Pedicciano, 30 years later

Non ricordo neanche più quando è stata l’ ultima volta che sono andata a Pedicciano prima della settimana scorsa. Diciamo tra i 25 e i 30 perché già avevo la DAF. Qui alcune foto e ricordi in inglese ad uso dei parenti americani

Abruzzo in my heart

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(please note the stone rings on the wall, to tie horses and donkeys)

Pedicciano is a tiny village on the Aterno-valley and belongs to the city Fontecchio, with more interesting monuments and buildings whose pictures you will see in a next post. It is the village of my Aunt Vittoria’s husband, zio Ginetto.

Zio Ginetto’s father tried to get him baptized as Lucifero, just to annoy the priest of the village, who refused. Then he chose to call him luigi, just like a rich, childless uncle, as everybody was saying that: “Call the kid Luigi, so his uncle will remember him in his will”, and the father just hated everybody minding his business, but in the end complied.

But at the city hall he could choose, so he registered his son under the names of Lucifero Luigi. Which everybody called Ginetto, except people in the village using his family-title of…

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Baruda sotto sfratto: storia di una truffa

Polvere da sparo

Provo a raccontarvi una storia ma non so nemmeno da dove partire tanto è surreale.

Di case e di doppi contratti
Dal 2010 viviamo in una casa di periferia nel quartiere del Trullo, dove paghiamo regolarmente 930 euro al mese di affitto (eravamo partiti da 870, ma poi sapete, con gli aggiornamenti Istat…) ad una signora che non abbiamo mai conosciuto né sentito al telefono, avendo a che fare da sempre con suo figlio.

A che fare poi è un modo di dire perché questo signore si è immediatamente comportato da farabutto, dal giorno dopo il nostro trasloco quando entrò in casa, dove mi trovavo sola con un neonato, pretendendo in contanti una caparra di due mesi e l’affitto del mese in corso. Rifiutava il mio assegno urlando che senza contanti non sarebbe uscito.

Tanto nervosismo era dovuto al fatto che nei giorni precedenti si era presentato con due contratti:…

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Fuori porta: Nieuwendammerdijl

imageimageAd Amsterdam Noord ai primi del Novecento c’era il tram, che collegava tra loro tutti i paesetti  sulla riva dell’IJ: Nieuwendam, Schellingwoude,  Durgerdam. Ognuno con la sua diga, le sue chiesette per ogni confessione e il suo porticciolo con il suo cantiere navale.

Dietro alla Nieuwendammerdijk c’è il boschetto Vliegenbos, e dentro al bosco c’è il campeggio. Io ve lo consiglio proprio, e già che ci siete fatevi un bel giro in bici.

Da oggi mi trovate su www.mammamsterdam.net

Un altro piccolo passo verso l’autonomia è stato staccarmi dal pacchetto standard di wordpress. Da oggi quindi mi trovate qui, su Mammamsterdam.net. Un po’ alla volta sposterò i post interessanti che non si sono esportati durante il trasloco manualmente, quindi cose vecchie per un po’ ne trovate ancora qui.

Ci vediamo di là.

Oostelijke Havensgebied at night

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Qua

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Quando nel ’98 rientrammo ad Amsterdam per la seconda volta questo quartiere residenziale tirato su dal vecchio porto Est, quello del Lloyd hotel e della sala partenze dei transatlantici, quello scalo merci fuori mano durante la guerra dove Keesje Brijde a 12 anni venne fucilato dai tedeschi per essere andato di nascosto a spigolare tra i binari per raccogliere dei pezzi di carbone che cadevano dai treni. Quel porto dismesso negli anni ’80 e prontamente occupato da comunità di artisti, quei nomadi di città giovani e accampati, che 15-20 anni dopo ormai affermati rimasero a vivere in zona, negli appartamenti che vennero dopo e che furono il miglior successo urbanistico ad Amsterdam dopo la Amsterdamse School ai primi del ‘900.

Trucchi per l’ AD(H)D: Manualità per teste in (troppo) movimento

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Come ho già avuto modo di dire in precedenza avere l’ADD o l’ADHD non è tanto caratterizzato da irrequietezza fisica, anche se questa è la caratteristica che il profano che non ne sa molto associa alla sindrome. Infatti si parla genericamente di ADD (Attention Deficit Disorder) con o senza iperattività (indicato nell’ acronimo dalla H di Hyperactivity) ma piùttosto da un continuo movimento nella testa e dall’ incapacità di filtrare e selezionare gli stimoli che ci arrivano da tutte le parti. Come difendersi da una testa in continuo movimento?

Di recente la mia amica P. che ha ricevuto la sua diagnosi di ADHD a 35 anni e che nel frattempo sta per finire la sua specializzazione come insegnante di yoga, mi ha raccontato che le prime volte che lei ha iniziato a meditare seriamente e si è ritrovata con lo spazio vuoto nella testa, momento tanto ambito da chi aspira al nirvana, lei si è assolutamente terrorizzata. Era la prima volta in quarant’anni che nella sua testa c’ era silenzio e lei non solo non ci era abituata, ma non sapeva più chi era e cosa doveva fare.

