Il laghetto di Sinizzo

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Appena fuori S. Demetrio nei Vestini, un paese un po’ fuori L’Aquila, c’è questo laghetto dove andavamo a nuotare da studenti. Ci sono tornata una prima volta i Diga, nonni compresi, quando Orso aveva un anno e mezzo. L’ho scoperto sistemato, attrezzato e pontilato, rispetto a quando ci andavamo noi e toccava accontentarsi di un muretto con la scaletta dal lato profondo e delle tavole inchiodate stile trampolino ai rami bassi di un albero che pendeva sulla’ acqua. Ma di quel giorno in famiglia, in cui non abbiamo nuotato, sono rimaste soprattutto una foto di lui che con la sua aria più determinata e il passo traballante si dirige con decisione verso il pontile per catafottersi in acqua e lo scatto di madre disperata che lo insegue e sta per afferrarlo. Lo afferrai, se volete sapere come è andata a finire.

 

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Ci sono tornata con mia nipote che si è appena iscritta alla mia stessa facoltà, che se studi all’Aquila ma viaggi e il tuo ultimo pullman parte alle 19.30, meglio farselo un giro guidato quando capita. Ce lo siamo fatti partendo da Civita di Bagno, tentando di avvicinarci al monastero a Fossa senza riuscirci e senza insistere troppo, e rientrando sulla Statale 17 passando da Prata d’ Ansidonia, costeggiando Peltuinum, e da Castelnuovo. Eccovele, le foto del giro nostalgico, a cui mancano le foto della nuova facoltà, bellissima (ma vuoi mettere i tramezzi nei saloni del palazzo antico? Meno pratici forse, ma la scalinata di Palazzo Camponeschi, signori miei.)

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La fontanella di Piazza Santa Maria a Paganica, di notte e col telefonino, la foto ha i suoi limiti umani. Ma bello vedere due palazzi risistemati, uno a spese della Russia, l’ unico dei paesi partecipanti al disgraziatissimo, insultante propagandistico G8 post-sisma che ha mantenuto l’ impegno di adottare un monumento da ricostruire. Obama, fai ciao ciao con la manina! (Per il restauro della chiesa lasciamo perdere, che costa così tanto di più).
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Si capisce che davanti  questa fabbrica abbiamo frenato e siamo tornate indietro non per la scritta: vendita diretta al pubblico, ma per quella che diceva: la fabbrica di cioccolato produce a impatto zero? Che i comportamenti ecologicamente virtuosi vanno premiati. Mezzo copertone sta ancora spalmato lì, comunque.

Quasi a casa

Sono a casa e non sono a casa. Dopo tutti questi anni di crepe nei muri, rilievi, scalpellamenti, puntellamenti, buchi nei muri, polvere dappertutto e scatoloni sparsi per un trasloco che non si fara’ mai, caa mia a Ofena la sento sempre meno mia. Solo la cucina e’ un pochino agibile, ma il resto, uno sconforto.

Per fortuna che dall’ autunno scorso mamma si e’ trasferita in un MAP, un Modulo Abitativo Provvisorio (detto anche il container di Bertolaso, quelli che diceva che non sarebbe stato necessario far venire, tanto entro 6 mesi L’ Aquila e dintorni sarebbero stati perfettmente ricostruiti), e tranne l’ inverno profondissimo, che e’ il classico periodo in cui viene a trovarci ad Amsterdam e la salita qui e’ ghiacciata e la sua macchinetta non ce la fa, diciamo che ha trovato qui una sua dimensione.

All’ inizio eravamo un po’ perplessi perche’ il posto c’ era a Civita, un paese in cui, guarda caso, non conosciamo proprio nessuno. Credevamo.

Ha tanti vicini carini, perlopiu’ anziani, visto che abitavano tutti nel centro storico che adesso e’ sbarrato e va in malora. E questi vicini si sono ricostituiti la dimensione sociale del paese. Per collocare i MAP hanno sbancato dei pezzi di collina, ce li hanno messi in fila con un passaggio davanti, e la strada un paio di metri sotto.

