“E quindi è tutta colpa tua, io l’ho ereditato da te”. Il ragazzino ride in faccia al padre nello studio della psicologa.
“Embè, di che ti lamenti, non hai sentito la dottoressa che ha appena finito di spiegarti tutte le cose bellissime che hai? Energia, creatività, la capacità di fare 30 cose tutte insieme. Meglio di così. Che volevi ereditare, dei soldi, che a parte che non ce l’ ho, sono pure una cosa tanto volgare?”
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Tempo fa lessi questo articolo di Pietro Barbetta, che tra l’ altro link a all’ inizio alcuni articoli sull’ argomento. Nell’articolo, che sottoscrivo in buona parte, anche se a una prima lettura mi fece incazzare, lo si dice senza mezzi termini:
“Oggi il bambino vivace è diventato un ADHD. Acronimo americano buono per il DSM, altro acronimo americano. Oggi parliamo per acronimi, gli acronimi coprono le origini, gli acronimi svolgono solo funzioni. Oggi non importa più neppure sapere da quali parole sono composti gli acronimi, anzi è meglio che non si sappia.
ADHD significa attention deficit hyperactivity disorder, ovvero disordine da deficit di attenzione e iperattività. I bambini vivaci sono patologizzati e le competenze per il loro trattamento sono diventate tecnologiche. In primo luogo farmaci. Si sostiene che i bambini affetti da ADHD hanno comportamenti impulsivi, che possono diventare adulti con disturbi di personalità (antisociali, borderline). Avete mai incontrato un bambino non impulsivo? Si è mai pensato, prima di quando l’ADHD diventasse una diagnosi diffusa, che l’impulsività non fosse una caratteristica costitutiva del bambino?”
Negli ultimi 2-3 anni ho avuto per caso o per voglia, a che fare con diverse famiglie che si sono trovate a gestire un percorso diagnostico sull’ADHD. E ho imparato alcune cose che in perfetto stile Mammamsterdam non potevo evitare di condividere con tutti voi. Eccoci qui.
*****qui inizia una delle mie ben note digressioni sul tema, se vi volete saltare le verbosissime considerazioni preliminari e andare direttamente alla comoda lista a punti in cui vi elenco il bello di avere l’ADHD, saltate tutto a piè pari e ci vediamo in fondo dopo le altre stellette*****
Non ci sono mancati i casi di diagnosi ad mentula canis, come la mia amica convocata dalle maestre dopo un paio di mesi di prima elementare che con toni allarmantissimi le ingiungevano di drogare il figlio, violento e ingestibile oltre ogni dire, o altrimenti non glielo tenevano in classe. Dopo la prima botta di disperazione, seguita dalla botta di rabbia, è saltato fuori che da due mesi il bambino passava ore e ore a fare i giochetti col computer in corridoio, con l’occasionale supervisione del bidello. Motivo? Boh.
I genitori sempre e comunque disperati, e nel frattempo anche incazzati con la scuola, e preoccupati del futuro scolastico del bambino che intanto aveva perso due mesi, gli cambiano immediatamente scuola, trovandone una privata dalle monache che lo prende, con giardino e supporti vari, a caro prezzo ma non puoi far perdere altro tempo a un bambino in prima elementare. Nel frattempo sempre con grandi patemi e dispendio di nervi e soldi, il bambino è stato esaminato, testato, rivoltato come un calzino da persone competenti, come dire psicologi e psichiatri infantili. Per concludere che non ha assolutamente niente, al limite è un po’ vivace e bastian contrario, ma non si droga la gente per questo. La nuova scuola non ha nulla da ridire sul suo comportamento e se ce l’ ha, se lo gestiscono in altri modi. I genitori sollevatissimi. Io incazzata per la proprietà affettuosa transitiva.
“Ma almeno hai denunciato la prima scuola e le maestre? Con quello che ti costa il diritto all’ istruzione di tuo figlio?”
“Sai com’è, ne siamo usciti talmente sfiniti che proprio non ho voglia più né di vederli né di sentirli.”
E come darle torto. Poi su questa mania di dare il ritalin a normali bambini vivaci ormai se ne leggono e sentono di tutti i colori, che uno è per forza contrario per principio.