“Per fortuna la mia solita voce nella testa si è fatta risentire subito” mi ha detto, “dicendomi: ma no, cosa credi, sono sempre qui. Un sollievo che non ti dico”.

P. dice di aver fatto fatica ad avvicinarsi allo yoga, e in questo riconosco molto me stessa che quando ho provato a fare yoga o meditazione invece di rilassarmi mi innervosivo. Come cercavo di raggiungere il silenzio mi scattava in testa la lista della spesa: porca miseria, ho dimenticato di fare quella cosa urgentissima prima di uscire, e adesso? (e siccome l’ impulsività è la caratteristica principe di noi ADHD stavo per alzarmi dal tappetino e scalza e in calzamaglie correre a casa per farlo, ma mi trattenevo. E a me trattenermi costa fatica e mi mette di cattivo umore.) Insomma, passavo l’ora a pensare a tutte le cose che dovevo fare di corsa e invece di perdere tempo a stare lì a fare yoga avrei potuto farne 4 o 5 e mettermi più serena, aaaaaaarghhhh. No, per dire che a me non mi dovete venire a dire quanto sia rilassante lo yoga, perché potrei mordere. E neanche dirmi che se mi mettessi a correre mi farebbe tanto bene. A voi fa bene, mica a me.

“Infatti la mia insegnante dice sempre che a quelli come noi correre fa male, perché non ci fa l’effetto rilassante che fa agli altri, ma accentua ancora di più il movimento a vuoto infinito che abbiamo in testa”, mi conferma P.

Fondamentalmente l’ effetto speed. Che forse spiega perché non ho mai e poi mai sentito la necessità di sperimentare con le droghe. A me la camomilla, se funzionasse, sarebbe il massimo dello sballo mi sa.

Ecco, tu non puoi neanche dire in giro che hai le voci nella testa che la gente pensa subito a cercare la più vicina camicia di forza. Ma così è, abbiamo sempre compagnia noi AD(HD). Poi uno dice lo stigma sociale. Su questa cosa delle voci nella testa io e P. abbiamo tanto riso all’ epoca in cui, lo scorso anno, la sua bambina undicenne è stata testata e ha seguito un training intensivo di quasi un mese in un centro specializzato di neuropsichiatria infantile di Amsterdam, De Bascule.

Dice P. che quando sua figlia ha detto che lei non riesce ad addormentarsi per via delle voci nella sua testa lei per un attimo ha pensato: “No, dio, pure le voci in testa no”.  Ma mentre lo psichiatra serissimamente le chiedeva: “E queste voci come sono? Le senti da dentro la testa o da fuori? Sono voci di uomini o di donne? Le senti solo quando stai per addormentarti o anche in altri casi?” e poi le ha spiegato: “Guarda che i bambini della tua età possono averle spesso queste cose, a volte dipende anche da un po’ di stress e sicuramente in questo periodo con lo screening, il corso e la scelta delle superiori e l’ attesa della pagella di stress sicuramente ne hai, non ti preoccupare e vediamo cosa succede. Per un adulto sarebbe diverso”.

“Alla sua età?” sono saltata su io. “Ma allora io che devo dire, che ce le ho sempre. Ma che ha detto lo psichiatra sugli adulti che sentono le voci?” che io mi preoccupo subito e ho la tendenza a riferire tutto a me, quando sento informazioni interessanti.

“Cosa vuoi che ti dica”, ha risposto P., “le sento pure io, ormai mi ci sono abituata”, e poi mi ha raccontato quella cosa dello yoga e della meditazione, perché lei alla fine una sua via l’ ha trovata e si sta specializzando proprio in training di mindfulness che sembra aiutino come e meglio dei medicinali per quelli come noi.

“Spicciati che sarò la tua prima corsista, che qui di mindfulness ce n’ è un gran bisogno.”

Comunque poi a sua figlia hanno fatto fare il famoso training a de Bascule, le ha fatto bene e hanno deciso di non medicarla, ma vedere cosa succede. E da quando ha iniziato le superiori c’ è da dire che si è fatta un mucchio di amiche e se la cava in qualche modo, anche se sua madre ha scoperto che la scuola superiore scelta, tanto quotata, tanto gradita che ci è andata metà della sua classe delle elementari, ha talmente pochi mezzi che il sostegno lo riserva a casi disperati.

“Signora”, si è sentita dire P. quando è andata a chiedere cosa offrisse la scuola per continuare il percorso iniziato a De Bascule, “il fatto stesso che lei si sia venuta a informare vi esclude dal sostegno, perché vuol dire che questa bambina almeno un genitore in grado di cercare e trovare risorse ce l’ha, noi quel poco che possiamo fare lo riserviamo a chi non ha neanche quello.” No, vabbè, meno male che un’ altra scuola dove invece si sbattono molto per tutti gli alunni e in particolare quelli con DSA la conosco.