La signora N, per esempio, una di quelle vecchiette con lo zinale, sul terrapieno davanti casa sua si e’ messa l’ orto, anche se ne ha uno parecchio piu grande in campagna. La signora M., che fa la badante da queste parti, ha creato piccole aiuole lungo la strada con un bordo di sassi mettendoci tutte le piante spontanee della montagna, e la stessa cosa ha fatto un’ altra signora che ha il terrapieno coperto di quelle piante grasse dai fiori viola, bellissime.

Altri abitanti le cui case danno direttamente sull strada e hanno solo il maciapiede, lo hanno riempito di vasi di fiori, ere e qualche piantina di pomodoro. Per noi che non abbiamo mai vissuto in case con la porta che da’ direttamente sulla strada, si e’ aperto un mondo. I bambini, che il primo giorno abbiamo letteralmente dovuto costringere a fare una passeggiata su una strdina che sale verso un bosco du un cocuzzolo, passano il tempo a studiare lucertole, formiche e farfalle. Hanno coperto che la roccia calcarea si stacca dalla collina (‘Mi raccomando, anche se la vedete, NON ENTRATE MAI in una grotta, che pu venirvi gu in testa e non vi troviamo piu”) e passano i pomeriggi dietro casa a scalpellarla per farne armi primitive. Tipo selci, che poi con il Power Tape, il nastro adesivo grigio, attaccano a lance improvvisate.

Il resto del tempo lo passiamo a leggere, pisolare, fare la marmellata con i fichi comprati da una signora con l’ Apetta al bivio di Bussi, invitare zio preferito a cena, fare improvvisate alle amiche che vivono in zona.

E poi, mica era vero che a Civita non conosciamo nessuno. Abbiamo riscoperto vecchi amici di mio padre, tra cui Gina, il boss dello zafferano di Navelli. E mi e’ bastato rientrare a casa sua per riconoscere il corridoio, la cucina, la sala, in cui ero stata da bambina (e le ho preso in prestito per forse 35 anni, uno dei volumi della raccolta delle Mille e una Notte).

Sentire le storie di quando mio padre e suo fratello facevano i corsi per i coltivatori diretti in un paio di province qui intorno, e arrivavano alle 2 di notte con 50 persone per una spaghettata e il caffe’, che lei faceva nella callara.

Farmi raccontare di ricette ormai scomparse, di cui non avevo mai sentito parlare, come le morr’.

E poi per me, sveglirmi la mattina presto, sedermi sulla sedia davanti casa col caffe’ e qualcosa da leggere, e vedermi davanti tutti i campi aperti della Piana di Navelli, e Caporciano di fronte, e il castello di Bominaco arrampicato sul monte. E poi congelari per l’ umidita’, tornare a letto e farmi un’ altra ora di sonno.

E’ come stare quasi a casa.

E poi quasi a casa ci risalgo fra due giorni, tanto ho capito che i figli sono in buone mani, me ne rivado ad Amsterdam a fare un paio di lavori, che non posso permettermi di dire di no ad alcun lavoro, e poi aspettare maschio alfa che vada in ferie anche lui e farci quei 1600 km., soli soletti in macchina, che come terapia matrimoniale dopo un anno in cui abbiamo stretto i denti tutti e due per arrivare in fondo, senza mai un momento per parlare in pace, secondo me fa tanto. E secondo Lorenzo non dovremmo metterci meno di 5 giorn, perdendoci per strada e facendo sparire tracce di noi. Ma credo che la faremo di corsa, tanto e’ tutta discesa. Cosi’ possiamo rpesentare Civita anche a lui.

