Per non dimenticarmela, la casa di zia Vittoria

Premessa: se uno mi chiedesse dov’ ero e cosa stavo facendo tra il 5 e il 6 aprile 2010 e 2011, io non lo so. Potrei guardare sul blog, ovviamente, ma di prim’ acchito io non me lo ricordo (ah, si, uno adesso me lo ricordo, ho dormito in maniera tale con Vic che la mattina ho perso il pullman per l’ Aquila, e infatti). Questo terzo anniversario del terremoto dell’ Aquila che è stato uno spartiacque nelle nostre vite, invece me lo sto vivendo un po’ troppo consapevolmente. E sono giunta alla conclusione che io dall’ anno prossimo me lo istituisco come giornata del ricordo di casa nostra. E che se ci riesco mi organizzo per tempo e me ne torno in Italia. Spero di farcela. Intanto io ricordo questo, l’ originale con i suoi commenti sta qui, e poi sta anche in Statale 17, storie minime transumanti. Io comunque ancora non mi stanco di ripeterlo. Concedetemi questa debolezza. 

La casa di zia Vittoria ad Onna è proprio tutta sua, gliel’ha regalata sua suocera. Per diverso tempo lei e zio Ginetto continuavano a stare a metà tra la casa di famiglia di lui in un altro paese nella valle subequana, e l’appartamento all’Aquila.

Poi zio Ginetto ha avuto una paresi, lei in età di pensione ha preso la patente e sono andati a stare ad Onna, nella casa tramandata di donna in donna, che è sempre una cosa speciale, a mio avviso. Questa casa con un bel terrazzo enorme, coperto da una tettoia, pieno di piante e fiori, gerani, miseria, asparagine e la sposina, una piantina endula con fiorellini bianchi o viola dal cuoricino giallo. E il dondolo, con vista del tetto della chiesa.

Poi quando c’è rimasta da sola, ad Onna, per noi è sempre stato un pied-a-terre fuori L’Aquila. per me che a L’Aquila ci studiavo, ma da lei andavo sempre volentieri. Per i miei, che mio padre le faceva volentieri le improvvisate, che “L’acqua di Onna è proprio speciale, per questo da zia si mangia bene, che cucina con l’acqua di Onna” faceva mio padre.

Con la macchina, zia Vittoria fin oltre gli ottantanni, faceva grandi incursioni. L’anno che siamo vissuti a Pettino, e che nonna si è rotta il femore (una sta all’Aquila a studiare e divertirsi, poi ti capita la disgrazia del fratello che vuole venire a fare le superiori lì per divertirsi anche lui, poi si fa bocciare un anno, che il convitto nazionale è un carcere, poi mi mettono in culo al mondo pur di avere una casa in cui stare tutti e due, così i miei di passaggio vengono a dormire lì e ci si vede, un pochino. Poi nonna si rompe il femore e mi piazzano in casa anche lei). Un anno accademico, quello che non auguro a nessuno.

Qualcuno si stupisce che dall’anno dopo me ne sono andata all’estero e che all’Aquila ci tornavo solo per consegnare un nuovo capitolo della tesi e levarmi di torno? Comunque all’epoca del femore zia Vittoria veniva carica di provviste, aiutava nonna a lavarsi (che nonna di me aveva vergogna, le vecchie hanno questi pudori strani, pensa tu), portava le patate e i fagioli di Onna.

Con la macchina, una 127 rossa sostituita successivamente da un’altra 127 un pelino meno rossa, zia Vittoria faceva le spedizioni per il vicinato. Con le vicine si studiavano per dei pomeriggi i depliant delle offerte del supermercato, poi lei partiva con delle liste della spesa enormi per L’Aquila. e tornava stracarica, 30 bottiglie di gassosa e questo e quello. Poi si teneva i punti.

Un pomeriggio l’ho trovata che si studiava il libretto dei premi dei punti. Era indecisa tra una radiosveglia e un aspiratorino per pulirci la macchina.

“Senti, hai le campane della chiesa di fianco a che ti serve la radiosveglia?”, le feci. Poi prese l’aspirapolvere, ma secondo me non era convintissima.

A volte con zia Argentina, la cognata, venivano a trovare nonna al mare ed erano pomeriggi di telenovele e ragionamenti. E rosari, che il rosario è una pratica ottima, anche per passare il tempo in treno, mi dicevano.

Se da ragazze dovevano andare da qualche parte, chiudevano gli occhi, tiravano fuori il rosario e nessuno osava molestarle (bei tempi).

“Tutto si è giocato, l’ha moglie, l’ha sfiatata, quella poveretta, e poi se ne va con quell’altra” ascoltavo e mi dicevo: ma guarda un po’ le cose che succedono tra Ofena, Onna e Pedicciano, e aspettavo per capire se era qualcuno che conoscevo anch’io.

Poi un sospiro:
“Eh, certo, questo è il romanzo, ma nella vita queste cose succedono pure” e capivo che si erano riviste una qualche novela”. Mia madre, quando eranop tutte e tre insieme, le chiamava le ragazze. Ultraottantenni, ma ragazze nell’animo.

A casa di zia Vittoria non solo si mangiava benissimo, si dormiva benissimo. nella sua stanza degli ospiti, vuoi gli scuri che facevano un buio pesto, vuoi i materassi e le coperte di lana, vuoi il silenzio di Onna a parte le campane, come si dormiva bene da zia Vittoria.

Insomma, di storie su zia Vittoria, anche carine, di quando era giovane ed appena sposata con quel pazzo di zio Ginetto, tanto caro ma un pazzo come erano pazzi tutti questi uomini di una volta, un po’come suo padre e mio bisnonno Nicola Silvestrone, ne avrei da raccontare.

Ma il capo ha trovato questa foto e me l’ha mandata chiedendomi se fosse proprio casa sua. Si, lo è. Non riesco solo a capire se è tutta o se è mezza. E dove stava di preciso camera sua.

La foto l’ho presa da lì, se il proprietario non gradisce, me lo dica e la tolgo. Però se me la lascia, preferirei.

Lei adesso sta anche qui.