Campagna olandese contro la violenza domestica

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Il 25 novembre si parla di violenza domestica e volevo segnalare questa campagna che stanno facendo ad Amsterdam usando i personaggi dei cartoni animati. Nel poster di sopra ci si domanda: E vissero a lungo felici e contenti? In quello sotto invece lo slogan dice: A casa non sono io l’ eroe. Segue l’ invito a far cessare la violenza domestica e il numero di telefono da chiamare.

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A me è piaciuta l’ idea di usare questo tipo di disegni rispetto a una foto. Mi ha permesso di parlarne con i bambini, che hanno subito notato i poster e hanno attaccato il discorso. E credo proprio che questo tipo di poster, nella sua semplicità e con il numero di telefono locale accanto, sia utile a chi ha bisogno e cerca aiuto ma non sa bene da dove cominciare.

Il punto è che il grosso degli atti di violenza avviene ancora tra le mura di casa, alla faccia di tutti i proclami che ci spingono a voler credere che i veri pericoli sono fuori (lo straniero, il poliziotto, Ebola). Ci sono certo, ma quelli più difficili da affrontare li trovi molto più regolarmente tra le persone che conosci e che forse ami e che forse, nel loro modo malato, ci tengono a te. Ma è terribilmente difficile parlarne, proprio perché venendo da dentro, da quello che dovrebbe essere il tuo rifugio contro il mondo, va a toccare tutte le basi in cui cerchiamo sicurezza.

Ecco, io spero che un bambino che viva una situazione difficile in casa sia attratto dal personaggio dei cartoni in veste inusuale, legga il numero e gli venga in mente di parlarne con qualcuno, gli insegnanti, o chiamando il numero di telefono. Perché non possiamo sperare di mettere telecamere in tutte le case e in qualunque momento del giorno e della notte, ma possiamo, come società, capire tutti insieme che la violenza domestica e la violenza sulle donne sono un problema culturale che va affrontato su tutti i piani.

Io trovo che si siano fatti tantissimi passi avanti: appartengo ancora a una generazione in cui picchiare i bambini “per il loro bene” o per “insegnargli a stare al mondo” era non solo accettato, ma spesso visto anche come un dovere del buon genitori (vabbè, chi ci vuole credere ci credeva allora e ci crede oggi). In cui Celentano cantava tranquillamente “e uno schiaffo all’ improvviso, le mollati sul suo bel viso” si, perché lui l’ amava, ma anche la odiava, e che deve fare un pover’ uomo colpito nei suoi sentimenti? A me quella canzone è sempre sembrata terrificante, anche da piccola, ma quanta gente amava e ama Celentano e ascolta tutti i giorni per anni una – e tante, fateci caso esattamente a quanti dei testi delle cosiddette canzoni d’ amore italiane sono basate su amore = prevaricazione?

No, ma parliamone, veramente. In un certo senso mi piace l’ idea che abbiano messo anche un personaggio maschile nella serie (perché sono sicura che sia una serie con anche altri tipi di poster) ma in un qualche modo profondo mi ha dato anche fastidio, perché il femminicidio e i maltrattamenti domestici sono soprattutto fortemente connotati dal genere, e dire: eh, ma ci sono anche le donne che menano al proprio uomo viene sempre usato come modo per spostare il problema e rifiutarsi di parlarne.

È vero, ci sono tante persone che maltrattano il proprio partner e so personalmente di casi di uomini che maltrattano i propri fidanzati/mariti. Che mi sembra una situazione ancora più stigmatizzante per le vittime, che hanno contro e il partner violento, e i pregiudizi sociali.

A me quello che manca un po’ in tutte queste campagne è anche il rivolgersi non solo alle vittime, ma anche a chi abusa. Perché sono fondamentalmente convinta che tutti, in una situazione del genere abbiano veramente bisogno di aiuto. E sono anche convinta che se un violento di suo spesso non è in condizione di chiederlo questo aiuto, e neanche di riceverlo, si potrebbe agire dall’ altro e condizionare per esempio l’ esercizio della patria potestà in caso di accertate violenze domestiche all’ obbligo di una terapia. Proprio terra terra, del tipo: o ti fai aiutare o perdi il figlio e sarebbe un peccato per entrambi, perché sei comunque l’ unico padre che ha e di cui ha bisogno. Senza botte e senza paura, possibilmente.