Shaken, not stirred: la cortina di fumo sulla sentenza dell’ Aquila (aridatece la Minetti)

foto di Carlo Arzelà

E il terzo giorno resuscitò. Carissimi, sono stati due giorni di passione e piccole morti, non solo io ma anche gli amici che ho sentito direttamente o di cui ho fiutato gli umori per social media e blog. Perché uno dei fenomeni strani, ma certamente non inspiegabili,  della mia vita è che ogni volta che riciccia qualcosa sull’ Aquila, ogni volta che si rialza la merda di cortine di fumo mediatiche, fraintendimenti deliberati, perché si, ci può stare, che viviamo in una valle di lacrime e siamo tutti deficienti, ma che nel giornalismo nostrano le percentuali di rincoglionimento raggiungano delle percentuali ignote in natura, eh no, un minimo dubbio di malafede, faciloneria e disposizioni dall’ alto ti viene.

E puntualmente questo si è riverificato in modi mai visti prima e noi abbiamo passato due giorni ad incazzarci, frustrati dal tentativo di far chiarezza sull’ assunto falso su cui si basava tutta la merda (!!!all’ Aquila hanno condannato la SCIENZA!!!, ma no, dai, siamo così insignificanti, anche volendo non ci saremmo riusciti, su, su, non ci sopravvalutate) e sconfortati dalle reazioni anche di persone che pensi di conoscere. So di amici che su facebook hanno fatto un repulisti, perchè c’ è un limite alle stronzate che puoi cercare di confutare. Io stessa a un certo punto mi sono permessa di scrivere a un perfetto sconosciuto dicendogli: capisco che la tua risposta sia in buonafede ma arriva al momento sbagliato, per carità, non insistiamo da Anna con questo perché non se ne può più.

Ieri quindi avevo iniziato uno dei miei pipponi viscerali, ma il maschio alfa ieri sera nella sua saggezza e distacco dalle passioni abruzzesi tutta batava mi ha detto: si, ma in fondo? E il suo fondo era giusto. E verso le 22 in effetti la marea è cambiata perché sono iniziati ad aumentare anche da parte italiana editoriali, blog e post che insistevano e riuscivano meglio di noialtri sfigati del cortiletto nostro ad ampliare il livello della discussione pacata. A costoro il mio grazie, ma l’ abbozzo di pippone che avevo in ballo ve lo dedico qui sotto, perché trovo importante tenermi certe cose come segnalibro.

Ricapitolando, come prima cosa partirei da una esternazione del capo della Protezione civile Gabrielli del 16 ottobre, in cui dice papale papale: quanto sono bravi gli emiliani davanti al terremoto, mica come gli aquilani. Una delle tipiche chiacchiere da bar portate su un palcoscenico che non gli compete, come ormai siamo abituati da anni noi italiani, perché la politica si fa parlando alle palle e non al cervello della gente.  Scusatemi se faccio il Nostradamus della situazione e vi dico che fin da subito a me non era piaciuta questa cosa e soprattutto non era sembrata una voce dal sen fuggita casuale, ma ci ho visto un intento, che sul momento dove ancora capire. Se sei un servitore dello stato e fai in pubblico una dichiarazione relativa al tuo incarico, in quel momento non parli tu, parla lo Stato.

Io tale dichiarazione più che incauta la vedo quindi propedeutica all’ annuncio di questa sentenza che condanna i membri della Commissione Grandi Rischi per omicidio colposo (cioè, l’ ha detta l’ attuale capo della protezione civile dopo che il suo predecessore, che ha blindato qualsiasi intervento e partecipazione dal basso ai progetti di ricostruzione dell’ Aquila e ha fatto danni innominabili aprendo la porta al malaffare e al crimine organizzato, e poi ha dovuto levarsi di torno perché beccato con le mani nelle mutande, oltre che nel sacco, poi uno dice che ciò la fissa del sesso mercenario). Che a me verrebbe da dire: con tutti i documenti, le perizie, le intercettazioni, le denunce e i casini provati pubblicamente sull’ operato dalla Protezione Civile all’ Aquila (e non dei volontari, sia ben chiaro, i volontari sono quelli che salvano il culo a tutti in questo paese) ancora stai a parlà? Eh, ma la cronaca ha la memoria breve.

