Il giorno della regina, il sorriso di Màxima e i valori fondanti dei Paesi Bassi

Postfazione messa prima: alla fine siamo andati all’ NDSM-werf, i vecchi cantieri Navali dismessi a nord, raggiungibili giorno e notte dalla stazione con il traghetto più a sinistra di tutti, quello che indica NDSM-werf. Mi limito a mettervi le foto, per il resto, rimando all’ articolo qui sotto che ho scritto stamattina.

Attrezzatissimi con la tenda del pronto Soccorso (EHBO in olandese, ricordatevelo).

Il virtuoso della tavola.

Gru dei pompieri riconvertita a teatro-tenda.

Teddy-bike.

“Non ti azzardare a toccare l’ acqua, ci costruivano le navi qui, questa è la rampa per metterle in acqua, i pesci sono tutti morti”.

“Mamma, ma questa è natura”.

Natura industriale secondo mio figlio, povera stella.

Il casino che ho dovuto sopportare con tutti che suonavano a tutto volume e male (a un certo punto uno stronzetto di ragazzino ha preso la vuvuzela e si è messo a suonarla davanti al microfono), in attesa che toccasse a mio figlio di impadronirsi della batteria, e poi doverlo ascoltare e filmare, basta, dico solo che miè valso da solo 3 anni di visite quotidiane all’ ospizio. Ho i filmini con l’ audio a supporto della mia pretesa.

Cioè, si combinano davvero così, ma anche persone insospettabili, signore 60-enni con la parrucca arancione, o la testa da leone, il cappello a tigre, mica solo i ragazzi.

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Ieri in pizzeria si parlava di festa della mamma.

“Mamma” fa il mio secondogenito, “Ma in Olanda bisogna festeggiare le mamme anche il 31 gennaio, perché è il compleanno della Regina e la regina è un po’ la mamma della nazione”.

Così, di quelle cose che ti schiantano. Mi chiedo se oltre che ecumenica la sua nuova scuola sia anche orangista. Comunque una dichiarazione del genere sarebbe venuta dritta dritta pure da me, cresciuta alla scuola: famiglia patria re umanità dio della mia educazione prerisorgimentale.

Comunque la dichiarazione ci stava tutta, perché per andare in pizzeria e trovare un parcheggio dopo esserci girati mezza Amsterdam e attraversato De Pijp dove metà dei ristoranti soliti erano chiusi e l’ altra metà invece si preparava a vendere ettolitri di birra per la notte della regina e oggi, giorno della regina, tutto ciò avrà anche avuto a che fare con questa riflessione. Più la festa della mamma che incombe, naturalmente.

Il 30 aprile i Paesi Bassi festeggiano il compleanno della regina, che non è il vero giorno del compleanno dell’ attuale regina, Beatrix, ma di sua madre Juliana. D’ altronde con quello che è diventato come festività, nulla di strano che una il suo vero compleanno se lo tenga per sé. E poi diciamocelo, per una festa di popolo il 30 aprile come clima ti puoi aspettare di meglio rispetto al 31 gennaio. Hanno saggiamente lasciato la data della mamma.

Il programma ufficiale prevede la presenza della regina con figli e nipoti, sul treno reale, che vanno a fare visite ufficiali in posti con la folla festante, il sindaco commosso e le bimbette bomboniere che offrono dei fiori. Transenne ovunque, ma in genere sono tranquilli posti in provincia dove il massimo che sia capitato è appunto quest’ oretta di visita reale e poi via, verso il prossimo.

Anzi, fanno di tutto per rendere indimenticabile la visita. Ecco cosa si sono inventati a questo giro a Rhenen (commovente, vero? A me verrebbe uno scongiuro, ma non è un riflesso olandese quello).  In genere di visite così ne fanno tre o quattro a botta, che poi vengono mostrati alla nazione in tutta la loro festante ripetitività alla nazione con il telegiornale e vai per il prossimo anno.

Un paio di anni fa è successo qualcosa, un pazzo in automobile ha deciso di investire il corteo reale e ha fatto fuori una serie di persone. Poi si è schiantato ed è morto anche lui risparmiandoci mesi di indagini e processi.