Il motivo per cui l’articolo citato all’ inizio e altri simili mi fanno un po’ incazzare è che sembrano voler bagatellizzare, in un certo senso chi il deficit di attenzione ce l’ha sul serio. Da persona notoriamente molto distratta, mi rendo conto perfettamente di quello che intende dire una definizione che ho trovato in giro: avere un deficit di attenzione è come avere in testa 40 televisori, tutti al massimo del volume e ognuno su un canale diverso. Non fai a tempo a riconoscere il tuo attore preferito in uno dei televisori che lo schianto del Boeing sulla’ altro, il concerto di capodanno sul terzo e una serie di altre cose interessantissime lottano per portare la tua attenzione sul loro programma. Mi viene il mal di mare solo a pensarci che c’è chi vive così.
Che specialmente in America, e piano piano nel resto del mondo occidentale, si diagnostichino (o si fingano di diagnosticare) sempre più spesso dei bambini con qualche acronimo lo sappiamo. È un bene, è un male? Io penso che lo si possa paragonare alle denunce per stupro: fino a che nel comune sentire uno stupro era colpa e stigma sociale della vittima a cui si rideva in faccia o peggio se provava anche solo a denunciare, secondo le statistiche di denuncia non esisteva quasi stupro nella società e se esisteva, capitava solo alle Marie Goretti che per evitarlo si facevano ammazzare. Chi sopravviveva, per definizione, era consenziente. Adesso che un minimo di sensibilità individuale e comune sentire in proposito è cambiato si assiste al boom di stupri, persino nella lontana India.Si stupra di più, oggigiorno, o si denuncia di più e ci si indigna di più? Ecco, con le diagnosi di ADHD secondo me è la stessa cosa.
Non è che quando eravamo piccoli noi non esistessero i bambini ADHD, dislessici autistici e che in qualche modo emergevano dal contesto e ‘davano fastidio’. Esistevano, ma erano considerati sfaticati o delinquenti a cui spezzare le reni. A bacchettate, se necessario. Mio padre, insegnante alle medie, raccontava dei genitori che gli si raccomandavano di menare al figlio se si comportava male, che poi a casa gli davano il resto loro. Trovateneme uno di quegli ex-bambini terribili che senza una famiglia illuminata e provvista di mezzi economici alle spalle sia riuscito bene nella vita. In genere hanno ripetuto 2-3 volte la terza media e poi hanno abbandonato per andarsi a trovare un qualsiasi lavoro fisico che non li stigmatizzasse troppo per quello che erano. Se gli andava bene.
Provateci adesso a 15 anni a cercare un lavoro in cui esprimersi per un figlio che a scuola ha sempre sofferto. Se ti va bene lo mettono in corridoio dietro a un computer con l’occasionale supervisione del bidello. Il quale bidello, se in età, magari ha avuto il culo di essere uno di quegli ex bambini a cui i parenti con qualche connessione sono riusciti a far avere il posto. Ma un meccanico, tornitore o fabbro che si prenda un ragazzo che poi impara un mestiere e riesce in qualche modo nella vita, e anche bene, non esiste più e se esistesse, lo metterebbero in galera se si prende un apprendista minorenne. Per non parlare delle assicurazioni. Quindi questi sfoghi sociale degli ex bambini senza diagnosi oggi si risolvono con diagnosi più o meno accurate, fino a che sembra che tutti i bambini di oggi abbiano una diagnosi. Nella scuola di mio figlio ADHD è quasi un insulto, come mongolo ai miei tempi.
Uno di questi bambini problematici a scuola l’ho conosciuto a scuola di mio figlio, nelle poco piacevoli circostanze raccontate qui. Il ragazzino che per mesi ha torturato e poi picchiato mio figlio lo conosco da quando aveva due anni, andavano insieme al nido. Sua madre la tenevo nel cuore, perché la vedevo sola a tirare su questi due figli molto vivaci, li vedevo arrivare a scuola sempre sull’orlo del ritardo, con lei che gli strillava di sbrigarsi. E in una scuola piccola come la nostra, dove oltretutto ero molto attiva e conoscevo tutti, sapevo che era un bambino non troppo cattivo, neanche troppo stronzo, ma abbastanza incontenibile, che faceva sempre a botte e si ficcava sempre nei guai. E quando comunicarono i problemi con nostro figlio, la scuola in nome della privacy si rifiutava di dirci cosa stesse succedendo, facendo accenni vaghi a una situazione che non erano in grado di risolvere come avrebbero voluto, e a un tirocinante assistente del maestro di ginnastica che lo avrebbe seguito durante le pause e in altri momenti, quando rischiava di non tenersi, non per sua volontà.