Cosa ci dice esattamente la sentenza sull’ Aquila? Che ci mancherà la Minetti, almeno lei lo stipendione e il vitalizio lo prendeva dandola via come se piovesse, ma non ha mai fatto in modo che 309 persone morissero per aver ripetuto le stronzate che le dettava chi ce l’ ha messa, a prendere lo stipendio. E diciamocelo, il sesso obbligato per mancanza di prospettive e riconoscimento per le tue vere competenze (la donna è laureata e sa le lingue, e in più ha pure un mestiere, fa l’ igienista dentale) è una cosa tristissima, ma le cortine di fumo semantiche e mediatiche che si innalzano sull’ Aquila da prima del terremoto, manco sono da ridere. Il malaffare che ci è andato appresso, manco.

Cosa che la sentenza dell’ Aquila ha dimostrato in maniera inequivocabile di 6 scienziati. Che adesso vengono coperti dal solito fuoco serrato di stronzate mediatiche senza alcuna attinenza ai fatti in cui sono accusati. Mi ricordano le alzate di scudi corporativiste in cui tutto il fiore del giornalismo nostrano difendeva un indifendibile Sallusti dando addosso ai magistrati che firmano le sentenze, e adesso il fior fiore della scienza mondiale fa lo stesso.

Oh, ma che vi hanno fatto i giudici per dargli addosso a prescindere? E anche questo è un triste trend di casa nostra, per delegittimare la magistratura ogni scusa è buona.

Scusatemi, sono due giorni che più leggo articoli e discussioni e commenti, più mi incazzo. Che quello composto dall’italiano medio è un popolo di deficienti, passi, ce n’ eravamo accorti. Ma adesso pure quelli con ambizioni scientifiche si fanno attaccare al carretto mentre parlano di indipendenza del pensiero scientifico? Ma tutta questa scienza vi si ventila un pochino nel cervello quando aprite bocca? Ma lo avete capito almeno che il processo dell’ Aquila tutto è tranne un processo alla scienza? E che semmai invece è un processo alla mancanza di scientificità di certi scienziati in commissione? E che ci stavano quelli in commissione, per amor patrio o per la gloria, se non per lo stipendio? e che hanno fatto, gli scienziati o i passaparola di quello che ce li ha messi in commissione?

QUESTO, PORCA LA ZOZZA, È IL SUCCO DEL PROCESSO DELL’ AQUILA, NON LE PUTTANATE CHE RACCONTANO IN GIRO.

(Inspira, espira).

OK, fate fatica a credermi? Benissimo, io metto solo i link. Questo post è innanzitutto uno strumento di igiene mentale per me e quanti altri si sono scocciati di fare i distinguo. Non dico niente, non raccolgo i commenti, qui vi dimostro e non con parole mie, con i documenti e quelle degli altri, cosa sta succedendo e a che carretto vi state facendo attaccare tutti quanti se ci credete, sta qui. Chi capisce è il benvenuto, chi non capisce e reitera le falsità lo banno.

I processi che ci sono in ballo all’ Aquila in questo momento, di cui questo è uno solo, vanno tenuti in considerazione se si vuole capire la portata enorme che ha questa sentenza da un punto di vista simbolico. Perché vedete, non è che gli aquilani siano più pecoroni di chicchessia, è che le voci di critica e le proposte dei cittadini e i comitati civici e la democrazia (qui lo dice persino il ministro Barca) sono stati sistematicamente messi sotto e soffocati in questi anni.

Quando le sciure aquilane con il collier e i consorti con la cravatta sono andati a protestare pacificamente e civilmente a Roma, davanti a Montecitorio manco ce li hanno fatti arrivare, sono stati caricati e menati dalle forze dell’ ordine manco fossero gli ultrà con le spranghe o i black block. E ne hanno denunciati alcuni e si farà il processo, così la prossima volta che un cittadino vuole esercitare il suo diritto di protesta, ci pensa bene tre o quattro volte e resta a casa. Anche il movimento delle carriole, che era stata una ventata d’ aria fresca, è finito con denunce a tre per colpirne 200 ed è un peccato se penso che la prima domenica delle carriole era stata l’ occasione per rientrare in città di tanti sfollati che per scoramento non avevano ancora avuto il coraggio di farlo.