Ora a me lo yoga non funziona ma da qualche anno, e per puro caso, ho scoperto un’ altra cosa che a me fa bene per riportare un po’ di silenzio nella testa. Io ho bisogno di qualcosa che mi tenga i neuroni impegnati al minimo mentre faccio una cosa manuale. Una cosa che non ci devo pensare troppo. E ho iniziato con l’uncinetto, che rispetto ad altre attività ha il vantaggio che te lo metti in tasca e te lo porti ovunque, che ho potuto iniziare con dei baschi lavorati in tondo semplici semplici (i primi anche abbastanza orrendi, ma non era l’ effetto estetico la cosa fondamentale). E devo ringraziare Roberta Castiglione, conosciuta grazie al blogging, che non solo è la madre delle Lane d’Abruzzo ma anche la mente geniale dietro al gruppo Facebook del Social Crochet dove a tempo perso imparo qualche nuovo punto, perché una volta mi mandò il link di un video-tutorial su come fare un basco e da lì, è proprio il caso di dirlo in inglese I was hooked, sono stata agganciata dalle catenelle.

Io che non sopporto le attese, neanche quelle dell’autobus (in orario) o dal medico, e che per anni mi sono stordita leggendo, ho scoperto che tenere le mani impegnate fa tanto per la mia testa, crea una specie di rumore bianco che copre tutti gli altri 30-40 che mi circolano intorno. Insomma, per dire, ho scoperto che quando faccio interpretariato in cabina, se mi faccio un paio di giri di uncinetto alla cieca con le mani sotto al tavolo,  altrimenti pare brutto se qualcuno degli oratori mi vede, io riesco a concentrarmi meglio e a ottenere risultati migliori per il mio lavoro. Ora con tanti colleghi abbiamo da anni constatato che avere qualche rotella che gira a modo suo fa tanto per questa professione e prima o poi ho deciso di lanciare la domanda in qualche forum di interpreti.

Dall’ uncinetto comunque sono passata a scoprire altre attività manuali, quello che funziona per me evidentemente è la tridimensionalità del lavoro, visto che in precedenza lo stesso effetto me lo hanno fatto la ceramica e il feltro. O magari l’ esperienza metafisica di partire da un punto, una linea (di filo), una superficie bidimensionale e creare qualcosa a 3D. Prescindendo dal risultato estetico, che non è quello il motivo.

Per Genitoricrescono la settimana scorsa ho pubblicato un tutorial super semplice per tessere un tappetino tondo con un telaio usa e getta in cartone (se vi dico che lo sto realizzando io, ci può riuscire chiunque con un interesse minimo per il fai-da-te, anche se fornito di due mani sinistre). Certo, era incompleto, ma io per troppo entusiasmo e per non sforare con la scadenza di pubblicazione l’ho pubblicato lo stesso anche se al momento il diametro totale del tappetino non superava i 10 cm. invece dei 180 previsti per la fine. O come diceva una mia socia: solo Summa può far diventare virale un post con un lavoro incompleto (gotta love me).

Ecco, io nel frattempo non solo sono andata avanti, come vedete dalla foto sopra, ma ho anche suscitato l’interesse dei figli, che con l’ uncinetto hanno cortesemente e blandamente tentato un approccio curioso piantato subito lì, ma non è detto che magari a furia di vedermi pasticciare non gli venga voglia. Orso in fondo è lo specialista dei lavoretti tridimensionali, di carta anche se al momento si è preso una pausa creativa.

Insomma, io come famiglia creativa non sarò mai concentrata e finalizzata come Soulemama, la mia guru web su conciliazione, creatività, lavoro e pace interiore (sospetto che di Soulemama e della sua famiglia tutto si possa sospettare, tranne che abbiano l’ADHD) ma mi arrangio con quello che posso.

E posso solo dire che per me funziona benissimo e lo consiglio a chiunque voglia provarci. Io ci sto mettendo la faccia su questa cosa dell’ADHD, ma metterci le mani fa anche tanto.

Dio li fa e poi li accoppia – sesso, amore e AD(H)D

Sto leggendo un libro molto interessante e faticosissimo, un manuale americano di autoaiuto per adulti con l’ ADD, che è la denominazione più generica di chi soffre di deficit di attenzione con o senza iperattività. A me piace però di più l’ acronimo (AD(H)D e quindi userò questo. Faticosissimo perché riconosco tante di quelle cose che faccio proprio fatica a leggerlo, un capitolo alla volta, e poi schianto e ho bisogno di tempo per assorbire e sedimentare. Appena lo finisco ne farò una recensione.

