nessuno, neanche il migliore dei professionisti ti legge le carte e ti risolve le cose come faresti tu, che hai esattamente in mente come funzionano le tue cose.

Molte persone parlano molto bene l’ inglese e questo aiuta, o parlano male l’ inglese, ma pazienza. Oppure non parlano per niente l’ inglese e neanche altre lingue.

A questo punto la mia domanda 1 B) di base è: come e quando pensi di impararlo prima di avviare come si deve la tua attività?

Per esempio io ho anche persone che stanno pianificando un trasloco da dipendente entro i prossimi due anni, sanno che nel loro settore c’è richiesta e ogni tanto si vengono a fare una settimana ad Amsterdam per orientarsi e fare tutte le mattine un corso intensivo di olandese o inglese con me. Poi a casa proseguono in maniera meno intensiva.

2.  Hai già fatto l’imprenditore? Se si l’azienda l’hai fondata tu, l’ hai comprata, era di famiglia e ci sei cresciuto dentro? Chi prende le decisioni nella tua attuale azienda? Hai dei soci? Chi ci ha messo il capitale?

Non sono domande oziose. Per fare l’imprenditore non basta saper fare quello che vuoi vendere, devi saper mandare avanti un’azienda. O devi essere in grado di pagare qualcuno che sbrighi tutta la parte operativo-logistica per te.

3.  Se non hai esperienza imprenditoriale, hai esperienza professionale nel settore che ti interessa? Ovvero se vuoi fare focaccine hai mai lavorato in una focacceria?

Ora non ditemi che sto esagerando, perché davvero c’è gente che sa fare le torte e decide di mettersi in proprio perché vuole cambiare vita, gli piace l’ idea e tutti gli amici gli dicono che le fa da dio e dovrebbe farne un mestiere. Ne ho conosciute un paio.

Però erano olandesi, in quel momento avevano tempo libero e un’ entrata fissa, anzi, avevano bisogno pure di una distrazione e si sono buttate anema e core a parlare con la Camera di commercio, capire i permessi che gli servivano, fatto un sito con testi carucci, accattivanti e scritti bene, fatto dei depliant e prove di assaggio e si sono cercate fornitori, clienti, l’ hanno proposte a ristoranti e caffè, eccetera. I loro amici hanno gradito e gli hanno fatto pubblicità e alla fine una ha mollato tutto perché ha capito che il tipo di impegno che ci voleva non faceva per lei, l’ altra è andata avanti (ma fa una cosa specifica: torte di carote con un dolcificante sostitutivo dello zucchero e ha una clientela che vuole quello) e nel frattempo si è talmente ampliata che la sua ricetta ricetta la fa realizzare da un laboratorio con gli ingredienti che procaccia lei, mentre io continuo a incrociarla a fiere professionali e mercatini di nicchia.

Siete sicuri che iniziare ex novo in un paese di cui non conoscete la lingua, le abitudini, i gusti, senza esperienze precedenti, sia una buona idea?

Allora, bravi, fin qui ci siamo. Sapete fare gli imprenditori, conoscete abbastanza le lingue e il mondo da avviare un’ impresa all’ estero e siete del mestiere.

4.  Cosa conoscete dell’ Olanda e/o di Amsterdam? Il pubblico a cui intendete rivolgervi com’è? Ed esiste qui?

5.  Cosa volete fare? Esistono licenze, normative, obblighi nel settore che avete scelto? Li conoscete? (in genere qui entro in gioco io).

6.  Chi sono i vostri colleghi e concorrenti? Siete stati nei loro negozi/ristoranti/attività? Sapete cosa offre già il mercato qui?

Non voglio offendere nessuno, ma questo è il minimo sindacale. voi avrete pure l’ idea più geniale del mondo, ma sapete se questo è l’ambiente adatto per implementarla?

7.  Chi sono i vostri fornitori? E se decidete di importare voi prodotti, macchinari, ingredienti, chi vi fa la manutenzione? A chi telefonate disperati se in un momento di punta la vostra attrezzatura muore, la mozzarella è finita o la lavastoviglie si blocca?

(Anche qui entro in gioco io, ma il punto è che l’azienda l’aprite voi e non ve la gestisco io. Qualsiasi cosa non prevista costa, ci rientrate poi con le spese?)

8.  Nello specifico, volete aprire una formula di ristorazione italiana ad Amsterdam. Sapete già chi fa cose simili alle vostre? Siete uno dei tanti o avete qualcosa di innovativo e che vi distingue?