Ecco, io spero che ci arriveremo, ci stiamo anzi arrivando, quindi benvenute le campagne come questa sopra, ma possiamo fare di più e possiamo fare di meglio, non un solo giorno l’ anno, ma tutti e 365 + le 4 ore.

L’ integrazione dei bambini stranieri in classe

IMG_1783Io appartengo alla quarta generazione di una famiglia di insegnanti, perlomeno dal lato di mia nonna paterna. La maggior parte di loro ha insegnato in Abruzzo, e la trafila dell’ insegnante la conosciamo: se insegni in provincia di Teramo ti mandano a Valle Castellana, tanto per cominciare, un paesino in montagna in mezzo alle faggete.

Negli anni settanta questa fu la prima sede di mio padre. E quando lo riavvicinarono gli anni successivi, la domenica ci arrampicavamo ancora per le montagne per andare a trovare Don Angelo, il parroco che mandava avanti quella comunità abbandonata e isolata da tutti, con mezzo paese emigrato e tanti ragazzini affidati ai nonni mentre i genitori tentavano di farsi una posizione altrove. Di quelle domeniche mi ricordo passeggiate nei boschi, le chiacchiere davanti al camino con don Angelo e la perpetua, che forse era sua madre, e il cinema che lui organizzava in chiesa per procurare un po’ di intrattenimento al paese. in inverno la neve bloccava le strade e pace, si aspettavano lo spazzaneve o il disgelo, quello che arrivava prima.

In provincia di Pescara, che per fortuna è piccola e non troppo montagnosa, potevi sempre capitare a Castiglione Messer Raimondo o a Salle. In provincia dell’ Aquila c’ era solo da scegliere, quanto a paesini abbandonati a cui destinare insegnanti di prima nomina. Mio padre e la signora Battistini per esempio andavano a Villa Santa Lucia, che per fortuna era solo un po’ più su sulla montagna rispetto al paese in cui abitavano.

Ora, di questi paesetti, presi nel mucchio, si possono dire due cose: erano isolati, godevano di un altissimo tasso di emigrazione, e il livello socioculturale non è che fosse altissimo, eh. La maggior parte della gente, tipicamente, era chiusa, ignorante proprio nel senso che aveva accesso a pochissime informazioni e visione del mondo, e lo sport preferito era l’ ostracismo di chiunque non si adattasse alle regole del branco. No che siano caratteristiche esclusive dei borghi dell’Abruzzo, ci mancherebbe, ma questi nello specifico erano di base società arcaiche agro-pastorali, con riti, regole d’onore, comportamenti tipici del clan.

Per questo leggere oggi questo articolo sull’ Espresso in cui il preside ha pensato bene di creare a scuola una classe di soli bambini locali e una di soli extracomunitari, motivandola come una scelta per favorire l’ integrazione, è stata un pugno nello stomaco.

Non solo per la cosa in se, ma proprio perché è successa a Pratola Peligna, un paese che conosco abbastanza bene e che ho a lungo frequentato nella mia infanzia.

A Pratola alle elementari hanno insegnato per quarant’anni non solo zia Sestina, la sorella di mia nonna, ma anche zia Paola, sua figlia. Con zia Paola ho sempre avuto un’ affinità speciale: era una donna che da bambina ha sofferto moltissimo, prima la morte del padre e poi la vita con il patrigno. Eppure era una di quelle persone allegre, sempre ottimiste e sorridenti. L’ ho vista l’ ultima volta a Torino l’ anno che è nato Ennio, stava curandosi per un tumore che l’ ha uccisa, era poco prima che morisse, ed era sempre la bella persona carica di energia positiva e con una parola buona per tutti.

Che anche come insegnante avesse lasciato il segno tra i suoi allievi me lo confermavano i racconti delle mie compagne di università che l’ avevano avuta come maestra, Wilma in particolare, nata in Venezuela da un genitore migrante e rientrata a Pratola da bambina, aiutata con l’ italiano e con l’ inserimento proprio da lei.