Insomma, la scuola è piccola e un anno e mezzo dopo il segreto di Pulcinella è stato svelato pure a me: a quel ragazzino era stato diagnosticato una ADHD, la madre rifiutava di farlo medicare, la scuola, il medico e l’ assistente sociale che li seguiva avevano le mani legate e potevano solo contenere i danni. Con l’intervento della polizia sollecitato da noi (la mia amica avvocata mi aveva rassicurato, all’epoca, dicendomi dei tanti ragazzini difficili salvati da una denuncia al momento giusto) evidentemente la madre ha capito che la cosa rischiava di sfuggire ulteriormente di mano. Io all’ epoca non lo sapevo, ma entro una settimana quel ragazzino l’ abbiamo visto cambiare da così a così (giro il palmo della mano verso il basso), tornando il bambino che conoscevo all’ asilo, l’amichetto del calcio di mio figlio, quello che raccoglieva da terra e accarezzava i piccoli che inciampavano e piangevano. È andato alle superiori, pare vada bene anche se, mi dicono, si fa le canne e continua con gli atteggiamenti da piccolo macho de noandri, ma insomma, un diploma lo ha preso, poi ognuno fa sempre a tempo a rovinarsi la vita nei modi che preferisce.
Insomma, a volte mi viene da pensare che in quel po’ di casi in cui la diagnosi viene fatta da esperti con cognizione di causa, alla medicazione si accompagna una terapia adeguata, un intervento per insegnare a chi ce l’ha a gestirsi imparando quelli che il medico scolastico mi definì “i trucchetti”, non c’è motivo per cui non si possa avere una vita e un percorso scolastico normali. E siccome evidentemente il discorso delle medicine non piace davvero a nessuno, si ricorre ad alternative in corso di studio. Un’altra amica mi aveva accennato alla mindfulness e tracchete, ho scoperto anche quella: un percorso che si chiama: Meditazione o medicazione?
*****fine della digressione*****
E poi mi sembra più costruttivo pensare in termini di opportunità. Eccovi quindi alcune cose che ho imparato sul bello di avere l’ADHD:
- si ha una grandissima energia, fisica e mentale, che se ben incanalata e supportata dai “trucchetti” che dicevo (ognuno si inventa i suoi) può farti raggiungere tutti gli obiettivi che vuoi e magari anche un paio di quelli che non pensavi di raggiungere
- si è molto creativi
- si riescono a mandare avanti diversi progetti e idee e ragionamenti contemporaneamente. Magari è stancante per chi sta intorno, ma i risultati ci sono e si vedono, basta non perdersi i pezzi per strada (il cosiddetto multitasking comunque esiste anche scisso dall’ ADHD, capiamoci)
- si riescono a fare cose che gli altri si sognano proprio perché metti insieme dei pezzi del puzzle che altri non noterebbero
- molti ADHD sono mediamente più intelligenti della media
- il cercare di compensare la distrazione, la memoria a breve termine, il perdersi tra gli infiniti canali TV che stanno accesi nella tua testa, ti insegnano a trovarti e usare automaticamente un sacco di strategie che chi funziona in maniera più regolare manco si sogna, anche se a volte servirebbero a tutti
- impari a fare molte più cose con il pilota automatico
La cosa fondamentale, per chi ha (un bambino con) l’ ADHD è di non perder mai di vista questi lati positivi invece di concentrarsi solo su quelli negativi. Cercare le opportunità, costruirsi le scorciatoie (o allungatoie). E soprattutto accettare serenamente l’evidenza dei fatti, che ci sono delle cose che forse ti vengono meno bene, ma sono appunto piccoli aspetti del tutto. E il tutto in generale è che comunque hai quelle 39 marce in più, basta imparare a innescarle quando ti servono.
E infine, come disse il terapeuta di una famiglia che ho seguito: Per dirla proprio come sta, la diagnosi di XY si chiama XY. Lui è una persona completa con tutte le sue caratteristiche, non ce n’ è un’ altro come lui e quindi non si pu`ø ridurlo a un’ etichetta.
Ecco, sapere come sono fatte le etichette è un ottimo punto di partenza per poi farne a meno.