La cosa fondamentale tra l’ altro è quella di accertarsi che il locale che cercate abbia una destinazione di tipo horeca. Ci sono agenzie specializzate per aiutarvi a cercarlo.

9.  Dove la volete aprire questa attività? Conoscete la città, le vie commerciali, le vie della ristorazione, i mercati? Vi siete fatti dei sopralluoghi? E una volta che ve li siete fatti, siete preparati a pagare l’ affitto e la buonuscita/inventario che vi chiedono? Ci siete stati in diversi momenti della giornata e della settimana in quelle zone, avete identificato i possibili bacini di utenza, il traffico, i lavori?

10.  E quando avete trovato il locale ideale secondo voi, sapete se il comune è dello stesso parere? vi siete informati di che destinazione abbia? Se ci sono obblighi per determinate installazioni? Siete sicuri che i vicini non vi faranno ricorso bloccando qualsiasi iter di licenze abbiate in ballo? E l’impresa che vi fa i lavori, è sicuro che rispetti i tempi di consegna? Come stanno messe le fondamenta? E il comune, che progetti ha sul breve termine in quella strada?

Ricordo l’ anno che poi furono quasi due in cui la van Baerlestraat era denominata più che ma la via dolorosa perché hanno dovuto sostituire tutte le tubature, c’ erano deviazioni e ingorghi e invece del flusso di traffico solito i negozi e i ristoranti lottavano con la polvere e la sabbia dei macchinari.

11.  Che capitale iniziale hai previsto? Da dove ti viene (questo non lo voglio sapere io, lo vuole sapere l’ antiriciclaggio, anche se ti vendi un appartamento in Italia e te lo compri qui devi dimostrare da dove hai preso i soldi)? Hai ulteriori obblighi, interessi o altri impegni? È una cifra realistica per il tuo progetto (anche qui, ci siamo io e l’agenzia per correggere il tiro, ma quello è). Se conti sulle banche, mi dispiace ma per la ristorazione non funziona.

12. Come intendi gestirti la comunicazione e la pubblicità? (Vedi punto 1). Un mio cliente che ha in mano un prodotto davvero innovativo e di nicchia, ha l’idea di mettere su un blog per spiegarne uso, ricette, possibilità, fare pubblicità ai punti vendita che lo propongono. Perfetto, chi lo scrive? C’ è un budget per questo? E questo è il minimo.

13. Infine, lo sapete, vero qual è il modo più veloce di fallire?

Noi lo chiedemmo al nostro commercialista quando ho aperto la scuola di lingue e l’agenzia. Semplice, dice lui, se vi caricate di obblighi contrattuali a cui a un certo punto, per qualsiasi motivo, non siete in grado di ottemperare. Tipo? Tipo un contratto di affitto per un fondo commerciale. Il contratto per locazioni commerciali dura 5 anni. Se fallisci dopo 3 mesi per mancanza di pubblico, comunque gli devi pagare l’ affitto per i cinque anni pattuiti. Almeno fino a che non trovi qualcuno che subentri al contratto.

Quindi la mia risposta standard a richieste vaghe in genere era così, adesso manderò direttamente il link a questo post:

“Complimenti per la decisione, io ti vorrei dire tutto quello che ti serve, ma hai detto niente. Dove, entro quando, che capitale iniziale hai, vuoi aprirla da solo o con dei soci, chi ci lavorerebbe e potrei farti un sacco di altre domande, ma se fai l’imprenditore mi hai capita benissimo.

Dimmi qualcosina in più e vediamo cosa posso fare per aiutarti.”

Che mi sono dimenticata? Che anche questo post alla fine l’ ho scritto a sentimento contando sui vostri contributi. Ne seguiranno altri più specifici.

 

Il fratello single

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Figlio 1 ieri è partito per 5 giorni di campo-lavoro con la nuova scuola superiore. Si conosceranno meglio, si scaferanno, faranno discussioni profonde con l’ insegnante che li segue come mentor e pochi altri. Scriveranno una cartolina collettiva alla compagna che hanno visto per pochissimi giorni prima che la ricoverino, operino, ingessino per il tumore alle ossa che ha, e che la terrà lontana da scuola per otto settimane.

Ieri sul piazzale, insieme all’ unica altra madre che già conoscevo, ci siamo date di gomito: per lei era proprio una vacanza, una settimana con una figlia sola, e forse anche per me.