In un commento a qualche post fa mi si chiedevano più informazioni sulla famiglia reale olandese. E che vi devo dire, sta qui e nessuno se ne sente infastidito. Ci sono dei repubblicani, ma non sono i tipi che gettano bombe, si limitano a fargli i conti in tasca nella speranza che quello dei soldi, che è l’ unico vero argomento a cui le masse batave siano sensibili, faccia sorgere la repubblica. un giorno chissà.

Per il resto, come farebbero i giornali di pettegolezzi senza la solita foto di un qualche rampollo reale che nasce, cresce e inizia le elementari, o fa pasticci e/o dichiarazioni e/o matrimoni un po’ così e senza i soliti articoli in cui ci rassicurano, che saranno pure gente a cui tocca dare un grosso stipendione l’ anno a seconda del grado di parentela con la regina (€ 600.000 a Maxima + € 400.000 di abbigliamento e € 1.400.000 al marito, spese escluse), ma sono tanto normali, tanto simili a noi a parte appunto che fanno quello che gli pare tipo guidare a 190 in autostrada e farsi beccare, ogni tanto.

Questa famiglia reale, ai sensi dei maggiori valori di questo paese, ovvero la normalità innalzata al valore di mediocrità, l’ uguaglianza ad oltranza meglio se tirata verso il basso, la semplicità che un bel rutto non ci sta mai male per dimostrare quanto siamo semplici, alla mano e non ci stiamo a formalizzare, è esemplare di quello che in fondo desiderano i propri sudditi.

I quali, visto che è un altro valore fondante di questo paese alzare subito il ditino per avvertire gli altri che no, così non si fa, ci sono delle regole e adesso vengo io a spiegarti dove sbagli, dicevo, ci godono come dei ricci quando un qualsiasi membro secondario di questa famiglia crea un minimo di subbuglio. Un’ increspatura sulla superficie immobile di questo stagno.

Tipo l’ erede al trono, sempre trattato un po’ come il Trota da noi, per dire, solo che rispetto al Trota era almeno un bel ragazzone biondo e cordiale e una laurea l’ ha presa, tanto che lo chiamavano il principe Birretta per quanto era gioviale con gli amici in birreria, il massimo l’ ha fatto quando si è sposato con Màxima, un’ altra biondona sorridente che solo per esserselo sposato ha rialzato immediatamente le valutazioni medie del consorte, ovvero: ma se una ragazza così in gamba, solare, ammaliatrice di folle se lo sposa, qualcosina di buono deve avercelo pure lui, a parte il titolo e gli stipendi. Metti poi che al matrimonio la povera si è pure messa a piangere, una cosa così poco calvinista, basta, se li è comprati tutti.

Che lei piangesse perché da brava argentina in chiesa non potevano non suonarle il tango (meno male che a me non mi hanno suonato la pizzica al matrimonio), e il brano in questione si chiamava Addio papà, e il papà in questione non era in chiesa ma fuori dall’ Olanda quel giorno in quanto all’ epoca persona non grata, in quanto all’ altra epoca sottosegretario di Videla (si sarà sposato un a ragazza non nobile, ma non di certo una del popolo, fateci caso, ma un’ economista strafiga che lavorava a New York e che quando gli amici le hanno detto: ma vieni in Spagna questo weekend che ci divertiamo a casa di non so più chi, ma qualche royalty spagnola credo, e c’ è un tipo che ti dobbiamo assolutamente far conoscere, be, si spiegano tante cose, cioè, qual’ è stata l’ ultima volta che voialtri da New York avete fatto un salto in Spagna per il weekend a casa di un royalty perché ve ne dovevano presentare un altro che siete veramente fatti l’ uno per l’ altra, ennò, i dettagli contano) ecco, la commozione era il minimo.

Perché prima di ciò non solo appunto c’ era stato lo scandalo dei desaparecidos che avevano costretto a nominare un ricercatore parlamentare che verificasse che il ministro Zorreguieta in questione, all’ agricoltura oltretutto, no, poretto, lui non sapeva niente. Il povero ricercatore ci aveva provato a mettere dei paletti, dei se e dei ma, ma discreti, eh,  e il futuro genero era insorto a microfoni accesi che quella ricerca: era solo un parere personale. Apriti cielo. Da lì a chiedersi se il tipo fosse fit for the job appena la madre andava in pensione è stato un attimo (a parte che se lo chiedono da quando è nato e qualsiasi cosa faccia).