Ma un po’ leggendo questi bei manuali di autoaiuto con tante storielle paradigmatiche di gente, un po’ i commenti ai post precedenti, sia sul blog che in privato, che mi hanno fatto scoprire tante persone che conoscevo, ma di cui non sapevo che condividessimo questa situazione, io mi sono fatta delle riflessioni. Che peraltro mi facevo già da prima. che ancor più peraltro, se conosco tutta questa gente con robe simili alla mia magari neanche è un caso. Insomma, tutto questo lo riassumerei nel detto: dio li fà e poi li accoppia.

Ora questa cosa del dio li fa e poi li accoppia non funziona solo per noi adulti, che a un certo punto ci cerchiamo, troviamo, annusiamo anche per delle similitudini, visioni del mondo condivise, odore di cuccia simile e cose del genere, e non a caso spesso e volentieri abbiamo amici che in qualche modo ci assomigliano.

Io lo vedo anche tra i bambini piccoli: i miei figli da quando hanno iniziato a socializzare hanno sempre certi amici abbastanza tipici: spessissimo sono bambini biculturali, che o perché vengono da famiglie multilingue/multiculturali come la nostra, o perché hanno vissuto all’ estero, in qualche modo condividono una certa aria di famiglia. Ce lo diciamo spesso esplicitamente tra genitori: questi bambini si annusano, si riconoscono e in qualche modo hanno piacere a stare tra di loro perché sanno che c’è più accettazione e meno pregiudizio.

Poi figlio piccolo che è uno che non ama le folle, ma pochi amici e ben selezionati, ha sempre avuto da quando ha due anni un certo tipo di amichette tipiche: ragazzine decise, determinate, vitali, chiacchierone, che in qualche modo lo tirano fuori dal suo guscio taciturno, con cui parla ininterrottamente per ore, che magari non vede per mesi o per anni, ma quando si rivedono è come se si fossero lasciati un secondo prima. E loro lo trovano molto cool proprio perché a lui non interessa, in realtà secondo me ancora non l’ha capito bene, che i maschi alla sua età si atteggiano per essere cool con le femmine. E lui piace a quelle a che non si fanno impressionare dagli atteggiamenti.

“Va bene, fa una mia amica che le conosce le amichette di mio figlio, ma scusa, tu come sei? Lui è abituato a te”. Ah, già.

Ecco, allora io noto che tutta una serie di miei amici e conoscenti con robe tipo la mia, diagnosticata o meno, in qualche modo si trovano dei partner che assomigliano un po’ al mio: gente strutturata, organizzata, pianificata, che poi si innamora del senso di leggerezza, energia vitale e scompiglio che io regalo al mio (e lui non lo nega, anzi, lo ha dichiarato in televisione a un programma che si chiamava Love and cooking, in cui questa troupe si è piazzata a casa nostra un giorno per filmare me e il loro chef che facevamo gli spaghetti alla chitarra, e lui alla domanda: ma pensi di esserti italianizzato un po’ dopo tutti questi anni con Barbara, ecco, il mio maschio taciturno del nord si è lanciato in una dichiarazione entusiastica sul senso di leggerezza che ho portato nella sua vita, che io con gli occhi piangevo e con uno dei 40 schermi che mi si agitano nella testa pensavo: se mai dovesse finire a schifìo con uno di quei divorzi in tribunale ecco, io posso portare la registrazione di questo programma come prova a mio favore, signor giudice, se si appella alla crudeltà mentale, be, si sta contraddicendo.

Perché sarà pur vero che dio li fa e poi li accoppia, e l’amore sarà pure una cosa bellissima, ma poi il quotidiano ci si mette di mezzo e tutta questa carica vitale di leggerezza ed energia è anche un’ottima fabbrica di stress ed emicrania, mentre tutta questa programmazione e organizzazione, ti salverà pure la vita, ma chebarbachenoia pure lei. Perché l’amore non è bello se non è litigarello.

E insomma, sarà pur vero che il mio manuale dice che una delle caratteristiche degli AD(H)D è anche questa frammentazione dell’ esistenza e del quotidiano, una sfilza di lavori diversi, amori diversi, cose iniziate e mai finite che costellano la nostra vita, però a mettersi d’ accordo che in fondo il mondo gira, ma in mezzo ci siamo noi col nostro amore and all that sort of things e cerchiamo di darci degli strumenti o delle reti di salvataggio che nascono dalla consapevolezza dei nostri limiti e dalla voglia di aiutarci reciprocamente a superarli, ecco, io direi che è una gran fortuna che dio li fa e poi li accoppia.

Perché se pensiamo che in fondo questa sindrome ha una forte componente ereditaria, e non c’è neanche bisogno di leggere un manuale in proposito, mi basta guardare a mio padre che era messo pure peggio di me, io devo riconoscere che il gran culo che abbiamo avuto io e Summa senior è stata la presenza in famiglia di persone fortemente regolarizzanti e strutturanti che hanno formato la roccia a cui ancorarci.