Ecco, a Pratola, per dire, non è che gli emigranti siano un fenomeno degli ultimi anni, lo sono stati loro, e da tanto. Ho provato a immaginarmi come avrebbero reagito zia Sestina e zia Paola (il cui marito anche lui ha lavorato per alcuni anni in Venezuela) alle pressioni dei genitori autoctoni che non vogliono gli stranieri in classe con i loro. E mi sono detta che si sarebbero limitate a ricordare a quei genitori chi sono loro e da dove vengono, e chi sono i genitori di questi altri bambini e da dove vengono.

E per favorire l’ integrazione, penso avrebbero semplicemente dedicato più tempo e più attenzioni e del materiale adattato per quei bambini che ancora facevano fatica con l’ italiano.

Allora a quell’ ex-preside che ritiene che la via dell’ integrazione passi attraverso la segregazione, vorrei dire di farselo lui un giretto per il mondo a vedere come viene risolto questo problema in modo efficace e non divisionista altrove. Per esempio in Olanda, i bambini che vengono dall’ estero prima li iscrivi in quella che sarà la loro scuola e la loro classe definitiva. Poi per alcuni mesi, per quattro giorni alla settimana li mettono tutti insieme, se necessario prendendoli da scuole diverse, in un gruppo unico con un’ insegnante che gli fa solo il corso di olandese e gli spiega come si sta al mondo nella scuola definitiva in cui andranno.

Una volta la settimana, di solito il venerdì, vanno nella scuola definitiva per ambientarsi, fare amicizia con gli altri e farsi conoscere. Dopo alcuni mesi sono pronti ad inerirsi nella loro classe definitiva e pace. A pratola, con i numeri di bambini riportati dall’ articolo, ci sarebbero stati tutti i presupposti per far dedicare delle ore esclusive all’ insegnamento o perfezionamento dell’ italiano, o tramite insegnante di sostegno, o semplicemente dividendo le classi solo per le ore di italiano, che non costava neanche più di tanto. Ma si sa che nelle scuole italiane la gestione dell’orario definitivo è cosa complicatissima e soggetta a potentati e feudi interni.

Quindi mi fa piacere che ci siano state polemiche, e che il nuovo preside abbia cambiato la situazione, ma continuano a cascarmi le braccia, perché so che questa situazione non è solo tipica di Pratola Peligna o dei paesetti isolati. Per esempio Valewanda ci ha raccontato ieri per Genitoricrescono come questo succeda anche alle mamme bene milanesi, quelle che ti diresti che almeno una volta su un aereo ci sono salite, un ClubMed in uno dei paesi da cui vengono i genitori dei compagni dei loro bambini ci siano state.

Ma su certe questioni tutto il mondo è paesello ed è bene che gli argini a quelle che sono le sensazioni di pancia della gente vengano da fuori e dall’ alto, dalle istituzioni preposte a garantire la realizzazione di quello che sta nella nostra costituzione. Perché, per citare Stephan Sanders in Vrij Nederland, la folla si diverte un sacco nelle situazioni di incertezza e arbitrio. Ma la folla raramente ha ragione.

Questo post partecipa al blogstorming di Genitoricrescono

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Leiden e il Museo delle Antichità (e Pietro Antonio Locatelli)

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Leiden oltre ad esssere la sede della <a href="https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=541683569275053&id=100003002430610“>più antica università olandese ha un gran bel Museo delle Antichità in cui si è formato professionalmente come egittologo il nuovo direttore del museo egizio di Torino, Christian Greco.

Questa sera, per il festival musicale in onore dei 250 dalla morte di Pietro Antonio Locatelli si terrà un concerto nel museo. I musicisti Luca Fanfoni, Federico Caldara e Luca Simoncini eseguiranno brani tratti dall’ Arte del violino di Locatelli ( che visse ad Amsterdam per 39 anni consolidando la propria fama europea come compositore e virtuoso violinista).