Che si sia sposato la persona giusta si è capito dal fatto che lei, interrogata in proposito e con un gran sorrisone che è il suo marchio di fabbrica, ha corretto il tiro: “Si, in effetti con quella dichiarazione il mio amore è stato un po’ stupidino”. La adorano da allora. E le hanno riabilitato il marito. Del padre ci siamo dimenticati subito, perché gli olandesi hanno questo, dopo che ti hanno punito per una cosa assolutamente inutile, tipo appunto non farti venire il papà al matrimonio, lasciano perdere per le cose serie, ovvero che da allora i genitori di lei non solo sono i benvenuti ma quando ci sono compaiono anche in visite ufficiali. Persino Pinochet nel frattempo ha ammesso di aver fatto sparire un mucchio di gente, la dichiarazione del signor Zorreguieta non è invece pervenuta (forse non l’ ha saputa, del suo ex-collega, visto che magari sta più in Olanda che in Argentina ultimamente).

Comunque qualche fine commentatore aveva notato a suo tempo che dalle prime foto si capiva che Màxima era non solo una donna affascinante ma anche il tipo che sorrideva cordialmente a gengiva scoperta, e che appena annunciato il fidanzamento, altre al corso supermegaintensivo di olandese le devono aver fatto anche qualche training di etichetta perché da allora una gengiva una che sia una non l’abbiamo più vista.

Guardare per credere.

Comunque oggi è il giorno della regina, la mattinata è iniziata alle 6 con un mucchio di sole che spero che regga, Amsterdam centro sarà la solita bolgia infernale di gente ubriaca che piscia uccello al vento nei canali e cammina su uno strato da 30. cm di bicchieri di plastica calpestati, che manco ci provo ad entrare, i miei figli hanno annunciato che loro non si depriveranno di nulla, non importa quanto vecchio e inutilizzato, da destinare al mercatino in strada del giorno della regina, ma anzi ne approfitteranno per comprare altre cose, la mia amica Laura come al solito si comprerà vestiti e scarpe e borse meravigliose a due lire mentre io non trovo mai un tubo e nel pomeriggio andremo a vedere con i cugini che succede all’ NDSM-werf, che ci si arriva dalla stazione centrale  in traghetto in 20 minuti.

Forse stamattina andremo al Westerpark, forse no. Forse faremo un banchetto di limonate e € 0,50 al bicchiere davanti casa, forse no. Per ora vi auguro buona festa della regina e se ne riparla l’ anno prossimo.

Lavori da donna e imprenditoria femminile

Mettendo in ordine ho ritrovato a ‘casa vecchia’ un post di neanche tanto tempo fa, che mi ero persino dimenticata di aver scritto. Ve lo ripropongo, perché sottoscrivo ancora riga per riga quello che ho scritto allora, che era per una blog action. Mi sembra utile rifletterci di nuovo insieme staccati dall’ occasione e mi piacerebbe che mi diciate cosa ne pensate voi, adesso che è passato un po’ ditempo. e se vi interessa vedervelo nel sito originale con i commenti di allora, lo trovate qui.

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Io mi sono laureata a Magistero all’ Aquila, prima che la facoltà cambiasse nome, e penso che basti già solo il nome  per capire la quantità di studenti maschi che ci giravano, sia in termini assoluti che in percentuale.

Nella vita per pagare l’ affitto ho fatto un sacco di lavori da femmina: ho insegnato, ho fatto l’ inserviente di cucina nelle mense, la commessa, la guida turistica, la hostess alle fiere e da 20 anni faccio soprattutto la traduttrice e l’ interprete. Lo faccio da imprenditrice, ma tant’ è. E l’ unica volta che mi definivo/definivano direttrice, lo ero di una scuola. Di lingue. Basta come stereotipi? Basta.