Questi processi vessatori si devono ancora fare e mi piacerebbe sapere che sentenza aspettarsi, quello ai costruttori che hanno fatto edifici non a norma si sono fatti o sono in corso (per rispondere a chi dice: ma perché i poveri scienziati e non i veri responsabili? Piano piano, un processo dura del tempo e la perizia sulla casa dello studente era di 1300 pagine, ci si arriverà. C’ è anche Bertolaso per omicidio colposo, in corso, abbiamo fiducia).

Guardate, persino il processo per stupro al militare presente per l’operazione di sicurezza all’ Aquila che ha massacrato e lasciato a dissanguarsi nella neve una studentessa di cui vi avevo parlato a febbraio, ha svolto questo ruolo simbolico. Perché davanti al tribunale c’ erano i presidi a sostegno della donna. E non perché la Zanardo ha invitato ad esserci.

Perché in questo momento all’ Aquila una sentenza che riesca a simbolizzare che si, esistono delle responsabilità individuali e non importa se ti copre il gran capo, o la divisa, un giudice se ha un’ accusa motivata bene e una difesa che non riesce ad arrampicarsi sugli specchi più di tanto, ecco, un giudice dimostra che a volte una giustizia umana esiste.

(Inspiro, espiro, pure voi se siete arrivati fin qui, un abbraccio virtuale, perché so che si fa fatica a leggere un condensato shakerato di anni di lutto e travasi di bile.)

Intanto ringrazio Helena Janeczek che manco mi conosce per aver linkato ieri pomeriggio questo post di Franco Buffoni che cita Vivian Lamarque: “Vogliateci bene, da vivi di più, da morti di meno, che tanto non lo sapremo”. Certe volte i corti circuiti serendipici trovano le parole migliori per spiegare quello che ti affanni a cercare, ricercare, documentare e ritrovare.

Vogliateci bene. I 309 morti sotto al crollo hanno avuto ricorrenze, funerali di Stato col cardinal Bertone e se ne leggono i nomi quando serve a noi. Loro non lo sapranno.

Tutti gli altri morti di lesioni, evacuati nel casino dell’ urgenza non attrezzata in anticipo, finiti negli ospedali delle province di Teramo, Rieti, Pescara, Chieti, Roma, ovunque li potessero portare. Quelli come Giulia Marini, paziente oncologica, evacuata d’ urgenza dal San Salvatore, presunto edificio ospedaliero moderno e  antisismico, peccato che il cemento lo facevano con la sabbia per speculare, infatti è crollato, e (dico sempre Giulia) sparita dai visori per una settimana perché nessuno sapeva dove l’ avessero evacuata. Mica solo lei. Tutti quelli morti per le lesioni del terremoto ma fuori provincia, mai entrati nelle statistiche, mai citati nelle ricorrenze, noti solo ai parenti, se li avevano e il resto ciccia. Ma loro non lo sapranno ed è meglio così.

I vivi, invece, ah i vivi. Vogliategli un pochino bene perché forse non se ne riescono a volere un pochino neanche loro stessi. Come Giustino, che ha sbagliato, dice lui, a dar retta alla commissione Grandi Rischi. Io no sono d’ accordo e vorrei abbracciarlo, ma non  posso, posso solo volergli bene, tanto lui non lo saprà.

Voglio bene anche a Massimo Giuliani, gliene voglio ancora di più quando scrive questo, perchè sospetto che da due giorni lui si stia facendo venire gli stessi travasi di bile che ho io. Ma non te ne accorgi, leggendo il modo pacato con cui fa il punto della situazione.:

“Per capirci: come se ai tempi della polemica sul metodo Di Bella, gli oncologi si fossero riuniti per far sapere al mondo che il cancro non esiste, e se pure fosse esistito non avrebbe colpito nessuno in quel momento, e dunque nicotina e grassi saturi per tutti.”

