È parecchio che non ci si sente, vero?

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È un po’ che non ci si sente e me ne dispiace davvero, ma io sinceramente non so dove mi vanno a finire i giorni. E dove mi va a finire la testa. E in generale noto che negli ultimi due anni tendo a rinchiudermi un pochino in una scatola. Non vedo gente, non faccio cose, non vado in giro. Tutte affermazioni che volendo, chiunque abbia a che fare anche marginalmente con me, potrebbe confutare immediatamente. Ma nella mia testa non è così. Come mai? Boh. So solo che se davvero potessi tirarmi una coperta in testa e restare lì, in silenzio per un paio di giorni (se qualcuno mi portasse un dim-sum o un cioccolatino nel frattempo, gradirei immensamente però) ecco, se potessi lo farei. Ma sono tentazioni a cui la donna saggia sa che è meglio non cedere.

Forse, come dice Supermambanana, negli ultimi anni ci sono state delle circolarità che si ripetono e che si succhiano tutta la mia attenzione residua. Dov’ è la novità? Nel fatto che siamo stanchi. Siamo stanchi sia io che maschio alfa e, sospetto, anche i bambini. Per carità, noi siamo dei lottatori, di salute stiamo benissimo e così tutti i nostri e se c’ è una cosa che in questi due anni è assolutamente chiara, limpida e inequivocabile, è che ci amiamo, stiamo bene insieme e siamo mediamente felici. A volte persino più della media. Ma io in testa ho un sacco di rumore di fondo.

Penso che siamo in parecchi a stare così ultimamente, con un rumore di fondo nella testa anche se da fuori sembriamo gli stessi, facciamo grossomodo le stesse cose o anche qualcunina di diversa, in realtà non fa lo stesso effetto. C’ è quel brusìo fastidioso, un basso continuo che ti costringe a metterti in dubbio, valutare l’ opportunità delle tue scelte continuamente, o anche se non fai nulla ti accompagna quando ti addormenti e quando ti svegli.

Poi nel mio caso ci sono stati un bel po’ di scalini da salire ultimamente, e sapete com’ è salire le scale, a un certo punto sposti il baricentro un po’ in avanti e riesci a continuare a salire per forza di inerzia, purché ti tenga sempre un passo e una respirazione costanti. Allora ti si svuotano certi pezzi di testa e alla fine sei riuscita a vedere delle cose di te con molta chiarezza, solo che alla fine non te ne fai niente. È questa non conclusività delle cose che mi stanca (oh, io sono impaziente di natura).

Penso che lo scorso anno, quando ho deciso di buttarmi nell’ avventura di Da Gustare ci ho buttato dentro tanto, ma tanto delle cose che mi piacciono, delle sinergie con le infinite persone che ho conosciuto nella vita, di tante passioni che ho, delle energie che in quel momento sembrano infinite ma lo sai che la vita ti presenterà il conto. E contemporaneamente ho scritto La risposta del cavolo, sono venuta in Italia a presentarlo prima a Più libri più liberi, la splendida fiera della piccola editoria che si tiene a Roma ai primi di dicembre, e poi con il Cavolo-tour a febbraio, il giro autogestito, autofinanziato e autogoduto, ma non automunito, visto che ho ispezionato da vicino tutte le ferrovie di Lombardo-Veneto, Ticino e Piemonte e i divano-letto di tante persone, e anche quella è stata una bomba di energie date e ricevute, di belle persone che conoscevo o che ho conosciuto o che ho visto in faccia per la prima volte dopo una sorellanza/fratellanza virtuale.  

Nel frattempo avevo un paio di stalker, li chiamo così, persone con cui ho avuto rapporti di lavoro che mi firmano accordi che non leggono e poi si impermaliscono e quando quella santa donna dell’ Avvocata Nostra gli fa capire gentilmente che non hanno proprio motivo di prendersela con me, dalle vie legali passano alle vie dirette. Oppure persone con cui NON ho avuto rapporti di lavoro e non ci siamo firmati nulla, ma anche loro decidono che tutte le loro disgrazie dipendono dal mio stare al mondo e devono punirmi per questo. Non so come altro spiegarmelo, non perché io sia chissà quanto interessante, ma forse delle volte si fraintendono le mie energie e comunque è una reazione umana prendere a calci qualcosa che ti sta vicino e di cui in fondo non ti importa molto, quando in realtà ce l’ hai con altre persone o fatti della tua vita, che siccome li hai davvero troppo vicino, forse non ti fidi davvero di prenderli a calci direttamente e lo fai per interposta persona.