(La badante, la volontaria, la mamma che partecipa alle attività a scuola lo faccio gratis quindi tengo un attimo fuori dal discorso queste funzioni accessorie).

Per dire che una volta che mi hanno mandata a un incontro organizzato dal ministero degli affari esteri di informazioni per imprenditori olandesi che ci tenevano ad andare oltre confine, e mi sono presentata a qualcuno con quella che era la mia funzione lì, consulente, questo ha risposto con una risata: “Ah, ah, consulente Avon?”. Magari voleva essere simpatico, io spero che con quella testa nel frattempo sia fallito. E lavori per un capo donna di quelli incarogniti. Ma la legge del contrappasso funziona solo in Dante.

Anche quando mi sono diplomata sommelier l’ ho fatto in un periodo in cui le donne in classe con me erano quasi più degli uomini e siccome il vino non lo vendo, ma lo comunico, rieccoci che sto di nuovo nella comunicazione come tipica funzione femminile.

Ora, io mi vorrei concentrare su due di queste figure professionali, l’ imprenditrice e la traduttrice/interprete.

Nel mio periodo imprenditorio ho frequentato tutta una serie di gruppi professionali: e le donne imprenditrici di piccole e medie imprese, e Black Woman che era sulle straniere imprenditrici, e l’ associazione di categoria interpreti e traduttori (in cui rivesto la funzione di Commissione feste e se vi sembra che sia un lavoretto di tutto riposo pensate un attimo voi a organizzare un 45mo e 50 lustro per intero per 1600 soci, del 50mo devo aver parlato in precedenza nel blog vecchio), e il network dei trainer di lingue e l’ associazione di categoria insegnanti di lingue vive (azzo, pure quello ho fatto), e parecchie altre cosette.

Per finire pure un paio d’ anni di consiglio genitori all’ asilo, e non si trattava di fare i lavoretti di Natale o comprare i fiori alle maestre, per quanto abbiamo fatto pure quello.

Nel periodo in cui eravamo membri del consiglio madri, che quello eravamo, ci siamo praticamente dovute sedere sulla sedia della direzione a cui il management aveva tagliato le gambe e quindi, e per fortuna eravamo qualificate, far venire le ispezioni ASL, indirizzare la formazione delle maestre, fare il sondaggio qualità tra i genitori, (io in particolare seguivo la spesa per consigliare prodotti alternativi e più sani ove possibile – tipo buttar fuori come succo di frutta il Wicky che è un concentrato di glucosio e coloranti, senza mezzo grammo di furtta, e inserire quelli veri, anche da succhi concentrati, ma senza troppi additivi, robe così), rimettere a posto la comunicazione con i genitori che se ne volevano andare a mazzetti ma non potevano, consolare le maestre in malattia, con l’ esaurimento, che se ne andavano, e fare persino una newsletter (con quella newsletter ho aperto il mio primo blog, in cui postavo ricette per famiglie con bambini che la collega che faceva la redazione si tirava giù, in modo da scrivere entrambe quando potevamo senza aspettare l’ una l’ altra).

Il tutto nei ritagli di tempo e con il terrore che quel nido, per quanto disastroso, chiudesse visto che era l’ epoca delle liste di attesa di due anni e se chiudeva davvero ci ritrovavamo col culo a terra tutti quanti, ma d’ altro canto andava migliorato e di corsa prima che tutte le maestre se ne andassero con l’ esaurimento nervoso e il posto chiudesse lo stesso, e prima che qualche bambino facesse una brutta fine. E se possibile anche acquistare un po’ di giocattoli adatti ai 3- e 4- enni che si annoiavano a morte.

Ovviamente non pagato, ovviamente per una ditta privata (ex-pubblica, poi semipubblica, poi fallita e riaperta un paio di volte) ovviamente con(tro) il testa di cavolo sessantenne e ignorante con moglie a casa che dirigeva la regione e creava tutti quei casini, e ce ne siamo liberati il giorno che l’ hanno promosso ad altre funzioni e finalmente hanno permesso a quel paio di persone competenti – donne – che lui bloccava su tutto, di fare il proprio lavoro e farlo bene.