Voglio bene a quelli del comitato 3e32, che se non lo sapete si sono chiamati come l’ ora in cui è avvenuta quella scossa di trentotto secondi che ha buttato giù tutto. Perché qui stanno documentando e aggiornando e anche loro cercano di chiarire l’ equivoco su questa sentenza. Ma l’ equivoco non ci sta per caso, ecco perché  se avete letto i link forniti finora, un’ idea ve la sarete fatta, ma riassumo per chi non può o non ha tempo, perché il giorno prima della famigerata riunione della Commissione Grandi Rischi, il capo aveva dato precise indicazioni sullo scopo di detta riunione e sui risultati che dovevano uscirne fuori. Cosa riuscita benissimo in un’ ora. Un’ ora per fare il punto a una città di 100.000 abitanti allarmati e che volevano sapere che misure prendere.

Qui un’ intercettazione di Guido Bertolaso a Daniela Stati: ascoltate attentamente dal minuto 2.22:

Ve lo trascrivo che si fa prima, e poi i video da youtube si possono far cancellare (i grassetti sono miei):

[Bertolaso: …Decidete voi, a me non me ne frega niente… In modo che è più un’operazione mediatica, hai capito? Così loro, che sono i massimi esperti di terremoti, diranno: è una situazione normale… sono fenomeni che si verificano… meglio che ci siano cento scosse di quattro scala Richter piuttosto che il silenzio, perché cento scosse servono a liberare energia e non ci sarà mai la scossa quella che fa male… Hai capito? (…) Tu parla con De Bernardinis e decidete dove fare questa riunione domani, poi fatelo sapere (alla stampa, ndr) che ci sarà questa riunione. E che non è perché siamo spaventati e preoccupati, ma è perché vogliamo tranquillizzare la gente. E invece di parlare io e te… facciamo parlare i massimi scienziati nel campo della sismologia”. La Stati: “Va benissimo…”. ]

Che i terremoti non si potessero prevedere e che l’ evacuazione della città non fosse un’ opzione praticabile, con quello che si sapeva a quella vigilia di riunione, gli aquilani lo sapevano benissimo. Per questo gli servivano i capoccioni, per farsi dire con cognizione di causa cose di cui loro non erano esperti. Solo che i capoccioni lì erano al soldo di Bertolaso e hanno detto esattamente quello che descrive lui.

Ma gli scienziati, ah, gli scienziati.

Odifreddi inizia il post sulla sentenza dell’ Aquila dicendo:
“rei di non aver previsto e annunciato il terremoto dell’Aquila”. Quid non, nessuno avrebbe potuto processare e condannare chicchessia con una motivazione del genere. Allora tutto il resto del post è inutile perché basato su false premesse. Uno scienziato almeno questo lo dovrebbe sapere.

E in effetti dò ragione a chi trova che i condannati in fondo solo solo dei capri espiatori e questo però è verissimo e lo sanno anche gli aquilani, ci sono stati rapporti umani, pacche sulle spalle, parole di consolazione da accusa e difesa e imputati e parti civili. Perché in fondo gli aquilani hanno un sacco di difetti e i residui di feudalesimo di ossequio e affidarsi al potente di turno non è neanche il peggiore, ma è quello che a questo giro gli ha causato più danni, ma hanno questa cosa bellissima del noblesse oblige, come lo chiama mia mamma, come solo i feudali possono avere.

Per dire il giorno che dovevo far chiarezza di un’ asta esecutiva di una casa disabitata e semi diroccata di una novantenne pignorata da una banca a fronte di una situazione finanziaria del figlio defunto della novantenne, il mio primo istinto è stato quello di andarmi a far spiegare le cose dall’ avvocato della banca che ha esordito dicendo: “signora, è stata una cattiveria inutile ma la banca per legge quel passo doveva farlo. Adesso vediamo insieme come sistemarlo” e l’ abbiamo sistemato. Con l’ aiuto dell’ avvocato della controparte.

Ecco, questi sono gli aquilani che conosco io. Non sono più stronzi degli altri, non odiano la scienza, hanno in casa i loro scienziati e un’ università e fuori porta i laboratori di fisica nucleare del Gran Sasso.