19 giugno, 20.00,, Rijksmuseum van Oudheden, Rapenburg 28 Leiden

20 giugno, 20.00, Istituto Italiano di Cultura, Keizersgracht 564 Amsterdam

Sciopero dei dipendenti comunali in Olanda

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In questi giorni i dipendenti comunali olandesi sono in agitazione. Alcuni servizi allo sportello sono garantiti ma occorre tener conto di tempi di attesa più lunghi del solito.

Lo si vede anche dai rifiuti grossi, quelli che non entrano nel cassonetto e una volta al mese (da noi, altrove una volta alla settimana) si mettono in strada dalla sera alla mattina.

Con il fatto che stanno lì il graffitaro dell’angelo ha fatto in tempo a lasciare un segno su ogni mucchio dello stradone.

Il traghetto Amsterdam Noord – Amsterdam Oost

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Hanno rimesso il traghetto tra Noord (Zamenhoffstraat) e Java Eiland (Azartstraat), ed è una bella notizia. Spostando la fermata in Azartplein, al capolinea del tram 10 e del bus 65 che arriva alle stazioni treni e metri di Amstel e Zuid WTC, si apre un tratto di trasporto pubblico che evita la congestione della stazione centrale.

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Questo è l’ orario da Noord. Considerato che per la traversata ci vogliono 8 minuti, per le partenze dal lato opposto basta spostare gli orari di 10 minuti.

E per Ennio, anche se solo per pochi mesi ancora, significa autonomia nell’andare a scuola, dagli amichetti e fra poco, a calcio.

Figuriamoci per tanti altri cosa riesce a cambiare. Apre a chi abita nei docks a est un enorme tratto di città, boschi e campagna.

 

 

Un eroe, con questo tempo

Stamattina, alle 8.15, mentre tornavo dal solito tragitto figli-scuola, sul lato della strada ho visto un signore di mezza età, quella mezza età più anziana di me che ho 46 anni, ma quando mai di questi tempi si può iniziare a dire anziani? diciamo un sessantino, ma non di quelli bonazzi che dici: ammazza però, ci arrivassi io a sessantanni così. Un sessantino umarell nazional-popolare, che il nostro quartiere per quanto riguarda i sessantini e oltre è molto nazional-popolare, la gentrification con figli a scuola è arrivata da poco.

E quest’ uomo stava con un secchio ai piedi accanto a un’ utilitaria tutta insaponata.

Cioè, quest’ uomo, con tre gradi di freddo e i vetri della macchina che li devi sgelare col raschietto prima di partire, si stava lavando la macchina, alle 8 e venti di un lunedì mattina con il secchio.

Un eroe, veramente.

D’ altronde di quella generazione lì qui in Olanda trovi anche le sdaure che sotto la pioggia battente stanno a lavare i vetri. perchè insomma, è quel giovedì di ogni due settimane in cui a quell’ ora lavano i vetri.

Sul vecchiarello mi illudo solo che magari voleva rifare anche lui le bolle di sapone ghiacciate. Ma è perché sono io, eh, che ho bisogno di crederlo.

Ma il 9 novembre ci venite ad Amsterdam Da Gustare?

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Dove: Mediamatic, VOC-kade 10, amsterdam (ingresso parcheggio alla fine di Czaar Peterstraat).

Quando: sabato 9 novembre, quando vi pare dalle 12 alle 21

Cosa: si mangia, si beve, si fanno corsi di cucina, Masterlcass di vino, si balla, si ascolta musica dal vivo, si conoscono produttori di cose buone e altre belle cose che al momento mi sfuggono

Informazioni e iscrizioni: http://www.dagustare.com/tickets/?lang=it

Costo (solo prevendita): € 27,50 per ingresso, buffet e iscrizione di un mese a Mediamatic. Con sconto amici di Mammamsterdam: € 25,00.

Eh, lo so, tanto brava sarei a pensare e fare le cose, tanto pessima nell’annunciarle per tempo. Cioè, io ve l’avevo detto, vero che dopo il durissimo inizio d’ anno che abbiamo avuto, Marina a forza di calcioni nel sedere mi ha convinta a rifare Amsterdam da Gustare? No, mi sa che non ve l’ avevo detto. Qualche accenno, forse. Vabbè, lo rifacciamo il 9 novembre prossimo, è un sabato.