Innanzitutto zia Filomena, la sorella maggiore nubile, insegnante, con cui mia nonna è andata a vivere rimasta vedova e con due figli. Mio padre ha sempre dichiarato che zia Filomena gli ha fatto da padre: severa, inquadrata, lo amava enormemente e ha fatto di tutto per dargli una mano a prendersi almeno un diploma, quando tutti dicevano a mia nonna: ma mandalo a bottega da un sarto. Mio padre grazie agli aspetti belli del suo AD(H)D si è emancipato in maniera straordinaria da quello che era il suo ambiente di provenienza e ha creato le ali che hanno permesso a tutti noi di colarne fuori.

E l’ altra sua grande fortuna è stata di essersi innamorato di mia madre, una ragazza concreta, pratica, fattiva, che lo amava per il bambino spaventato che lei percepiva dentro di lui e che lui forse solo a lei permetteva di vedere.

Zia Filomena e mia madre sono state le due figure che hanno permesso a me di diventare quella che sono. Io senza la tutor privata a casa che mi ha impostato durante le elementari, non so se sarei riuscita così bene nella vita. E a volte mi sono chiesta come sarebbe stata la mia vita se avessi avuto dei genitori che mi seguivano come io e maschio alfa nel bene e nel male seguiamo i figli. Se avessi avuto una mamma come quella di Franca che tutti i pomeriggi si sedeva accanto a lei al piano per farla esercitare, magari pure io avrei fatto il conservatorio. Che in fondo sparsa sono sparsa, ma avevo questa convinzione rigidissima e calvinista da parte di madre che una cosa quando la cominci la finisci.

Ho odiato ogni secondo del liceo scientifico a cui mi hanno iscritto a forza i miei, ma dopo il primo anno non mi sono mai posta la questione di cambiare scuola. Ci sono e lo finisco (e maschio alfa mi ha fatto notare che i miei forse non mi hanno potuta seguire di persona ma mi hanno pagato grandi ripetizioni di matematica e fisica, e mi hanno affidata al santo Zio Carlo che mi ha fatto promuovere ogni anno). In qualche modo. insomma, io sono la prova vivente che non esiste gente che non riesce a imparare la matematica, esiste però gente che ha tempi più lunghi e metodi diversi. Il che mi porta a un ottimo commento dello scorso post: perché non modifichiamo il sistema scolastico per accogliere tutti?

Poi mi sono innamorata di B. che voi conoscete come maschio alfa. E mentre studiavo a Groningen, una sera andai a cena da Yvonne e Gertude, che sarebbero andate al mio posto a fare l’Erasmus a l’Aquila, per conoscerci e scambiarci informazioni. E sentito che avevo da poco un ragazzo olandese “Dai, tira fuori la foto, non ci credo che non ti porti dietro la sua foto”, io tirai fuori dal portafoglio una fototessera per sentirle dire: “Ma dai, non ci credo, è B.”. “Come è B., fai vedere, ma si è proprio B.”, che nelle piccole città di provincia se non hai fatto il liceo con qualcuno comunque lo hai incrociato all’ università.

E conclamata la sorellanza immediata anche con Yvonne e Gertrude che vedevo per la prima volta, e discussi gli uomini, i mariti, i fidanzati e gli italiani e gli olandesi, e giunta io alla conclusione che in effetti certi aspetti di B. mi ricordavano alcune cose di mia madre polacca, ah, questi nordici e le loro comuni radici, mi sentii rispondere:
“Capirai, è sempre così, ma Freud non te lo sei mai letto?”.

No, Freud non l’avevo letto allora e non l’ho letto neanche oggi. Ma mi basta sapere il proverbio: dio li fa e poi li accoppia.

Per questo non mi meraviglio troppo quando incrocio certe coppie improbabili da quanto sono diversi, non mi meraviglio che noi svolazzanti ci innamoriamo di persone radicate e il messaggio che vorrei dare a tutti a conclusione di questo abominevole piezz’ e core è:
Quando il vostro partner sta per farvi uscire dai gangheri per quanto è disorganizzat*/petulante/caotic*/noios*/isteric*/rompipalle/stronz* consolatevi: un motivo per cui ve ne siete innamorati c’è e lo conoscete solo voi, fosse pure la voce del bambino spaventato che si porta dentro ben nascosta al mondo. Se vi aiutate a crescere, questo è l’ importante, il resto sono dettagli minori, su cui scannarsi quotidianamente, volendo, ma che non devono essere il motivo per restare insieme o per lasciarvi.

E al mio amico che avrebbe tanto bisogno di innamorarsi di una donna strutturata che gli faccia almeno una bimba, che gli farebbe tanto bene, ma si lamenta di attrarre solo psicopatiche, io vorrei dirgli: comincia a guardarti meglio intorno o trovatene uno bravo, che tutto è risolvibile. (Sul fai un figlio che ti passa, ci tornerò sopra in seguito).