Tutta questa storia del processo alla scienza è un argomento finto per spostare la discussione lontano da quello vero come dice benissimo Wittgenstein qui. 

Insomma, la chiudo qui che mi sono stufata da sola, ma per eventuali riferimenti, link e aggiornamenti, per fortuna ci pensano anche loro.

Urban-knitting per L’ Aquila (4 knit-cafè ad Amsterdam, chi viene? Anche se non sai fare)

preso dal blog di Animammersa

Come forse avrete notato non c’ è ancora una pagina di Abruzzo nel cuore in questo nuovo blog, ma adesso iniziamo subito. Dal gruppo Aquilano Animammersa è partita questa iniziativa bellissima: per il 6 aprile, terzo anniversario dal terremoto, si terrà una sessione di urban-knitting all’ Aquila. Chi vuole partecipare a distanza può realizzare ai ferri o all’ uncinetto pezze da 50X50, 40×40 o 20×20 in qualsiasi materiale e filato si desideri e mandarle entro il 24 marzo presso:

Associazione Culturale Animammersa
c/o Patrizia Bernardi via Strada Statale 17 Bis SNC
67100 Paganica L’AQUILA

Come mai? Be, perché una città in cui manchino gente e vita diventa subito molto grigia.  E contro quel grigiore occorre metterci una pezza. Così si chiama il progetto: Mettiamoci una pezza (cliccate sul nome e arriverete al loro blog).

Ad Amsterdam sto organizzando 3 knit-cafè e possono partecipare tutti, anche se non avete mai tenuto in mano ferri e uncinetti, e anche se non avete intenzione di imparare, perché ci sono altri lavori utilissimi che potete fare per aiutare, se solo sapete tenere in mano una forbice o un taglierino. Leggete oltre cosa e come.

Gli knit-cafès si tengono nei seguenti giorni e luoghi:

  • 9 marzo, dalle 20.00, alla Scuola d’ Italia, sint Janstraat 37
  • 10 marzo, dalle 18, all’ incontro con la comunità italiana presso l’ Associazione Portoghese di Amsterdam, Willem Schoutenstraat 1, Amsterdam, ci sarà una cena autogestita, se vi interessa contattatemi che vi metto in contatto con i responsabili
  • 11 marzo, dalle 15, sede da stabilire.

Cosa portarvi: lane, cotone e qualsiasi altro tipo di filato abbiate sottomano, oltre a ferri e uncinetto. Chi non li ha, ma vuole imparare, potrà comprare sul posto le Lane d’ Abruzzo e i ferri e uncinetti in faggio fatti a mano, dalla collezione di Roberta Castiglione.

Ma intendo usare anche materiali alternativi, così se avete vecchie t-shirt e in generale qualsiasi cosa in tricot che abbiate in casa, portatele. Le t-shirt si possono tagliare – vi insegno la tecnica – in strisce da 1 cm. per poi lavorarle con uncinettoni di grosse dimensioni. Le vecchie maglie in disuso possiamo disfarle e ricavarne nuovo filato. Come vedete quindi c’ è da fare per tutti. (Mai fatto, ma cosa non si impara a frequentare i blog di gente creativa).

Ci saranno cosette da mangiare e bere vendute a prezzi popolari, così mettiamo insieme anche le spese di spedizione delle pezze. Si chiacchiererà, ci si conoscerà e se trovo qualche amico musicista disposto, ci sarà della musica dal vivo (o se siete voi gli amici – anche futuri – musicisti, fatevi sentire).

Spargete la voce, sarà una roba internazionale, e se intendete venire fatemelo sapere mandando una mail con in oggetto: mettiamoci una pezza presso: orsovolante@gmail.com

Vi aspetto. E inoltre se conoscete gruppi di quartiere, case di riposo, scuole e comunità di vario genere nei Paesi Bassi che vogliono partecipare, intanto proponeteglielo e per i dettagli fatemi contattare. Oppure gestitevelo voi e mandate le pezze a:

Associazione Culturale Animammersa
c/o Patrizia Bernardi via Strada Statale 17 Bis SNC
67100 Paganica L’AQUILA