Dura dalle 12 alle 21, quindi potete passare quando vi pare per il fantastico buffet preparato da una serie di amici ristoratori (certe cose si fanno meglio con gli amici), per il vino al bicchiere o in Masteclass tenute dagli amici sommelier (idem, sugli amici), per scatenare i figli con alcune attività fatte apposta per loro (abbiamo fatto un patto con Erik del Laser Game al piano di sotto, ci fa lo sconto per intrattenerceli un po’ di tempo a spararsi addosso nel buio), per farvi raccontare da Rossanina del Santo, si proprio lei, tutto su intolleranze e alimentazione gluten-free. Si, ma è inutile che vi faccio la lista qui, se vi interessa quardatevi il programma e pace, tanto qualcosa che fa per voi la troverete per forza, a meno che non facciate gli stiliti nella vita.

Allora, ricomincio per chi si fosse perso le puntate precedenti: l’ anno scorso durante un caffè esplorativo con dei partner con cui ci eravamo piaciuti a colpo d’ occhio, mi è venuto in mente e ho buttato fuori che:

a me manca veramente un evento italiano in Olanda come dico io.

Ecco, lì in 20 minuti lo avevamo avviato. Gli dei a volte ti puniscono dandoti quello che vuoi. È stata una cosa incredibile, non abbiamo fatto a tempo a dirlo un po’ in giro che si è scatenato intorno un vortice di energie, tutti quelli a cui lo dicevamo sono saltati a bordo entusiasti, quelli a cui non lo dicevamo (magari perché ancora non ci conoscevamo) ci chiamavano per dire: ho sentite che stai facendo questa cosa, hai posto per me.

Insomma, in tre mesi avevamo un evento. Ci abbiamo lavorato giorno e notte sapendo che se coprivamo le spese cara grazia, ma ci piaceva troppo l’ idea di creare un contenitore di eccellenze enogastronomiche (e non solo) italiane. Per i gastrofighetti e per quelli che volevano essere convinti che c’ è una vita dopo il Mc Donald. Per gli italofili e gli italiani sparsi a cui mancano terribilmente il chinotto e i biscotti del mulino bianco e il bicarbonato (si, non mi chiedete il motivo, ma c’ è un feticcio del bicarbonato che agli olandesi manca totalmente (come gli mancano i pacchi da mezzo chilo dello stesso), per esempio io ho ricominciato a lavarmici i capelli e non credo che tornerò più indietro a questo giro. Capite che se devo accontentarmi delle bustine da 20 gr. che vendono qui per fare i dolci, sto fresca.

Come è andata lo vedete qui nelle foto.

Cosa ci ho guadagnato? Monetariamente nulla siamo andati un po’ sotto, ma non in maniera tragica. Ci ho guadagnato due amici fantastici, Hans e Sandra, che quando ho detto quella cosa ci eravamo visti venti minuti e basta. Ho scoperto quanto mi mancasse fare cose con Daniela e Sebastiano, come quando eravamo agli inizi dell’ avventura teatrale di Astaroth.

Ho scoperto che persone che sembrano assolutamente normali sono dei pazzi. Mi hanno fatto stalking per dei mesi dopo (da cui la scarsa voglia che avevo di riprovarci). Ma il pazzo occasionale ti può sempre capitare nella vita, e allora tanto vale divertirsi senza tenerne conto nel frattempo. Però è dura, finché dura.

Ho scoperto che con certe persone a cui volevo bene e di cui mi fidavo, che ecco, meglio che non facciamo più delle cose insieme. Ho scoperto che tanta gente di cui pensi: ma anche loro vedono gente, fanno cose, niente, non si rendono proprio conto del lavoro che c’ è dietro un evento del genere. E che non ti arricchisci. Come la gente che è convinta che se ti stufi del lavoro che fai, scrivi un libro di successo e vivi di quello. No, sul serio, ce ne sono. Ma non sono dei lettori.