Poi vabbè, le cose troppo vicine per guardarle in modo spassionato o per raccontarle urbi et orbi sul blog o su Internet in genere non ci sono mancate per niente. Ma degli stalker avrei fatto volentieri a meno perché anche se è fatta, finita e non li sento più continua a rodermi e ho paura che me ne salti fuori qualcun altro. Allora prendo io a calci delle cose che stanno appena al di fuori dal mio campo visivo e che non fanno troppo male perché non abbastanza vicino al mio nucleo, però lo so che non serve.

Insomma non sto scrivendo un altro libro anche se del materiale ce l’ ho. Non sto inventando altre ruote, anche se le strade mi stanno aspettando. Non sto focalizzandomi come dovrei e lascio che dei brandelli di opportunità mi sfilaccino intorno furiosamente. Ma i pezzi sento che ci sono, che mi stanno tutti intorno e stanno agitandosi vorticosamente nello shaker, perché il rumore di sottofondo che mi insegue non è altro che quello dei cubetti di ghiaccio agitantisi.

Qualcosa è lì, dietro l’ angolo, sta aspettando che arrivi a vederlo e lo vedrò non appena le cose raggiungeranno il punto di sedimentazione. Forse ci sono appena arrivata scrivendomi di dosso tutto questo. Perché la cosa di cui ho paura, è sempre la paura a fregarci, è che ho voluto fare troppo in una volta solo e non so se sono ancora capace. La cosa di cui ho paura è che se mi vanno bene delle cose ritroverò degli stalker sulla strada. La cosa di cui ho paura è che da tre anni ho pochissimo lavoro retribuito e non ho la testa per inventarmene un altro, anche se ci sto provando, perché il salto dall’ idea eccezionale e il lavoro sovrumano per realizzarla, al guadagno che metterebbe tutti noi più sereni non riesco ancora a farlo. La cosa di cui ho avuto paura, anche se lo avevamo deciso insieme, che visto che il lavoro non c’ era forse era il caso di mettermi tranquilla per un po’ e seguirmi casa e figli, che mi urlavano a gran voce la necessità di dare una raddrizzata alle cose. E io l’ ho fatto, ma perché non avevo scelta. E questa NON scelta mi ha riempito la testa.

Comunque sto continuando a salire gli scalini, testa bassa, baricentro leggermente spostato in avanti e un ritmo automatico che ancora non raggiungo.

Nel frattempo Da Gustare 2013 sta ripartendo (se ci fate un clic mi fa anche piacere), ma ha dovuto prendermi a calci Marina. Dio me la benedica. Calci magari non più, ma se a qualcuno avanzasse una spintarella, si grazie. Sto qui.

Theme song: Extraordinary Machine, by Fiona Apple

I cant’ help if the road just rolls out,

behind me,

be kind to me, or treat me mean

I’ll make the most of it I am an

Eztraordinary Machine

Shaken, not stirred: S/conforto e le tecniche di respirazione

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Sono talmente abituata a viaggiare con Ryan Air che non mi ricordavo più che le linee aeree serie hanno i posti assegnati, così che mi sono dovuta spostare, ma avevo lo stesso il finestrino. E una volta atterrata e in attesa dello scatolone stracolmo di prosecco, carciofi e radicchi rossi di Treviso (e lane, non ci scordiamo le lane) ho guardato fuori dal vetro che ci separava dalla sala d’ aspetto di Schiphol e li ho visti seduti lì, con il naso immerso in un Topolino Pocket.

Una signora me li ha chiamati e ci saremmo baciati leccando il vetro senza remore batteriche, se in quel momento non fosse arrivato il mio scatolone e non li avessi potuti raggiungere fuori. Ci siamo abbracciati, baciati, detti che ci siamo mancati, e sussurrati parole dolci in segreto:

“Ti devo dire una cosa, ma te la dico all’ orecchio: io ti amo”, del mio Orsetto che mi guardava negli occhi. E poi ce ne siamo andati al Burger King che eravamo tutti stanchi e provati.

