Lo chiedo a chi mi leggeva da prima, ma voi che ne dite del nuovo corso di Mammamsterdam su questa piattaforma? Perché mi sono rivista velocemente con mamma e zia e abbiamo fatto una scappata a Ofena e mangiato da Stefania la sera e Alla Sorgente a pranzo il giorno dopo e ci siamo bevute del vino buono e in vino veritas, la mia mamma mi fa:
“A me piaceva di più come scrivevi nel blog di prima, eri più tu. Qui ti trovo un po’ asettica”.
“Pure io”.
Ora, se ce lo diciamo noi che ci conosciamo da tanto tempo io sono sicura che è vero.
Il punto è che ci volevo pensare un po’, quando ho aperto Mammamsterdam su questa nuova piattaforma. Volevo farne un blog ordinato, correggere gli errori prima di postare, rendere la vita più facile a chi viene a trovarmi, anche un pochino più leggibile, perché in fondo tanta gente mi trova perché ha bisogno di informazioni concrete su Amsterdam, e io quelle le ho sempre messe, sia quelle normali che quelle fuori dal coro, ma sempre affidabili. Ma il fatto è che ci metto tanta altra roba.
Solo che ecco, io lo so che non rendo la vita semplice a chi mi legge, che sono la funambola delle disordinate e delle subordinate (la prima era un lapsus che mi è piaciuto troppo e ce lo lascio), e si, esagero in effetti con un “che” discorsivo che mi piace usare a ogni piè sospinto (e quando a suo tempo Maura correggeva le bozze di Statale 17 lo sa solo lei quanti me ne ha tolti di “che” e non mi sembra affatto che il libro ne abbia sofferto, viva gli editor). A me serve come pausa di respiro, non so se voi la percepite così (in fondo anche Pirandello usava l’ interpunzione allo stesso modo).
Lo so che c’ è gente che ama leggermi ma prima deve fare il vuoto mentale, staccare il telefono e ritirarsi in una stanza nascosta e insonorizzata. e respirare profondamente prima di attaccare.
Lo so che ci ho messo anni a imparare a scrivere in questo modo e mi costa, si mi costa anche del lavoro non retribuito, perché è vero che a volte scrivo posseduta dalla trance scrittoria che si, questa cosa deve proprio uscire ed uscire adesso, ma prima di mettermi alla tastiera o segnarmela su un taccuino, ci rimugino giorno e notte per dei mesi (“Mamma, perché non mi ascolti?”, “Ma si amore, ti sto ascoltando, cosa credi?” e invece ai figli non puoi mentire, io sto pensando a come vi racconterò la tal cosa, proprio alle parole che metto prima e quelle dopo e effetto mi fa come ritmo).
Lo so che questo è un blog e non è un libro stampato e certe volte un sacco di gente fa confusione, ma fidatevi, non vi piacerebbe se sul blog cominciassi a scrivere come faccio sul libro.
Quindi non so come la pensiate voi e spero di non offendere nessuno, io su come strutturare e riordinare il blog e il resto ci sto ancora pensando e ho un modello a cui ispirarmi e il marito tecnico del modello a cui prima o poi devo mandare il materiale che mi chiede se voglio attaccare.
Ma il fatto è che da quando ho aperto qui mi stanno succedendo un mucchio di cose di cui qui non posso e non voglio parlare, perché io avrò pure il senso della privacy di un esibizionista con l’ impermeabile spalancato al parco, ma tengo famiglia e amici e certe volte mi tocca pensare a loro, che meno di me hanno l’ esigenza di trovarsi sbattuti in rete urbi et orbi, che poi se uno lo fa almeno la soddisfazione di scriverselo in proprio.
E queste cose che succedono mi hanno impedito di pensare a come lo voglio fare questo blog, ma per ora rimane così un po’ zoppicante come un tavolino spostato e messo lì, appena posso lo raddrizzo come volevo. Nel frattempo vi chiedo di volermi bene uguale, ma io ricomincio un po’ com’era. Poi vediamo.
Anche perché a parte qualche occasionale minaccia di divorzio, uno pseudocugino che non osa rivolgermi la parola perché pensa che poi metto tutto qui e le maestrine dalla penna rossa che ogni tanto devono proprio venirmelo a dire, che non gli piace come scrivo, o perché lo trovano veramente troppo colloquiale, o per i che, o per il periodare in apnea. E io mi incazzo e vorrei rispondere di pancia, poi lascio che lo facciano le lettrici storiche che sono meno coinvolte, però mi incazzo, perché per rigore intellettuale io un minimo di ragione gliela do, anche se non condivido. E poi ci rimugino. E perdo del tempo, sinceramente, che non ho.
Perché ad avere Mammamsterdam com’ era mi sono capitate tante cose carine, chi mi regala una ciotola della Koziol perché avevo raccontato di aver squagliato inavvertitamente il fochettone nell’ olio con cui friggevo le oliebollen e in negozio il forchettone non c’ era più, chi tornando in Olanda con scorte di radicchio rosso me ne regala un po’ e mai dono più gradito, chi incontro a Orvieto per lavoro, la donna in rosso che a pelle mi era piaciuta tanto e mentre le spiego che del glorioso consesso di giornalisti olandesi io ci sto soprattutto come blogger, perché sai, ho dei blog ma quello con cui mi diverto di più si chiama Mammamsterdam e lei fa: Ma sei tu Mammamsterdam? Ti conosco, ti incrocio sempre sul blog della Zanardo.
Ecco, queste soddisfazioni qui, mica qualcuno stava a controllare la direzione dell’ accento o il numero di subordinate o di “che”?
Mammamsterdam è fatta così, se volete qualcosa di più serio rivolgetevi a Barbara Summa con gli estremi per la fatturazione. Che le cose migliori nella vita in genere sono gratis.
E le porte che c’ entrano? Niente, ma le ho fotografate venerdì mattina a Ofena e mi piacevano così.