Marina non l’ ho scoperta per niente, sono anni che ci conosciamo, che organizziamo cose anche piuttosto complesse insieme e che abbiamo nel frattempo imparato a leggere l’ una il libretto di istruzioni dell’altra. No, ma ci pensate, la donna precisissima, che mette tutte le cose in fila e non gliene sfugge una, che si stressa se non ha tutto sotto mano al posto giusto,  insieme a quella che si perde continuamente i pezzi per strada e poi quando li raccoglie ne porta a casa il triplo, ma comunque qualcuno di quelli originari le sfuggono (però mi ritrovo anche tante sorprese?) eh, ma sono tanto creativa, signora mia. Un team perfetto, naturalmente, ma quante camomille tocca bersi. La cosa migliore è che ci vogliamo un gran bene, that’s it. E non abbiamo ancora smesso di divertirci. E poi siamo due gastrofighette che lèvati, il che fa molto.

Insomma, ci siamo lanciate, e a questo giro abbiamo trovato uno spazio enorme da Mediamatic, una fondazione che fa cose molto belle e molto strane in materia di arte, tecnologia e società. Ci siamo annusate, ci siamo piaciute, abbiamo colto delle affinità di base e così ci ospitano loro in un fantastico capannone industriale dei primi Novecento. Un posto un po’ anarchico, molto tecnologico, molto sostenibile quando si può. Un posto dove tutta quest’ estate siamo state accampate ad organizzare cene e lezioni di vino nel Favelous, il pop-up restaurant nella favela di Andrea Sossi (si, un altro di quei pazzi creativi con cui mi incrocio a ogni piè sospinto) che se avete visto le foto sulla pagina Facebook già ne avete nostalgia anche voi.

Insomma, sono girate molte energie positive e sinceramente ne ho avuto un gran bisogno, perché quello che qui purtroppo non ho mai condiviso per bene è che i Diga sono molto, ma molto stanchi, gli sono successe tante , ma tante cose nell’ ultimo paio d’ anni e maschio alfa ed io da mesi passiamo notti insonni per capire come risolverci. Però ci è servito a capire che insieme agli Gnorpoli siamo molto felici e che dobbiamo lavorare su questo. Solo che, appunto, come ho detto tante volte, l’ ottimismo richiede un grosso sforzo di volontà e tanto lavoro dietro. E uno si stanca, per l’ appunto.

Insomma, manca poco a Da Gustare 2013, farlo mi è servito a chiarirmi un paio di cose su come mi piacerebbe continuare a lavorare nell’ eno-gastronomia e quando mi sono risolta tutto, ve lo farò sapere. Intanto se il 9 novembre vi volete aggiungere a noi, dovete iscrivervi in anticipo, ma se indicate come codice sconto “Mammamsterdam” il buffet vi costa € 25 euro.

Ve lo potevo scrivere molto meglio, ma sono sveglia dalle 4 e fra 9 minuti devo svegliare i figli. Vado a farmi un caffè. Non così buono come quello che Angelo, Dino e Marietta faranno a Da Gustare, ma quasi. E ce n’ è un gran bisogno.

Idroponica in rosa shocking

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Cosa sarà mai?

Ah, niente, giusto questo.

Visto qui.

E appena sopravvivo alle tasse, alle vacanze di maggio e alle pulizie di primavera, io il workshop per costruirmi un urban garden da salotto con i bottiglioni riciclati dei distributori d’ acqua me lo vado a fare.

Stay tuned, ci sono un mucchio di cose in ballo. E intanto segnatevi il 9 novembre. E cominicate a prenotare l’ aereo.

Abbiamo un re dei Paesi Bassi (momento storico)

coronaNon siamo mai stati tipi da festeggiamenti orangisti e siamo presi dai turchi della dichiarazione dei redditi per cui giorno e notte e ogni momento libero cerchiamo carte e controlliamo fatture, per cui anche oggi i festeggiamenti sono passati in secondo piano. Però, un re, eh, un re, come fai a non festeggiare, soprattutto se il corteo reale in barca passa a 30 metri da casa tua?