Posso dirlo? Di buone prassi al femminile ne ho viste a caterva negli anni. Donne con o senza figli, qualificate, che lavorano duro, che si fanno un culo tanto e che hanno sempre tempo per consigliare una collega in panne, tirar su uno stagista imbranato, ritirare d’ emergenza dall’ asilo il figlio della vicina che sta lavorando a 300 km. di distanza ma il bambino ha la febbre, fare una minestra per l’ amica o collega o vicina che sta in crisi di tempo tanto la sta facendo anche per sé, che ci vuole prendere la pentola grande e farne il doppio, cercare la casa di riposo per il suocero demente, donne che tengono su da sole un ufficio quando tutti i colleghi figliomuniti sono in ferie scolastiche obbligatorie (ma meglio non farle vedere un bambino in quei periodi o li fa al forno), donne mobbizzate che vanno avanti per la propria strada ma a che prezzo, donne mobbizzate che rinunciano e si rifanno una vita altrove ma anche no.

E vi posso dire una cosa, questo riesce molto, ma molto bene tutte le volte che parliamo di donne con una certa autonomia di gestione del proprio lavoro. Magari in casa sono incastrate nei ruoli e negli schemi, magari hanno hobby o non ne hanno più, magari hanno passioni che permettono loro di tenersi il lavoro col mobbing, il marito fedifrago e i figli in crisi adolescenziale senza morire troppo, ma da qualche parte hanno una grossa dose di autonomia che permette loro di tenere su tutto.

Certe volte non è quasi neanche più necessario che siano autonome finanziariamente, basta che lo siano di testa. Chi l’ ha detto che le giornate hanno 24 ore? Un uomo, sicuramente. Le giornate delle donne con vite piene sono flessibili.

L’ imprenditoria femminile, o la libera professione, o la partita IVA sono certe volte l’ unica soluzione per sfuggire agli schemi rigidi del lavoro fisso che invece di usarla questa forza e flessibilità femminile le tarpa le ali.

E vi lascio con un nanetto del convegno Black Women anni fa, in cui una tizia superfigamanager della Rabobank (o era un’ altra banca, boh?) dovendo presentare le finaliste del concorso imprenditrice dell’ anno, osservava, a mo’ di incoraggiamento, che quello che l’ aveva colpita nel leggere le domande per il concorso era come le donne spesso non spieghino le ali. Fanno un business plan senza pensare ai milioni, alla crescita, si danno obiettivi piccoli. Osate di più, diceva, le grandi aziende fanno così.

Porella, lei lo diceva in buona fede, ma il pubblico l’ ascoltava basita con un’ aria da: ma da dove viene questa qui? Non l’hai capito che una donna che si mette in proprio raramente lo fa per diventare la più grossa del settore, in genere lo fa per diventare la migliore, per lavorare meno e meglio e usare il tempo che avanza per tutte quelle cose che la grande azienda non deve fare (vedi lista sopra, compreso il suocero anziano e bisognoso), per creare un modello di buone pratiche, per fare rete. E durante la pausa pranzo si scuoteva la testa sconsolate dicendo: e, vabbè, però è pure vero che lavora per una banca. Che le banche, diceva il mio cliente banchiere, servono per far crescere le imprese. Le donne imprenditrici che conosco io dalle banche si tengono alla larga preferendo la crescita organica.

Lo abbiamo visto dove ha portato questa mentalità di crescita a oltranza, le banche sono finite un paio di anni dopo con il culo a terra e le hanno salvate i nostri soldi, delle nostre tasse, delle nostre piccole imprese tirate su con fiducia, cautela e competenza.

Le buone prassi femminili? Per me sono proprio queste: inventarsi lavori nuovi, puntare a essere le migliori, fare rete. Non mi interessa se poi vinciamo o meno il premio Black Woman dell’ anno, tanto basta guardarsi i rapporti internazionali per capire che oggi in Italia le donne sono come i negri nei campi di cotone: manodopera alla mercè dei favori padronali, non un interlocutore con diritti da esercitare. E questi diritti e la forza interlocutoria tocca allora prenderseli da sole, visto che non ci sarà nessuno a regalarteli.