Il mutevole tempo olandese 2

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Stamattina esco alle 7.50 e mi compiaccio del tempo sereno e asciutto, che neanche sembra che ci siano solo 3,5 gradi.Arrivo da Amsterdam Noord ad Amsterdam Zuid e noto sorpresa i resti di neve e ghiaccio sui marciapiedi e sull’erba. Ma come, a sud è più freddo? di solito è il contrario, basta superare l’ IJ e i fossi sono ghiacciati. Al ritorno, mentre fuori si susseguono 50 sfumature di nevischio mi tolgo lo sfizio di fare una foto a ogni semaforo.

Leggetevele voi e fate due più due. Rientro e il nevischio sembra quasi neve seria. Faccio una telefonata ed esce il sole. Scrivo questo e la pioggia ricomincia a sbattere sui vetri.

Meno male che sono meno metereopatica del solito.

(Aggiornamento delle 10.04; adesso si è fatto proprio buio e stanno nevicando grossi fiocchi bianchi e abbondanti. Che francamente era pure ora).

10 cose da non dire a chi ha a che fare con l’ ADHD

Ci sono scesa un po’ a patti nel frattempo, ma scoprire da adulto che hai l’ ADHD è sempre una botta. Facciamo finta che tutti abbiamo un minimo presente di cosa sto parlando quando dico ADHD, tanto questo post è appunto per ricordarci cosa ne pensa chi ne sa poco e niente. Poi quando ho sedimentato ancora un po’ cercherò di spiegare cosa sia esattamente, come me l’hanno diagnosticata (e le cantonate prese per strada) e le fonti di informazione affidabili che ho trovato in giro e ve ne scriverò a parte.

Ammetto di aver sofferto a non dirlo prima. Non a caso quando proprio non ce la facevo più a tenermela, mi sono limitata a una roba un po’ generica. Non so, magari lo sarebbe lo stesso se mi avessero diagnosticato i piedi piatti, la celiachìa o la presbiopia (ah, fermi, quest’ultima me l’ hanno appena scoperta e dopo 4 decenni da ‘cecata’ non riesco ancora a farmene una ragione, io con gli occhiali da lettura vedo appannato, con quelli vecchi da miope/astigmatica no). Comunque ti ci devi abituare. E io intanto che mi abituavo cercavo di tenere a mente i lati positivi che mi ricordava la mia psicologa. Tutto questo ha portato a una bellissima chiacchierata con Miss Nathalie Finch che essendo per mestiere dall’altro lato della scrivania qui ha spiegato ottimamente come funzionano le diagnosi ai bambini.

Io intanto parlo per me che sono adulta. Ci vuole un po’ di tempo per capire che una serie di cose che mi hanno sempre dato noia nella vita (e fingo di andarci su leggera, eh) in realtà non le posso proprio influenzare. Il tuo cervello funziona così, con quei doni e quei limiti e basta farsene una ragione. Disse quella che ha passato 47 anni a sentirsi disadattata e diversa dagli altri, ma in fondo siamo tutti i diversi di qualcun altro, so what’s new?

Ancora più difficile è dirlo in giro, perché la gente che ti ha sempre conosciuto (e apprezzato) così cosa vuoi che ti dica? E la gente che ti conosce poco, cosa vuoi che ti dica? E in generale, ma dell’ ADHD cosa si sa in giro? Non chiedetelo a me che forse per motivi di pura sopravvivenza ancora non mi metto per bene dietro google per informarmi, quindi posso solo dire quel paio di cose su cui sono inciampata io. Che sono ridotte, personali e di parte, quindi praticamente di nessuna utilità per chicchessia. O forse si.

Eccovi quindi le cose da non dire a che ha l’ADHD, tranne me che nel frattempo per scriverle me le sono elaborate, oppure ho già sfanculato il primo che me l’ ha dette e adesso posso gestire meglio i prossimi.

1) Ah, queste malattie di moda

Ecco, vai magari a dirlo a uno che ha un tumore raro, l’ebola, l’ AIDS o qualcosa di più facilmente quantificabile. Ah, non glielo diresti? Come mai? (E comunque è una sindrome, non una malattia).

2) Ah, ma è quella cosa dei maschietti troppo vivaci?

Si, quella, ma non viene solo ai maschietti. Viene anche alle femminucce. E non viene solo ai bambini. Ce l’ hanno anche gli adulti. E non si esprime solo con irrequietezza e vivacità, quello è il sintomo “facile” che non hanno neanche tutti. Insomma, io sono femmina, adulta e relativamente tranquilla fisicamente, anzi, proprio pigra. Ma ce l’ ho, talmente inequivocabilmente che quando mi è arrivata una bella diagnosi scritta la prima reazione di chi mi vuole bene e mia è stata: ma come mai non ci abbiamo pensato prima?