Per cui alle 19.45 anche noi sul molo con le magliette arancioni sotto le giacche, che qui ci sarà pure un bel sole, ma specialmente al crepuscolo e in riva all’ IJ tira un’ aria malandrina. Infatti il commentatore del telegiornale si augurava che a bordo ci avessero pensato o la povera Màxima, in un vestito bellissimo, per carità, ma a spalle scoperte, rischiava un malanno. Le bambine, tutte e tre nello stesso royal blue di vestito, avevano delle mantelline in alpaca e poi sulla barca l’ aveva anche lei e a un certo punto si stringeva alle gambe la piccola e la avvolgeva in parte con la sua mantella. E Orso che adora le foto di mamme con cuccioli stile National Geographic l’ ha notato subito.

(La piccola, ah, la piccola delle tre bimbe come era contenta. Le altre anche, sorridevano, agitavano la mano, stavano ferme a guardare le esibizioni, come indubbiamente gli avranno insegnato. Forse avevano anche capito un po’ meglio di che si trattava, forse Ma la piccola sorrideva di più ed era proprio contenta, si vedeva). Comunque per sapere chi è chi nella famiglia reale olandese, si può guardare qui.

Prima però mi sono guardata la parte ufficiale su internet:

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Qui il giuramento nella Nieuwe Kerk, con Màxima in un vestito di Jan Taminiau, stilista olandese che adesso può morire felice dopo aver coronato il suo sogno di vestire una regina.

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Qui la regina che dopo aver annunciato che lascia tutti nelle mani del figlio, non ha potuto fare a meno, dopo l’ inno nazionale e il momento di commozione, di dire a microfoni aperti e udibilissimo:

“E adesso tutti a salutare con la mano” che 33 anni a comandare mica te li butti di dosso come una giacca vecchia.

Poi hanno fatto venire sul balcone anche le bimbe e si è visto che gli avevano messo uno sgabellino per affacciarsi:

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Nel frattempo noi ci siamo andati a fare un giro a NDSM-werf, che rispetto allo scorso anno c’ erano meno gente e meno attività, ma le foto lì ve le faccio vedere un’ altra volta. Quello che mi interessa, invece, da un punto di visto antropologico, è farvi capire come è in grado di combinarsi la gente ogni volta che c’ è una festa nazionale, ma in particolare il giorno della Regina che oggi è stato anche l’ ultimo. Dal prossimo anno avremo il giorno del re a  maggio.

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Mi dispiace solo non potervi far sentire la colonna sonora che gli hanno dedicato a metà strada: un medley di oldies goldies che a chi l’ ha pensata era da fargli fare un giro di chiglia del veliero da cui l’ hanno cantate: da Vluchten kan niet meer (non si fugge più, molto adatto per uno che ha appena giurato) a una rielaborazione per fisarmonica e carillon di canzoncine per bambini tipo Sinterklaas kapoentje, che uno si può dire eh, no, i regali non ce li porta lui, siamo noi che stiamo pagando la festa e le bandiere, e le bandierine e le magliette arancioni che avete distribuito nelle scuole elementari ed è stata una bella mossa perché un bambino su due ieri le indossava (gli altri avevano altre robe arancioni addosso più fantasiose), ma godiamoci la festa e non stiamo lì a sindacare, Ambarabà ciccì coccò e delizie nazional popolari tipo Geef mij maar Amsterdam, cantata a pieni polmoni dalla folla festante e di cui vi avevo parlato anche qui.

(OK, da qui avrei voluto inserire le nostre foto fatte durante la sfilata, ma cicca, devo avere il piccì repubblicano perchè ancora non si degna di sputarle fuori e farmele vedere).

Che gli amsterdammer sono sboroni, sarcastici, ma anche dei teneroni dal cuore d’ oro e insomma, anche l’ orario di questo omaggio della folla festante dalle rive alla famiglia reale vecchia e nuova che sfilava in barca, era azzeccatissimo: dopo una giornata di festa popolare passata a tracannar birre sono tutti felici, festanti e sbandierano entusiasti le bandierine che le ragazze del comitato hanno distribuito per tempo.

E così anche la famiglia Diga al completo sulle rive, a sbandierar bandierine, che visto che la pagano con le nostre tasse questa festa, partecipiamo partecipi pure noi, almeno per giustificare queste prime giornate di sole che uno poteva andare con i bambini al parco a provare le biciclette nuove, se non fossimo stati a riesumare le carte delle tasse.

Però, è stata una bella giornata.