Eh, poi una volta rientrati cara grazia che sono riuscita ad aprire lo scatolone e mettere i carciofi in frigo (e infatti il formaggio e il salamino svizzeri stanno ancora nel borsone, ora che ci penso) e cercare di metterci a dormire. Cosa che tra traslochi vari non è riuscita per niente, e alla fine eravamo in tre nel lettone, come Cornelia madredeiGracchi con i suoi gioielli uno a destra e uno a sinistra, a respirare e cercare di rilassarci, ma niente.

“Mamma, proprio non ci riesco, ho pure fatto shanà, ma niente”.

Fare shanà è un tentativo di quando ho seguito un corso di meditazione Acem, che ci si concentra sul respiro e ti ripeti una parola che ti assegnano, a me shanà, appunto, e meditare regolarmente non mi è mai riuscito, ma a volte, se mi ricordo, chiudere gli occhi e ripetermela forse aiuta e per disperazione l’ avevo insegnata al quel gufetto insonne di Ennio.

“Allora ci sdraiamo, respiriamo e facciamo il body-scan“, che una che ha le amiche spiritual-sciroccate che la portano a fare le camminate sul fuoco, alla lunga quel paio di assi nella manica se si concentra li tira fuori, se funzionassero.

“Mamma, tu dici che devo respirare dalle dita dei piedi, ma io non ci riesco”.

“No, non dico che devi respirare dalle dita dei piedi, dico che quando respiri prova a immaginarti come in un cartone animato un raggio blu di respiro che ti sale dai piedi e quando lo espiri diventa rosso e si porta via tutti i pensieri che non ti fanno dormire”.

Hai voglia. Io poi avevo in mente quel paio di risultati elettorali che avevo fatto a tempo a sbirciare prima di trasformarmi, inutilmente, lo dico subito, nel guru della respirazione de noantri. E il sonno, nonostante shanà, e tutto il resto mi era passato, la stanchezza no.

“Ah, ma quindi me lo devo immaginare che respiro dai piedi?”

Immaginazione, quella che ci è mancata a tutti quanti. Io un po’, nel mio sano cinismo, non ci avevo mica creduto che la gente non si sarebbe fatta fregare per l’ ennesima volta dalla lucertola nazionale. Che lui si che gli assi nella manica li sa tirar fuori.

Però ecco, io sono contenta di aver votato chi ho votato. Ho persino pensato un pochino su come agire strategicamente, che la legge elettorale che abbiamo ci vuole una laurea in ingegneria aeronautica per capirla, ovvero il moto di fede che ti dice che anche una massa di acciaio può librarsi sopra le nuvole. Non ho capito il sistema ma ho fatto come consigliava chi dice di capirlo.

E girare per il nord Italia in treno in questi giorni, annusare umori, dubbi e paure della gente, toccare con mano la differenza tra le ferrovie lombarde, quelle venete e quelle ticinesi e altoatesine, la metro a Milano e quella a Torino, contare i negozi che chiudono e quelli che aprono, parlare con insegnanti, giornalisti, avvocati, imprenditori, agrari, operai e impiegati, ex-grillini, aspiranti grillini e grillini convinti, destrorsi e sinistrorsi, liberali e progressisti, PD-isti per cocciutaggine e principio, ex delusi da Berlusconi, parlare di cose neutre come i figli che abbiamo e quelli che siamo stati, chiederci dove stiamo andando e come uscirne e ricordandomi che la mia cifra filosofica è sempre stata quella dell’ ottimismo come sforzo della volontà, che a volte me lo ricordo anche quando casco in quelle buche profondissime che stanno nel mio carattere, perché proprio perché ce l’ ho so che ne posso riuscire, ecco, tutto questo mi ha ricordato che forse usciremo tutti insieme anche da questa buca qui.

Ma so anche che questo avrà un prezzo umano altissimo, l’ ho visto in Polonia tra il 1989 e il 1991. I vecchietti e gli indigenti e i malati e i poveri sono schiattati come le mosche, ma questo le statistiche non te lo dicono quasi mai. La mia consolazione è che con internet abbiamo i guru populisti, ma abbiamo anche tante belle teste che fanno controinformazione. Prima o poi affineranno i mezzi anche loro. O schiatteremo come le mosche tutti quanti.

Inspira, espira, i tuoi alluci sono la sola certezza di contatto con il suolo.  Ad averli.