3) Si, ma secondo me non hai l’ ADHD (qualsiasi cosa ciò voglia dire), è che tu sei un tipico gemelli, sempre sognatore e con la testa fra le nuvole

Il meccanismo di minimizzare per consolare e sdrammatizzare lo capisco, è umano, io l’ho applicato allo sfinimento con gli amici (molti dei quali essendo più civili di me non mi hanno neanche sfanculata) ma non aiuta, anzi, irrita. Io sto facendo una fatica enorme per accettare questa cosa, perché la devo accettare, la devo capire e me la devo fare amica visto che me la devo tenere, per cortesia non banalizzare tutto questo, anche se è un processo invisibile e ti sfugge. E io sono già stanca di mio. Provaci tu a vivere ogni minuto, ogni giorno della tua vita con 40 schermi che urlano a tutto volume una cosa diversa nella testa, senza meccanismi efficaci per filtrarli, che poi l’ oroscopo lo riscriviamo insieme.

4) Si, ma adesso diagnosticano queste cose a chiunque e prima non ce l’ aveva nessuno, secondo me è una scusa (per vendere medicine, per dare una scusa ai pelandroni, per controllarci attraverso le scie chimiche, perché i vaccini e big pharma e il complotto plutogiudaicomarziano).

Questa mi fa incazzare, ma tanto, per motivi che non sono in grado di spiegare razionalmente. E piantatela di linkarmi Robinson perché sono perfettamente d’accordo con lui sulla situazione di iperdiagnosi negli USA, a cui sottendono metodi di testing e politiche scolastiche nei diversi stati, ma appunto, non è il mio caso e la diagnosi non me l’ha fatta una maestra stanca ma una batteria di gente che ne sa. Questo TED Talk mi piace, ci credo, ma appunto, l’ epidemia di ADHD di cui parla non è la mia

5) Ma mica prenderai le medicine?

Si, all’inizio non capivo se mi servissero o meno, se facessero una differenza o meno. Poi ne dovevo prendere due al giorno, e io a prendere al mattino ci arrivavo, ma la pasticca di mezzogiorno proprio non riuscivo a ricordarmela manco segnandomi l’allarme sul telefonino. Ho smesso di prenderla per sciagurataggine due settimane (ahò, in fondo ho l’ ADHD, ci sta che mi scordi di farmele riprescrivere quando finiscono) in cui dovevo organizzare un sacco di cose ed è stata un’ esperienza così stressante da farmi ricredere.

A me la medicazione fa davvero tanto, in meglio, non è detto che sia così per tutti. Proverò altre cose ma intanto va bene così. In Italia peraltro il Ritalin costa meno dell’aspirina, così, sempre per tranquillizzare i complottisti da Big Pharma, che mi chiedo cosa si prendano quando hanno il mal di testa. E no, non mi cambia il carattere. Sono sempre io. Riconoscibilissima. Ma mi stanco meno, mi stresso meno e ho più tempo di tirare fuori quei lati piacevoli, che sempre miei sono, e che conosciamo bene.

6) Ma sono psicofarmaci, sono pericolosissimi, è stato dimostrato che hanno sul cervello lo stesso effetto della cocaina

Ormai gli articoli allarmistici ad minchiam si riconoscono dallo stile e dalla mancanza di argomentazioni serie, sostituite dalla suggestione. Me ne avete spediti a chili con le migliori intenzioni, ma o ve li leggete voi criticamente prima o piantatela, che reggere una diagnosi del genere già è faticoso di suo. Si è vero, se sniffassi il principio attivo in quantitativi equivalenti alla dose di cocaina che mi brucerebbe il cervello avreste pure ragione. Ma a parte che nessuna ricetta ne contiene tanto, poi stare lì a polverizzare e sniffare, ma dai, siamo seri. le dosi che prendo io sotto assiduo controllo medico non sono neanche lontanamente paragonabili (a parte che continuo a scordarmi la seconda pasticca e quindi ne prendo ancora meno).

Facciamo così, tutti quanti abbiamo sicuramente dei conoscenti che ammettono di farsi di coca lucidamente nel weekend a scopo ludico e rilassante che tanto non gli succede niente, loro si che se la sanno gestire. Andate prima a dirlo a loro che si bruciano il cervello e regalano i soldi alle mafie che poi ci fanno cose che rovinano la vita, direttamente o indirettamente anche a noi. Il risultato è triplice, vi cavate dalle mie scatole, vedete a scopo di studio antropologico che vi rispondono loro e fate opera meritoria contro le mafie. Ah, già, ma voi magari vi fate le canne lucidamente e state benissimo. Vi dirò, sto bene pure io che non me le sono mai fatte.

7) Ma ai tuoi figli la daresti?

Se ve ne fosse necessità e alle stesse condizioni con cui la prescrivono a me, certo, di corsa. Il punto è che nei miei anni di volontariato a scuola ne ho visti alcuni di bambini ridotti talmente male a causa di un problema non meglio determinato, una bimba giù di morale, depressissima e con l’autostima a zero che faceva cose che oggettivamente rischiavano anche di metterla in pericolo (e mandare in galera noi sorveglianti).