Con Orso a casa abbiamo fatto il minestrone con le verdure del suo orto scolastico che aveva riportato: l’ ha fatto lui, secondo la sua ricetta, io ho solo sbucciato una patata. era buonissimo.

Alle 17.30 lui aveva fame, io avevo scoperto che figlio 1 è riuscito a dimenticarsi il sacco a pelo nuovo, comprato apposta, e chissà  come farà, che maschio alfa è rientrato anche prima dall’ ufficio per vedere se  era il caso che io mi facessi tre ore avanti e indrè per portarglielo. E la mentor, consultata telefonicamente, ha detto di non preoccuparci, che ci sono coperte e che al massimo doveva affittare un lenzuolo di sotto.

“Ho fameeeeeeeee” urlava figlio piccolo, che siccome è distratto si scorda di mangiare e poi gli viene l’ attacco tutto insieme.

“Apparecchia che la tua minestra è pronta”.

“Piatti fondi o piani?”

“Fondi”.

“Quattro piatti fondi”.

“No, tre. Ennio è al campo, non torna fino a venerdì”.

Poggia i piatti sul tavolo con aria esterrefatta. Ci pensa un attimo.

“Ma allora fino a venerdì io sono single?”

Ne toglie uno e apparecchia.

Poi ha dormito lui con il padre nel lettone, perché tutto solo al piano di sopra mmmmh, non era molto convinto.

Gli orti scolastici ad Amsterdam Noord

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Ad Amsterdam e nei Paesi Bassi in genere esiste la tradizione degli orti scolastici. Lo scorso gennaio anche la classe di Orso ha partecipato. Inizialmente con lezioni teoriche in classe, poi con visite ogni lunedì agli orti vicino alla loro scuola per seminare, piantare, diserbare. Abbiamo preparato un cartello che serviva a indicare il suo appezzamento, di altezza definita per evitare che un palo troppo corto lo facesse sparire tra le piante più alte una volta cresciute.

In primavera sono cominciati ad arrivare i primi raccolti: fiori, tuberi, insalata, spinaci.

Un paio di settimane fa siamo potuti andare anche noi a visitare gli orti e ho notato che c’era tantissimo basilico, tanti peperoncini ancora verdi, mais, piante, fiori. Che molti bambini hanno avuto tanta fantasia nel creare il proprio cartello lo avevo notato già il giorno che li avevamo portati a scuola, ma girando tra gli orti ne abbiamo visti di bellissimi.

Oggi hanno una lezione di minestrone, cucineranno una minestra con le loro verdure e si sono dovuti portare dietro una ciotola e un cucchiaio. Io già che c’ ero ho notato che le piante di zucchine hanno molti fiori senza frutto, praticamente rifiuti di giardinaggio, e oggi l’ ho istruito a prendermene qualcuno, tanto la responsabile l’ avevo già allertata che li avrei voluti. La settimana scorsa si era confuso e mi aveva riportato un contenitore pieno di fiori di basilico (belli profumati, almeno quello).

Le conclusioni quali sono? A Orso in genere le verdure piacciono abbastanza, ma ho notato che le sue autoprodotte non hanno avuto questo appeal particolare. I fiori invece si, infatti ne ha moltissimi e si lamenta che le violette che aveva messo sono morte in estate. Allora stamattina gli ho fatto una piccola lezione tra piante annuali e perenni e gli ho spiegato che è inutile prendersela per quelle annuali che sfioriscono a muoiono.

Tutto ciò ancora non si traduce in un suo ruolo attivo nelle quattro piante commestibili che abbiamo in giardino, anche se ieri si è presentato con la zappa in mano, informandomi che gli serviva per eliminare le erbacce (ancora non ho modo di controllare cosa ci abia fatto).

Ma quest’ estate visitando i giardini del castello di Ksiaz ci siamo annusati tutte le rose dl roseto, e abbiamo deciso che uno di questi weekend ce ne andiamo in un vivaio specializzato per prendercene un paio di quelle che profumano tantissimo.

Per quanto mi riguarda io di giardinaggio non so nulla, ma per fortuna ho il mio blog di riferimento che mi aiuta. E comunque questi orti scolastici sono così belli che ho deciso in autunno di rimettere mano al nostro giardino e farne qualcosa di bello e commestibile. Perché se è solo bello e non si mangia, non so se vale la fatica.