Un altro ragazzino, neanche cattivo, visto che l’ ho conosciuto al nido di mio figlio e l’ho visto crescere, a un certo punto stava diventando un pericolo per sé e per gli altri quando partiva con i cinque minuti di aggressività. A scuola non si poteva dire niente per via della privacy, poi seppi che la madre, con una diagnosi e tutto, comprensibilmente aveva avuto paura delle medicine e rifiutava di farlo medicare. Fino a che non è finito in una brutta rissa, è intervenuta la polizia e i servizi sociali, qualcosa deve essere successo perché nel giro di una settimana è cambiato da così a così ed è tornato il ragazzino gentile che ho conosciuto da piccolo. Con grande sollievo di tutta la scuola. E della madre, con cui poi ho parlato. (Una dei rappresentanti dei genitori si lasciò sfuggire: “si vede che gli hanno cambiato dosaggio”).

Sono cambiati da così a così nel giro di una settimana, hanno finito bene la scuola e sono riusciti and andare alle superiori che volevano, sono diventai felici, hanno ricominciato a socializzare, a una è venuta la botta creativa che evidentemente prima era troppo deconcentrata per dedicarcisi, si è rimessa a fare danza che aveva dovuto interrompere e l’hanno scelta come comparsa per un musical nazionale che non vi cito, anche se lo stanno dando adesso.

Ma guarda, se sapessi che fanno bene così a prescindere pure io inizierei a prescriverle come party pill. Purtroppo non sono la pillola magica che funziona per tutto e tutti, non a caso sono controllatissime e per fortuna da noi si vendono solo su prescrizione di uno specialista. Come è giusto che sia.

8) Ma non si conoscono gli effetti a lungo termine

Oddio, in fondo è stata brevettata solo negli anni ’50, magari invece gli effetti su certi tipi di indicazioni sono pure noti. Se io fossi un’ adolescente magari me la prescriverebbero solo per un certo periodo, visto che i bambini crescono, si evolvono e tante cose passano.

E comunque farei una considerazione diversa:

Vedi sopra, la bimba depressissima e autostima a zero di cui vi dicevo sopra ha rischiato più di una volta, con le reazioni e le cose che faceva per disperazione, di sfracellarsi per sbaglio dal tetto, impiccarsi e simili. Se un bambino di manco 7 anni rischia questo, ma sai quanto gliene frega ai genitori l’ effetto che avrebbe potuto fargli fra vent’anni la pillola se nel frattempo a vent’ anni non ci sarebbe mai arrivato?

Insomma sembra la dietologa che voleva mettere a stecchetto mia nonna a 92 anni portati benissimo e dopo una vita di frugalità al limite degli stenti: “Dottoressa, ma alla mia età neanche un peccato di gola posso più fare, visto che degli altri non mi è rimasto niente?”

9 e 10) Eh, quando ho scritto il titolo ce le avevo tutte in mente, e forse anche qualcuna in più

Adesso mi sfuggono. Però cosa volete che vi dica, il sintomo fondamentale del deficit di attenzione con o senza iperattività (ADHD o ADD per gli amici) è quello di non avere filtri che dicano al mio cervello qual era di nuovo la cosa su cui mi dovevo concentrare proprio adesso tra le 30 – 40 che mi urlano in testa. Facciamo così se mi torna in mente ve lo dico un’ altra volta. Anche perché ce n’è da dire.

E a questo punto una domanda ve la faccio io: se non fosse un handicap – perché di questo si tratta – invisibile, come ce ne sono tanti, voi la stessa cosa la direste a qualcuno con una diagnosi più nota e visibile?

 

Il mutevole tempo olandese


Stamattina ho approfittato di un bel raggio di sole per andare in centro a controllare i saldi. E per strada mi cantavo “Pioggia di marzo” perché tra i primi germogli che mettono voglia di primavera e la giornata luminosa arrivata davanti a “Il Ponte” veniva quasi voglia di sedersi fuori a prendersi il caffè. Ma c’ era il traghetto e l’ ho preso al volo.

Mentre stavo per entrare ai magazzini Bijenkorf ho evitato i primi fiocchi di neve. Poi sono uscita a fare un giro per strada. Era asciutto e luminoso e si stava bene.

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Poi a furia di camminare mi accorgo che è ora di recuperare figlio 2 e amichetto da scuola e decido di sveltire le pratiche prendendo il tram fino a dove ho parcheggiato la bici. Prendo il tram. Scendo dal tram. Comincia a grandinare. Apro la bici. Mi tiro su il cappuccio. La grandine si scioglie. Sul collo. Pedalo 50 metri. Asfalto da bianco ridiventa nero.

Poi dicono il mutevole tempo olandese. Copritevi.

 

 

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